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Marco Zatterin per “la Stampa”
Si ritorna ai primi di ottobre, alle cifre originali del Def. Pier Carlo Padoan ribadisce che nella Legge di stabilità che il governo deve inviare alla Commissione Ue stasera il miglioramento del deficit strutturale - calcolato al netto di ciclo e delle “una tantum” - sarà solo dello 0,1%. Siamo lontani dallo 0,5 di correzione annua richiesta dalle regole, ma il ministro dell’Economia garantisce il rispetto del 3%, incolpa la crisi, poi giura che «siamo nelle regole e usiamo la flessibilità al loro interno».
Ci sarà dialogo con Bruxelles, concede, ma nell’eurocapitale i portavoce tacciono, mentre le fonti sospirano «vedremo», accompagnato da un «sarà molto difficile» passare le verifiche con questi numeri.
La matassa torna ad ingarbugliarsi, e non deve essere un caso se ieri mattina il premier Renzi ha chiamato il presidente designato della Commissione, Jean-Claude Juncker. Nelle ultime settimaneBruxelles e Roma si sono parlate - «in modo costruttivo», assicurano i più - per aggirare gli attriti, l’una per evitare di chiedere una perniciosa riscrittura del bilancio, l’altra per scongiurare una bocciatura antipatica. Sembrava si fosse prossimi a un’intesa che portava palazzo Chigi a compiere un piccolo sforzo in più (0,25). L’ipotesi, ufficialmente, è caduta. «Andremo avanti nel consolidamento», dichiara Padoan.
I numeri del bilancio 2015, spiega, sono stati pubblicati e aggiornati col Def: «Il miglioramento strutturale è coerente con il rispetto degli obiettivi, tuttavia ciò che conta è avere come obiettivo il pareggio, probabilmente ritardato». Roma ha proposto in primavera di raggiungere il necessario equilibrio fiscale nel 2016 e il Consiglio le ha assegnato il 2015. Ora pensa di farcela nel 2017, prospettiva che ha dato peso alla possibilità che la Commissione, ai sensi del «Two pack» (le più recenti norme di governance europea) chieda una riscrittura del Bilancio.
Non solo. In primavera le raccomandazioni Ue per l’Italia avevano auspicato per il 2014 uno sforzo aggiuntivo stimato in 9 miliardi (la differenza fra lo 0,1 promesso dai nostri e lo 0,7 chiesto dall’Ue). Di questo non si parla più, c’è il «fattore mitigante» di valutazione posto dalla recessione. La rotta è sul 2015 e anche stavolta lo 0,1 fatica a tornare. Padoan non è d’accordo. Afferma che in aprile, quando vennero assunti gli impegni, «la previsione di crescita era di 1,1 punti più alta: il contesto s’è deteriorato».
Di qui la velocità più bassa del consolidamento. La legge di Bilancio, incalza, «deve ancora essere approvata», per cui «è un po’ presto per dire che bisogna correggerla». Una fonte governativa parla di dialogo aperto con Bruxelles, ipotizza che possa continuare anche dopo giovedì, il che fa pensare alla possibilità di una correzione in corsa entro fine mese. Magari con risorse che potrebbero essere già state accantonate. «Vediamo con è strutturato il bilancio», spiega una fonte europea. «E’ un esercizio aritmetico», ha avvisato lunedì il commissario Ue all’Economia, Jyrki Katainen. «Così è molto difficile», era l’umore i serata a Bruxelles.
IL PALAZZO DELLA COMMISSIONE EUROPEA
In attesa del verdetto, Padoan punta il dito sul calcolo dell’«output gap», la differenza fra pil effettivo e potenziale, fra quanto un paese cresce davvero e quanto potrebbe se fosse in equilibrio di competitività. L’Ue ha agganciato l’esigenza di manovra sui conti pubblici a questa variabile, in modo da evitare di legare a sforzi correttivi troppo pesanti chi avesse il motore che non gira.
Si è deciso che più alto è l’«output gap», meno è necessario intervenire. Dunque Roma sostiene che, affinando la determinazione della crescita potenziale anche attraverso una più ampia valutazione degli effetti delle riforme effettivamente approvate, si arriverebbe a riconsiderare la sua inadempienza. «Abbiamo bisogno di aggiornare questi strumenti - ha ribadito Padoan - per vedere dove andiamo e dove veniamo». Ha senso. Ma è un fronte in più che si apre.
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