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Fausto Carioti per Libero Quotidiano
Il risultato uscito dalle urne può fare storcere il naso, ma ha due grossi pregi. Il primo è l' onestà: il nuovo Parlamento rispecchia le scelte degli italiani. Stavolta a Montecitorio non c' è nessun partito che con il 29% dei suffragi pretende di governare il Paese e riscrivere le regole del gioco a nome di tutti, come ha fatto il Pd, grazie a quel premio di maggioranza truffaldino, nella legislatura che si è appena conclusa.
La seconda cosa buona è che l' esito del voto non affida le chiavi dell' Italia a chi può rovinarla con maggiore spesa pubblica e nuove tasse, perché né i Cinque Stelle né la sinistra pro-immigrazione di Pietro Grasso e Laura Boldrini hanno i numeri per governare, neanche se si alleano tra loro. Non saremo, insomma, nel migliore scenario possibile, ma le cose sarebbero potute andare molto peggio.
Dicono che c' è il problema della governabilità. Un esecutivo legittimato dalle Camere non è ipotizzabile oggi e probabilmente non lo sarà per settimane, forse mesi. Quanto alla squadra capitanata da Paolo Gentiloni, che resterà in carica nel frattempo, è stata ridotta dagli elettori a un gruppo di zombie della politica: chi ha ottenuto meno del 20% dei voti non ha alcun diritto a prendere decisioni che riguardano l' intera collettività.
I ministri piddini ora sanno di essere degli usurpatori e se hanno un briciolo di decenza si asterranno dal fare alcunché, limitandosi a intascare il lauto stipendio senza combinare nulla, che sarà sempre meglio di quello che hanno combinato sinora. Ma è davvero un problema, la mancanza di un governo vero? No. Non più, almeno, perché rispetto a sabato il quadro è cambiato e adesso c' è una certezza, rappresentata dai rapporti di forza all' interno delle due assemblee appena elette.
Guardando la composizione degli emicicli, il non-governo è di gran lunga la situazione preferibile, che le voglie dei partiti potrebbero solo rovinare. Molto meglio l' ingovernabilità che un esecutivo guidato dall' alleanza tra due o più forze oggi rivali, ognuna delle quali si presenterebbe a palazzo Chigi con i propri appetiti e le proprie clientele da sfamare.
Per capirsi, un ipotetico governo sorretto da Cinque Stelle, Pd e Liberi e Uguali, del quale si parla in queste ore, avrebbe nel proprio programma il reddito di cittadinanza dei grillini (almeno 15 miliardi di euro l' anno), gli interventi per le periferie promessi dai democratici (2 miliardi) e la riforma dell' Irpef disegnata dai compagni di Leu (20 miliardi). O comunque qualcosa di molto simile. Ai posteri, sotto forma di ulteriore debito pubblico, il compito di saldare il conto.
IL SALASSO
Possono cambiare i partiti coinvolti nell' operazione, ma il risultato è comunque un obbrobrio politico e un salasso per il contribuente. Chi spinge per un' alleanza tra M5S e Lega, ad esempio, dovrebbe spiegare come la "tassa piatta" al 15% che vuole introdurre il nuovo "re del Nord" Matteo Salvini possa conciliarsi con gli stipendi a sbafo che Luigi Di Maio intende far piovere sul Mezzogiorno.
Il discorso non cambierebbe granché se, anziché interi partiti, facessero il salto della quaglia gruppi di parlamentari fuggiti dall' orbita del Pd per aggregarsi ai Cinque Stelle o al centrodestra. Nessuno dei transumanti lo farebbe gratis, ognuno chiederebbe un tornaconto per se stesso e per il proprio collegio e l' esecutivo si reggerebbe in piedi solo per pochi voti. Sarebbe un governo paralizzato, sotto ricatto continuo da parte dell' ultimo dei peones.
La scusa dell' economia non regge. Gli allarmi della vigilia su un' aggressione dei mercati ai nostri titoli pubblici e privati, intanto, si sono dimostrati infondati: le reazioni dello spread e della Borsa sono state minime. In ogni caso, se la situazione si farà pesante, a difenderci sarà il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, non certo un governo raccogliticcio come quelli che si sta cercando di mettere in piedi.
Quanto alla crescita, che essa dipenda dalle riforme è una delle tante bufale messe in giro dai politici per giustificare i loro stipendi. Governi e parlamenti, quando funzionano bene, possono redistribuire i soldi senza produrre troppi danni, ma non possono creare ricchezza. Questo è un compito che spetta alle imprese, le quali lo fanno tanto meglio quanto minore è l' ingerenza dello Stato.
Dunque, se le riforme sono scritte da incompetenti e statalisti che pensano solo ad accrescere il proprio consenso allargando i cordoni, meglio non averle e restare come siamo.
COME ANGELA
L' ultima dimostrazione l' ha data la Germania di Angela Merkel, in cerca di qualcuno che la governi dalle elezioni del 24 settembre. Ha chiuso il 2017 con un' impennata e una crescita record del 2,2% e nell' anno in corso continua a viaggiare a una velocità che non toccava dal 2011; i nuovi posti di lavoro vengono di conseguenza. Poco prima era stato il turno dell' Olanda: 208 giorni senza governo e Pil aumentato del 3,2%, risultato migliore dell' ultimo decennio. E l' anno precedente la Spagna, priva di esecutivo per dieci mesi, aveva visto balzare l' economia del 3,2%.
In Italia le cose sembrano mettersi bene, almeno per quelli che sono i nostri miseri standard. Ieri l' Istat ha diffuso un rapporto in cui conferma per i prossimi mesi "il mantenimento di uno scenario macroeconomico favorevole". Questo perché ci siamo agganciati alla ripresa internazionale: non correremo come gli altri, ma almeno avremo il segno positivo. Un piccolo miracolo che non merita di essere rovinato da aspiranti ministri smaniosi di mettere in mostra la loro incapacità.
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