LETTA PRIVATE STORY – ABITARE A ROMA E’ STATA UN’ABILE MOSSA (AH, SE IL PENDOLARE BERSANI AVESSE PRESO CASA A TESTACCIO)

Marianna Aprile per "Oggi"

E se ad aver fregato Pier Luigi Bersani fosse stata (anche) la mancanza di una casa a Roma? Dopo un paio di giorni tra la Camera dei deputati e il Testaccio, dove vive Enrico Letta, il dubbio che il pendolarismo abbia affossato l'ex leader Pd viene.

Il pisano Letta, il "predestinato", da tempo si allena alle larghe intese nel quartiere più rosso di Roma, da un secolo laboratorio di un inciucismo anche urbanistico. Il cui centro è il Cremlino, il palazzo giallo dalle imposte verdi dove vivono il premier, la moglie Gianna Fregonara (giornalista del Corriere della Sera) e i figli Giacomo, Lorenzo e Francesco, di 9, 7 e 5 anni. E dove continueranno a vivere, avendo il premier rinunciato a trasferirsi a Palazzo Chigi.

In un bar tenuto da cinesi poco lontano dalla casa del premier, da anni Giorgio Napolitano arriva, la domenica, a far colazione con l'amico Emanuele Macaluso. E un altro Napolitano, Giulio, bazzica il quartiere per incontrare il suo amico Letta.

I VICINI E GLI OSPITI VIP
Il premier non è l'unico volto noto del condominio. A un piano alto, in una casa grande con terrazzo sull'Aventino soffiata a Luciano Violante dieci anni fa, c'è il direttore del Foglio Giuliano Ferrara. Per i Letta niente terrazzo, solo finestre. A pochi passi dal pianerottolo di Ferrara, c'è la porta di Nicola Latorre, senatore del Pd. Ma sono le personalità avvistate qui negli anni ad aver fatto del palazzo una palestra delle larghe intese.

A casa di Latorre, nel luglio del 1997, s'incontrarono Massimo D'Alema e Antonio Di Pietro, poi candidato dall'Ulivo nel Mugello in Toscana, contro il "vicino" Giuliano Ferrara. E a casa di Letta, il 17 aprile scorso, erano a pranzo Silvio Berlusconi e Pierluigi Bersani, per accordarsi sulla candidatura di Franco Marini al Quirinale.

«Da un po' se si devono fare riunioni riservate si va lì, zona defilata», dice un insider. Del resto, in un'intervista che la futura first lady Fregonara fece a Letta nel 1998, lui disse parole che oggi suonano profetiche: «Per stare insieme avendo posizioni diverse ci vogliono luoghi in cui confrontarsi». Parlava dell'Ulivo, ma pare che negli anni quel "luogo di confronto" sia stato casa sua.

IL PALAZZO DEGLI INCIUCI
Gli inciuci, insomma, nascono qui. E sono nel Dna del Cremlino, costruito a metà degli Anni 20 per ospitare le seconde file dei gerarchi fascisti a ridosso di quello che avrebbe dovuto essere il quartiere operaio di Roma, dove però le fabbriche non si fecero mai. Al secondo piano arrivò poi la più grande sezione romana del Pci. Un piano sotto, un Commissariato di Polizia. L'edificio poi divenne dell'Ina Assicurazioni, che nel 2001 vendette alla Pirelli RE di Marco Tronchetti Provera. Gli appartamenti, enormi, vennero frazionati e rivenduti. Ancora oggi ce ne sono di grandissimi (circa 300 metri quadrati) e di "normali", tra i 100 e i 150, come quello in cui vive Letta.

Che comprò non da Pirelli, ma da un notaio. La casa è intestata a Gianna, sua moglie: è lei ad aver pagato i quasi 2 mila euro di Imu, lo scorso anno. Insieme hanno composto un arredamento, neanche a dirlo, privo di fronzoli, in cui il verde pisello scelto per la modernissima cucina sembra quasi un azzardo. E in cui, oltre alle foto artistiche che da anni scatta suo fratello Vincenzo, campeggia un quadro che Enrico, diciassettenne, portò indietro dalla Malesia dopo un viaggio di due mesi con suo zio Corrado. È tra le poche cose ad averlo seguito in tutte le sue case, una specie di feticcio.

Le famose cene di Casa Letta si tengono in una sala che in questi anni è diventata una specie di embrione di Bicamerale. Con regole ferree: una dozzina di invitati con un amalgama perfetto tra fissi e new entry (al massimo un paio per volta). La tavola apparecchiata con cura, ma senza lussi; il padrone di casa che si mette ai fornelli e arriva con uno dei suoi primi di pesce. «Sughi con moscardini o gamberi », dicono gli habitué. Cercando la battuta, diremmo che se zio Gianni officiò, nel 1997, il Patto della crostata tra D'Alema e Berlusconi, a Enrico si può attribuire il Patto dei crostacei. O dei crostini, visto che Berlusconi e Bersani, il 17 aprile scorso, non hanno quasi pranzato.

DALLA COABITAZIONE AL CROLLO DEL TETTO
Enrico cucinava per gli amici anche quando, anticipando il co-housing grillino, tra il 1994 e il 1999 ha vissuto in un bilocale in via dei Leutari con quello che oggi è il viceministro degli Esteri, Lapo Pistelli, che ancora ricorda lo svuota-tasche all'ingresso in cui per mesi Letta tenne il cartoncino del giuramento da ministro delle Politiche Comunitarie (1998). «Ci siamo conosciuti all'università e quando la politica ci ha portati a Roma abbiamo diviso una camera in una pensionaccia vicino a Campo De' Fiori, con carta da parati strappata e muffa alle pareti, poi abbiamo affittato un bilocale», ci dice Pistelli. «Eravamo disordinati. Ma una volta alla settimana veniva una signora a darci una mano».

Ogni tanto si organizzavano cene sul micro-terrazzo in cui stava appena il tavolo e una volta seduti non ci si poteva più alzare. All'epoca della convivenza con Pistelli, Letta era sposato con una ragazza di Pisa conosciuta al liceo, con cui fu a lungo fidanzato e da cui divorziò pochi anni dopo le nozze. A fine Anni 90 conobbe Gianna, che seguiva per il Corsera il Partito Popolare di Franco Marini, di cui Enrico era il vice.

Dopo un corteggiamento prudente e discreto, da timido, di cui solo l'interessata si accorse, si fidanzarono. Andarono a convivere all'ultimo piano di una casa Anni 50 sul Lungotevere Flaminio dove hanno rischiato grosso: una mattina, poco dopo che si erano alzati, il solaio venne giù e si schiantò sul letto. Di lì a poco, si trasferirono al Cremlino e nel 2003 si sposarono in comune a Biella, con una cerimonia tanto intima che persino gli amici più cari furono esentati. Stesso approccio low profile alla vita, pare che l'unica cosa che li separa sia il tifo calcistico: milanista sfegatato lui, juventina lei.

NESSUN FASTIDIO
Fino a un mesetto fa si poteva diventare vicini di casa del premier, acquistando un bell'appartamento in vendita a 10 mila euro al metro quadrato. Se la nomina abbia fatto lievitare o calare le quotazioni non si sa, ma la prima promessa da premier Letta l'ha fatta ai condomini: daremo meno fastidio possibile. Il parcheggio dei motorini, di fronte al portone, non verrà abolito come proposto dalla sicurezza, solo spostato un po' più in là per creare un passaggio tra portone e auto di servizio. E le macchine che finora venivano parcheggiate "alla romana" sul marciapiede di fronte dovranno traslocare. Per il resto, a parte una camionetta dei Carabinieri a dieci metri dal portone verde, non ci sono segni evidenti della presenza del premier.

A Christian, il portiere, la scorta ha però chiesto di segnalare andirivieni insoliti e impedire ai non condomini di oltrepassare la guardiola. E così bisogna accontentarsi di confidenze sussurrate sul portone: Letta che fa la raccolta differenziata in cortile, che alle riunioni di condominio non va, che finché non lo ha rottamato girava col suo scooter, che una volta al mese ospita i suoi genitori, che vengono per stare coi nipotini, e via agiografando. Chi ha potuto sbirciare in casa, parla di scrivania ordinatissima.

Come quella del suo ufficio, tanto dimessa da sembrare dismessa, neppure un disegno dei bimbi a ingentilirla: «Tenerli sul posto di lavoro sarebbe una commistione inaccettabile», dice un amico. «Di rado lo si vede contrariato. Lo innervosisce solo l'aria condizionata». Nel cassetto della scrivania c'è però un Risiko da viaggio, che il premier porta con sé per ammazzare il tempo nelle trasferte più lunghe.

A LUI GLI ZAINI, A GIANNA LA SPESA
L'ode del Testaccio a Letta recita in modo quasi stucchevole: «È uno normale». Il refrain è declinato, in vari modi, dai Rossetti, titolari della tabaccheria dove Letta comprava i biglietti per l'autobus; dal fornaio Passi, in piazza; dai banconisti del reparto pizzicheria del supermercato Sigma, di fronte alla chiesa. Da Peter's, 50 metri da casa, Enrico compra camicie e vestiti, pochi ma di ottima fattura.

Ci tiene, al look. Anche se poi basta che accavalli le gambe perché si scoprano calzini (lunghi) calati. Pare sia colpa di polpacci troppo muscolosi, intolleranti alla stretta dell'elastico. Al look tiene al punto che qualche anno fa, per liberarsi degli occhiali spessi imposti dalla miopia, Letta è ricorso al laser. Che però l'ha ridotta e non eliminata, costringendolo a portare ancora gli occhiali, benché più light.

«È sempre coi figli», dicono nel quartiere. Prima di diventare premier li accompagnava a scuola a piedi, Giacomo e Francesco alle elementari, a un isolato da casa; Lorenzo all'asilo, poco lontano. «Precisi, tre inglesini. Giacomo è la miniatura di suo padre», dice una vicina. Gli zaini li portava lui. Gianna, invece, la si vede con le borse della spesa.

La domenica, i Letta vanno nella chiesa di Santa Maria Liberatrice, in cui Don Giovanni ha battezzato i tre "Lettini" e dove il premier segue la messa senza comunicarsi. Poi, sosta alle altalene o alla libreria Arion a comprare favole. Quando Gianna fa tardi al giornale ed Enrico è libero va coi bimbi alla pizzeria Nuovo Mondo, atmosfera Anni 50 e menu romanissimo, anche se i piccoli ai supplì preferiscono würstel e patatine.

I FIORI PER GIANNA COMPRATI AL VOLO
Con Gianna va a cena fuori dal quartiere, al ristorante di Piazza Rondanini dove pranzarono Renzi e Bersani dopo le primarie. Quando sono tutti a casa, capita che Enrico allunghi il tragitto fino a Piazza Santa Maria Liberatrice e compri fiori al chiosco di Marcello. O che porti i bimbi a giocare a calcio al Circo Massimo o all'Aventino. Lui che ha il piede buono e che nel 1997, in una Partita del Cuore Cantanti vs Politici, a Bologna, fece un gollazzo da lontano tra gli applausi di Franco Marini (l'allenatore) e Valeria Marini (la madrina).

La signora Letta la si vede al Moonlight Bar con le mamme dei compagni di scuola dei suoi figli. Ed è proprio qui, a un tavolino, che si capta l'unica voce fuori dal coro dell'elogio di Testaccio ai Letta. È quella di un signore sui 70 che tradisce il cuore rosso del quartiere: «Meno male che nun voto più, così democristiani ce morite voi». Marianna Aprile

 

 

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