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Alessandro Pasini per il "Corriere della Sera"
Quando ti dicono tutti che il campionato puoi solo perderlo è la volta che lo perdi davvero. L'Inghilterra intera lo ripeteva dall'estate scorsa: la Premier può buttarla solo il Manchester City. Poi, strada facendo, José Mourinho ha rincarato la dose provando, con i suoi famosi «mind games», ad alzare la pressione.
Così per poco non è accaduto: il 27 aprile, a tre giornate dalla fine, prima di Liverpool-Chelsea 0-2, il City era a meno 6 dai Reds e la sua quota era 11/2. Ma Gerrard è impazzito, poi il Chelsea è crollato e i Citizens sono tornati padroni della situazione fino al trionfo di ieri: 2-0 in casa al West Ham, gol di Nasri e Kompany, e quarto campionato della storia del club in tasca. Alla faccia di tutti.
L'artefice del trionfo annunciato è Manuel Pellegrini, 60 anni, ingegnere cileno con discendenza italiana (il nonno era lucano), un passato di vittorie in Sudamerica ma una verginità di successi in Europa (nonostante un passaggio pure al Real Madrid, che lo licenziò per prendere proprio il nemico Mou) che aveva generato perplessità .
Ma «questo uomo affascinante» («This charming man», vecchia canzone degli Smiths rispolverata per lui dai tifosi) con serietà , gusto per l'estetica e capacità pratica di assemblare un cast colossale senza negare a nessuno una scena madre, ha lavorato duro, non ha mai perso la testa e alla fine è diventato il primo tecnico non europeo a vincere la Premier.
«Ci insegna la gioia di giocare, la voglia di attaccare sempre e la serenità », ha detto di lui David Silva, uno dei giocatori più belli da vedere al mondo. La rosa, poi, aiuta. Grazie infatti ai denari degli emiri di Abu Dhabi - che dal 2008 hanno cambiato la storia del club investendo un miliardo e 200 milioni, vincendo 5 titoli e infrangendo le regole del fair-play finanziario - ieri in formazione c'erano tipi come Aguero, Dzeko, Yaya Touré, Silva e Nasri, e in panchina, lo specchio vero del valore di una squadra, stavano Fernandinho, Milner, Lescott, Negredo, Clichy e Jovetic.
Vista così, forse l'imperativo di vincere non era tanto infondato. Il City comunque lo ha rispettato dando grande spettacolo, reagendo agli infortuni e alle fisiologiche cadute di una stagione, reggendo la pressione di un torneo magnifico (le prime 4 in 9 punti dopo 25 cambi di capolista), segnando 102 gol (capobomber con 20 Touré, un centrocampista e non è un caso) e stendendo via via il solito Arsenal interruptus, il Chelsea intermittente e il Liverpool maledetto.
«Complimenti a loro. Le mie chance di vincere un campionato sono finite», ha detto Steven Gerrard dentro un Anfield che cantava triste e fiero per i suoi eroi senza titolo dal 1990. E anche questa è Inghilterra. Quanto al Manchester United, chi l'ha visto? Settimo a meno 22, nel vortice del post-Ferguson, l'uomo che, quando il mondo girava nel senso opposto, aveva definito i Citizens «vicini rumorosi». Come li chiamerebbe ora?
Pellegrini (che a marzo aveva vinto anche la Coppa di Lega) entra così nel solco segnato da Roberto Mancini, il quale nel 2012 vinse un titolo atteso dal 1968. Il prossimo passo è l'Europa: quest'anno il City è uscito agli ottavi di Champions con il Barcellona.
Lì si può migliorare, lo dice anche Pellegrini: «I grandi club non possono accontentarsi di un solo titolo». Prima o poi l'ingegnere, con l'emiro e i soliti fenomeni, risolverà anche questo problema .
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