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Alberto Gentili per "il Messaggero"
Niente delega per Michel Martone. Fin dal suo sbarco al ministero del Lavoro, l'ex collaboratore di Maurizio Sacconi non s'è preso con Elsa Fornero. Un po' dandy e un po' troppo pidiellino lui. Torinese austera e un po' sabauda e «socialmente sensibile» lei. Ricordate le lacrime quando annunciò i sacrifici per i pensionati? Stili a parte, il dato è che nel Consiglio dei ministri Martone è stato l'unico viceministro a non incassare la delega. E resta, dunque, con i gradi di sottosegretario.
Dietro lo stop c'è il no della Fornero (Lavoro, Politiche sociali e Pari opportunità ) a concedere i poteri a Martone. Non per avarizia. Ma perché la ministra proprio non si prende con il suo promesso vice. Lui chiede il Lavoro, lei non vuole concederglielo. E raccontano che solo ieri «i due abbiano cominciato ad annusarsi» e che solo oggi «lui rappresenterà » la ministra in Commissione. Qualcuno ipotizza un lieto fine: venerdì, in occasione della prossima riunione del governo, la Fornero potrebbe far cadere il veto.
Ma sembra difficile che possa concedere a Martone il diritto di regia proprio per la materia su cui si giocherà nei prossimi mesi la partita «politicamente più sensibile»: il lavoro, appunto. Più facile che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Antonio Catricalà , trovi una soluzione di mediazione. Cosa che ieri gli è riuscita perfettamente con gli altri dicasteri: nessun ministro ha fiatato durante l'assegnazione delle deleghe a vice e sottosegretari.
Lo stop a Martone non è la sola novità da governo tecnico. L'altra è l'attenta liturgia scelta da Mario Monti durante la trattativa sulla manovra. Grazie alle due stanze comunicanti riservate al governo al pian terreno di Montecitorio, il premier ha adottato la tattica del poliziotto buono e del poliziotto cattivo. Nel primo ruolo e nella prima stanza ha messo Piero Giarda: al ministro ai rapporti con il Parlamento ha fatto incontrare i rappresentanti del Pd, del Pdl e del Terzo Polo, con l'incarico di raccogliere le richieste. Poi, Monti, ha ricevuto soltanto alcuni come Bruno Tabacci e Dario Franceschini.
E sempre rigidamente da solo. Con gli altri si è limitato a un saluto, facendoli transitare dalla porta interna. Riservatissimo, il professore, anche nei contatti con i leader di partito. Ogni volta che ha telefonato ad Alfano, Bersani e Casini ha chiesto di essere lasciato solo. Perfino Giarda non ha ascoltato le telefonate. Ma è in questi contatti che Monti è arrivato alla decisione di confermare la questione di fiducia «se necessario». Insomma: certamente. Per fare presto, per evitare pericolosi sbandamenti al momento del voto in aula. Soprattutto ora che Di Pietro si è chiamato ufficialmente fuori. E per non costringere i partiti a mettere la faccia sulla manovra: con la fiducia si vota il governo, non le misure.
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