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Rodolfo Parietti per “il Giornale”
«Allez les Bleus!». Non c' è dubbio: François Hollande sarà il primo a tifare per la vittoria della Francia agli ormai imminenti campionati europei di calcio. L' affermazione di Pogba e compagni ridarebbe lustro all' immagine di un Paese stretto tra la minaccia terroristica e la paralisi sociale indotta dalla contestatissima riforma del mercato del lavoro. Nel complesso, Parigi non se la passa granchè bene. Non inganni la crescita dello 0,6% del primo trimestre, comunque debole seppur sia frutto degli stessi fattori (petrolio, cambio debole e tassi a zero) di cui beneficia l' intera eurozona.
Sono anni che la crescita del Pil stenta a superare l' asticella dell' 1%, nonostante la sistematica violazione (11 volte dal 1999) di quelle «sacre» regole di Maastricht che si sono inventati loro senza alcuna base teorica: sia quella relativa al deficit-Pil, destinato a non scendere sotto il 3% prima del 2017; sia quella del debito, ora superiore al 95%, con una progressione impressionante se paragonato al 68,2% del 2008. Una politica forsennata di deficit spending che non ha impedito al tasso di disoccupazione di oltrepassare il 10%.
Così, nel tentativo di preservare l' antica grandeur, il Paese rischia di scivolare nella petiteur, cioè di ritrovarsi sempre più piccolo e incapace di tenere il passo con un mondo in rapida trasformazione. La Francia, finora, ha di fatto ignorato tutti gli inviti (dalla Bce al Fondo monetario internazionale) a pigiare sul pedale delle riforme. Dopo quella del 2000 sulle 35 ore settimanali (osteggiatissima, ça va sans dire), il nulla.
Ora il governo del premier Manuel Valls ha provato a metter mano al «Code du travail», un volumone da quasi 4mila pagine che disciplina perfino le pause-pipì, soprattutto nella parte che inverte la gerarchia delle norme sociali dando maggiore importanza agli accordi aziendali invece che ai contratti nazionali. Lì, è scattata la rivolta, tra scioperi a getto continuo e scene di guerriglia urbana. In un crescendo di tensione che potrebbe raggiungere l' acme proprio al calcio d' inizio degli Europei. Con conseguenze economiche certo non indolori.
Il turismo, il cui peso è pari al 7% del Pil nazionale, ne è un esempio. Il settore, che faticava a riprendersi dopo le stragi dello scorso novembre, rischia ora, con i disordini di piazza e la paralisi di treni, aerei, distributori di carburanti e centrali nucleari, di subire la diserzione in massa dei visitatori. Soprattutto quelli più ricchi: già nel primo trimestre le prenotazioni alberghiere dei giapponesi sono crollate del 56%, quelle russe sono scese del 35% e quelle cinesi del 14%. Più di un campanello d' allarme. E se le condizioni della congiuntura internazionale dovessero peggiorare, Parigi dovrebbe cominciare a guardarsi le spalle dall' arrivo della recessione.
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