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Giuseppe Sarcina per il "Corriere della Sera"
Il 26 febbraio del 1962 Marilyn Monroe brinda con lo champagne nella cena di gala in suo onore al Continental Hilton Hotel, a Città del Messico. Viene da mesi difficili. All'inizio del 1961 aveva divorziato dal suo terzo marito, il commediografo Arthur Miller. Subito dopo aveva cominciato a girare per cliniche e ospedali, navigando pericolosamente tra super alcolici e farmaci. Ma la foto di quella sera messicana, per quanto in bianco e nero, ce la restituisce nel suo splendore.
Un viaggio di piacere: un po' di turismo, un po' di shopping. Certo, difficile immaginare che fosse in missione per conto dei cospiratori comunisti americani. Non però per il Federal bureau of investigation, l'Fbi guidato da Edgar Hoover, il guardiano della purezza democratica americana, da proteggere da ogni possibile contaminazione comunista. Frank Sinatra, Charlie Chaplin, lo stesso Arthur Miller, erano «monitorati» dagli agenti di Hoover.
E tra loro, scopriamo ora, c'era anche Marilyn, come dimostrano i rapporti dell'Fbi ottenuti dall'agenzia di stampa Associated Press e pubblicati in questi giorni. I documenti finora erano rimasti «secretati» e certamente aggiungono particolari inquietanti su quella stagione (il maccartismo, la «caccia alle streghe») e sulla vita dell'attrice americana più popolare di tutti i tempi.
Marilyn trascorse buona parte di quei giorni messicani in compagnia di Frederick Vanderbilt Field, un personaggio a suo modo irregolare, anticonformista. Nel 1962 Field era già un maturo cinquantacinquenne, veniva da una famiglia ricchissima: il suo bisnonno Cornelius «Commodore» Vanderbilt era stato uno dei più importanti costruttori di ferrovie. Il ragazzo Frederich, però, non aveva preso nulla della furia imprenditoriale del «Commodore».
Aveva studiato alla Harvard University, poi alla London School of Economics, dove aveva contratto il «virus» delle idee socialiste, per altro nella blanda versione della dottrina fabiana. Tornato negli Stati Uniti si era messo a lavorare per le organizzazioni socialiste, disertando le imprese familiari, finché il prozio decise di cancellarlo dalla successione ereditaria. Frederich perse così 70 milioni di dollari e si tuffò, finalmente libero, nell'attivismo filocomunista staliniano, finché nel 1948 Louis Budenz, ex direttore del Daily Worker, giornale con cui aveva collaborato prima della guerra, non lo denunciò all'Fbi come «membro del partito comunista».
Seguirono due anni di penose audizioni, interrogatori e processi. Field si fece anche 3 mesi di carcere nel Kentucky. Uscito di galera riparò con la moglie in Messico. Un uomo così doveva averne di cose da raccontare, vicende intriganti per una donna stabilmente inquieta come era Marilyn. E così i due passarono molto tempo insieme. Frederich dedicò un intero capitolo della sua autobiografia all'incontro con l'attrice, raccontando di come lui e la moglie la accompagnassero per negozi.
Solo poche righe, invece, toccano la politica (e le prendiamo dal sito del Daily News): «Marilyn ci parlava molto di sé e delle persone che erano state importanti per lei, o che ancora lo erano. Ci parlò anche del suo forte interesse per i diritti civili, per l'eguaglianza dei neri, così come della sua ammirazione per quanto era stato realizzato in Cina, della sua rabbia per la "caccia ai rossi", per il maccartismo e per l'odiato direttore dell'Fbi, Edgar Hoover».
Ma proprio Hoover non aveva mai escluso Frederich Vanderbilt Field dai suoi radar. In quel febbraio del 1962 i funzionari di Hoover ricevano i dispacci degli informatori dislocati in Messico e compilavano le note ora pubblicate dall'agenzia Ap. Si legge anche di una «mutual infatuation tra Field e Monroe».
Una passione amorosa, che «suscitò preoccupazione anche tra le persone più vicine all'attrice, a cominciare dal suo terapeuta». Il «file» dell'Fbi si conclude così, senza aggiungere nuova luce sulla morte di Marilyn che arrivò il 5 agosto 1962, ufficialmente archiviata come «probabile suicidio». Solo qualche mese prima, il 19 maggio, di ritorno dal Messico, «la sospetta amica dei comunisti», aveva cantato «Happy Birthday» al Madison Square Garden di New York, per la grande festa del presidente John Kennedy. Serata da brivido, ma decisamente poco comunista.
MARILYN MONROE - PLAYBOYMARILYN MONROE - PLAYBOYMARILYN MONROEMARILYN MONROE arthur millerJ EDGAR HOOVER
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