DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Maurizio Molinari per “la Stampa”
Rabbia negli insediamenti ebraici e soddisfazione fra i palestinesi a Ramallah: le due anime della Cisgiordania reagiscono in maniera opposta alla decisione dell' Unione europea di differenziare le etichette dei prodotti provenienti dai territori conquistati da Israele nella guerra del 1967. «Questo non è un insediamento, ma un' area industriale che dà lavoro e speranza a migliaia arabi ed ebrei discriminarne i prodotti significa ostacolare la pace» afferma Yehuda Cohen, Ceo di Lipski, fabbrica di plastica nel parco industriale di Barkan a ridosso di Ariel, la più grande città ebraica della Cisgiordania.
Coloni in Cisgiordania decisi a difendere la loro terra dagli sgomberi
Export per 50 milioni Il «Barkan Park» ospita oltre 120 aziende che producono una parte importante dei circa 50 milioni di dollari di prodotti che ogni anno vengono esportati verso l' Ue, su un totale di export israeliano di 13 miliardi di dollari. In forza dei nuovi regolamenti di Bruxelles non avranno più etichette «Made in Israel» ma indicheranno come provenienza «West Bank» o «Golan» con in più la dicitura «insediamenti ebraici» per distinguersi dai prodotti locali arabi che saranno «Made in Palestine».
Per l' Ue è «una decisione tecnica, non politica, che nulla ha a che vedere col boicottaggio» ma Chanan Pasternak, agricoltore dell' insediamento di Netiv Hagdud, la riceve come «la conferma di un boicottaggio Ue iniziato da anni per distruggerci». La reazione del governo di Gerusalemme è aspra. Il premier Benjamin Netanyahu, da Washington, parla di «discriminazione anti-ebraica da parte di un' Europa che deve vergognarsene».
Il suo ministro della Giustizia, Ayelet Shaked, accusa l' Ue di «ipocrisia oltre ogni limite perché tale discriminazione non viene applicata ai prodotti di altri territori occupati come Nord Cipro, Sahara Occidentale e Kashmir». Il ministero degli Esteri convoca l' ambasciatore Ue, Lars Faaborg-Andersen, comunicandogli la «sospensione dei colloqui diplomatici» sulla Cisgiordania ovvero la chiusura a ogni coinvolgimento europeo nella possibile ripresa dei negoziati con i palestinesi.
Israele valuta anche «passi legali» per spingere l' Ue a rivedere la decisione. Ma non tutti negli insediamenti sono d' accordo sulla linea dura. Yair Lerner, produttore del vino «Barkan», che ha dei vigneti sul Golan, prevede: «Le nuove etichette ci faranno vendere di più perché chi ci odia già non ci compra mentre chi ci sostiene sarà più motivato a farlo».
Lerner è convinto che «ci si apre il mercato degli evangelici negli Stati Uniti, oltre 80 milioni di consumatori pro-Israele» e vede per tutti i prodotti degli insediamenti «l' opportunità di crescere». Plaude anche Peace Now, il movimento pacifista, ma per motivi politici: «L' Ue colpisce l' occupazione e dunque esprime sostegno a Israele».
Il fronte del boicottaggio Dalla Muqata, a Ramallah, parla Saeb Erakat, braccio destro del presidente palestinese, che rende omaggio all' Ue per «aver punito i prodotti dei coloni risultato del furto delle nostre terre» ma aggiunge che «non è abbastanza» perché essendo «un risultato di crimini di guerra dovrebbero essere messi al bando e non solo etichettati».
Per questo Mahmoud Nawajaa, direttore del movimento palestinese «Boicotta, disinvesti e sanziona» (Bds) parla di «inizio di reazione Ue alle richieste del pubblico» prevedendo l' estensione della «campagna popolare». Come dire: è solo la prima tappa di una battaglia ancora lunga.
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