DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
Paolo Bracalini per "il Giornale"
C'eravamo tanto odiati, e si vede benissimo. C'è un omissis grande come un palazzo (Chigi?), forse sarà saltato un para¬grafo, o anche due, del file word inviato dall'ex premier Enrico Letta al Corriere della sera . Non è più premier, non ci sono più i suoi ministri, è tornato un depu¬tato semplice, non sta più nep¬pure a Roma ma (temporanea¬mente) a Parigi per un ciclo di le¬zion¬i all'Institut d'Ãtudes Politi¬ques, tutto è cambiato in un lam¬po eppure quelle due parole, Matteo Renzi, onnipresenti sui media, sono assenti, rimosse, cancellate da Letta, che scrive come se il tempo si fosse ferma¬to al 21 febbraio, prima della col¬tellata alle spalle.
Gli tocca fir¬marsi «Enrico Letta - ex presi¬dente del Consiglio», ma un marziano che lo leggesse pense¬rebbe che è lui il premier in cari¬ca. Ricorda gli spari a Palazzo Chigi e i carabinieri feriti, ripen¬sa «a quei minuti», al baluardo delle istituzioni. Anzi, dell'uni¬ca istituzione che ricorda e rin¬grazia, e l'unico nome che cita insieme al carabiniere Giangrande: Giorgio Napolitano, suo grande sponsor politico che nulla ha potuto, però, per ferma¬re il ciclone fiorentino.
Toglie lo sguardo dal presente, pieno di amarezza, e si affida alla memo¬ria, al giorno in cui Luigi Preiti scarica la pistola davanti a Palaz¬zo Chigi, evento che si lega «indissolubilmente » ad un altro av¬venimento di quei giorni, «la na¬scita del nuovo governo», ovvia¬mente quello Letta. Ricorda «la fermezza del presidente della Repubblica», che «ha rassicura¬to tutti », la «prontezza» di Napo¬litano che «è stata fondamenta¬le ». Ci sono Napolitano e Letta, i carabinieri, il sacrificio, l'Italia. E Renzi? E il suo «nuovo gover¬no »? E tutto il resto venuto do¬po? Svanito, annegato, forse nel rancore.
Gli indizi non mancano. I po¬chi secondi, gelidi, in cui Letta sbriga la cerimonia della campa¬nella, il passaggio di consegne dal premier uscente a quello en¬trante (l'Innominato, Matteo Renzi). Una stretta di mano rapi¬dissima, senza neppure guarda¬re negli occhi l'usurpatore, poi la foto di rito, anche questa di po¬chi istanti, livido in volto, e ad¬dio ingrati, temperatura sottoze¬ro ( ricambiato dal fiorentino, in puro spirito machiavellico).
Dal suo licenziamento da Palazzo Chigi Letta è sparito, solo un'in¬tervista, dopo due mesi, per dire che sì, ora se ne va per un po' in Francia, ma non si sente affatto «un esule», o uno fatto fuori da Renzi, il ragazzetto che si è pap¬pato in un solo boccone Pd e go-verno. Non è deluso, figuriamo¬ci, anzi «è contento di rinnovare il legame con la Francia», mica voleva restarci a Palazzo Chigi, macchè, preferisce rinnovare il suo legame con la Francia.
Poi l'ingresso alla Came¬ra, nel giorno della fi¬ducia al governo Ren¬zi, e il plateale abbrac-cio con Bersani, i due sconfitti che medita¬no vendetta. Prima di eclissarsi, nelle ulti¬me ore di agonia quando era chiaro che fosse un dead pre¬mier walking , Letta ha consegnato ai fede¬lissimi il suo pensiero su Renzi, difficilmen¬te cambiato nel frat¬tempo.
Uno «osses¬sionato dal potere», uno che «ha sempre voluto pren¬dere il mio posto », ma che ha gio¬cato «a carte coperte»,fingendo¬si amico e, anzi, giurando- e scri¬vendolo pure, in un libro - che mai avrebbe sarebbe diventato premier «senza passare dalle elezioni». Renzi, per blandire la sua vittima, l'ha invitato ad un incontro segreto, a Palazzo Chi¬gi, martedì scorso, per fare pace. L'incontro c'è stato, la pace no. Basta contare tutte le volte che Letta cita Renzi quando scrive lettere ai giornali.
BERSANI LETTA RENZI RENZI E LETTAMATTEO RENZI NELL UFFICIO DI ENRICO LETTA A PALAZZO CHIGI LETTA E RENZI LETTA-RENZI
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