BERSANI IN STATO CONFUSIONALE: VUOLE LA CALTA-SEVERINO SUL COLLE, MA VA BENE ANCHE GRASSO E SPUNTA DE RITA

Laura Cesaretti per "il Giornale"

«È solo l'inizio», assicura Enrico Letta, riecheggiando uno slogan sessantottino, al termine del faccia a faccia tra Berlusconi e Bersani.

L'inizio di cosa, però, nessuno pare saperlo, nel centrosinistra. Lo stratega bersaniano Vasco Errani spiegava a chi gli chiedeva lumi che l'incontro non è stato certo «risolutivo», e che quindi per ora «non si è risolto granché», ma che i due «non hanno rotto su nulla, e questo è già un fatto positivo».

La nebbia comunque resta fittissima. Basta farsi un giro tra i divanetti Pd del Transatlantico e raccogliere opinioni sulle potenziali candidature per il Colle per capirlo. «L'unico possibile nome condiviso, che verrebbe eletto al primo colpo, è Giorgio Napolitano», spiega Matteo Orfini, uno dei leader della sinistra dei «Giovani turchi».

E quell'elezione al primo turno evocata da Orfini corrisponde a quella che - secondo le fonti democrat - sarebbe stata la principale condizione messa sul tavolo dal Cavaliere, che a Bersani ha chiesto di utilizzare «il metodo Ciampi»: un solido accordo trasversale che consenta al nuovo presidente un'elezione immediata, al primo scrutinio, superando il quorum dei due terzi degli eletti.

«Napolitano - argomenta Orfini - sarebbe l'unico in grado di gestire una situazione così difficile, e se lo eleggiamo immediatamente e tutti insieme non dirà di no». Ma basta girare l'angolo, e un ex Ppi come Beppe Fioroni assicura che l'intesa potrebbe essere trovata su un personaggio «che unisca spessore, esperienza e novità», e butta lì un nome «non casuale», quello del presidente del Censis, Giuseppe De Rita. Poi c'è chi butta in pista il ministro Paola Severino, che sarebbe «il vero nome su cui lavora Bersani», perché ieri il segretario del Pd - all'assemblea dei suoi parlamentari - ha lasciato capire di preferire una donna dicendo che è necessario «rispettare l'equilibrio di genere».

«Equilibrio di genere per una carica monocratica? È un po' complicato trovare qualcuno che li riunisca entrambi», ha ribattuto Fioroni. Nella base parlamentare Pd si fa molto il nome di Emma Bonino. Poi c'è chi giura su Luciano Violante, chi ribadisce che l'unico che può mettere d'accordo Bersani e Berlusconi è Pietro Grasso, che «ha il vantaggio di liberare la casella della presidenza del Senato per il centrodestra, che deve essere compensato se darà il via al governo Bersani»; e poi c'è sempre Romano Prodi che aleggia.

A riprova del fatto che l'ex premier stia lavorando per il proprio ritorno, modello Conte di Montecristo, c'è la presenza costante a Roma e a Montecitorio di due suoi ambasciatori come Arturo Parisi e Ricky Levi.

L'unico indizio che fa pensare che un'intenzione di accordo tra Bersani e Berlusconi ci sia è il protagonismo polemico di Matteo Renzi, che sospetta che l'inciucio abbia come l'obiettivo di impedirgli di scendere in campo. Ieri, rispondendo ad una battuta acida di Bersani (che lo ha accusato senza nominarlo di «qualunquismo»), Renzi ha attaccato: «Sono stato criticato perché ho detto al segretario "fate quello che potete".

Bersani ha vinto le primarie, ma poi non ha vinto le elezioni, quello è il problemino». A dimostrazione che contro il temutissimo sindaco di Firenze l'apparato fa muro, il Pd toscano ieri lo ha tagliato fuori dai «grandi elettori» per il Colle, bocciando di stretta misura la sua candidatura in consiglio regionale.

 

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