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Marco Cremonesi per il "Corriere della Sera"
«A volte ritornano». Nel Carroccio è il commento più lieve all'ipotesi di una nuova candidatura di Silvio Berlusconi a premier. Un riferimento al racconto di Stephen King in cui alcuni teppisti riemergono dall'oltretomba. Roberto Maroni, in Transatlantico, si lascia andare a una battuta: «Berlusconi scende in campo? E dove? A San Siro?». Poi taglia corto, con un gesto aereo della mano: «Sono soltanto indiscrezioni...». Ma i cronisti insistono: la possibilità è stata confermata da Angelino Alfano. «E allora - è la risposta - sentirò Angelino Alfano».
à vero: il neosegretario leghista ha detto e ripetuto che «il tema delle alleanze è all'ultimo posto dell'agenda». Troppe le variabili in campo, troppo il lavoro da fare sul partito. Eppure, il ritorno sul proscenio di Silvio Berlusconi, per il Carroccio, è fumo nero negli occhi. Un'ipotesi capace di compromettere qualsiasi possibilità di alleanza futura. La nuova Lega a guida Maroni, difatti, punta tutto sulla discontinuità , sul ricambio, sulla stagione nuova che risponde a mutate condizioni politiche ed economiche.
Impossibile costruire la nuova immagine alleandosi con un Pdl che ripropone Berlusconi. Il capogruppo padano a Montecitorio, Gian Paolo Dozzo, lo dice chiaro che di più non si può: «La ricandidatura di Berlusconi? Non ci credo finché non lo vedo». Il punto è tutto lì: «Pensavo - aggiunge Dozzo - che all'interno del Pdl ci fosse bisogno di un rinnovamento e che questo passasse attraverso Angelino Alfano. Vedo, invece, che probabilmente non sarà così».
E poi c'è l'altro aspetto della questione, il fronte interno a un partito che ha fretta di superare l'ingombrante passato. Da questo punto di vista, Umberto Bossi ormai è come Lord Voldemort in Harry Potter: colui che non deve essere nominato. E tantomeno evocato. Sennonché, osserva un deputato padano, «dire Silvio Berlusconi significa dire Umberto Bossi. Significa ridare linfa a tutti coloro, e non sono pochi, che non hanno capito che il mondo in pochi mesi è cambiato. Se solo penso al ritorno della vecchia pratica del "ci mettiamo d'accordo lunedì ad Arcore" mi vengono i brividi».
Ad accrescere la preoccupazione - meglio, l'irritazione - il fatto che non passa giorno senza che Bossi non piombi a piedi uniti in mezzo all'arena. Dicendo a chiare lettere - come ha fatto l'altro giorno con Davide Vecchi del Fatto quotidiano - che «il capo» è ancora lui.
C'è chi dice che Maroni e Berlusconi si siano visti di recente per discutere di legge elettorale e presidenza della Regione Lombardia. Chissà se è vero. Resta il fatto che la strategia «bavarese» di Roberto Maroni era fin qui incardinata sul ricambio generazionale, politico e d'immagine tra Berlusconi e Alfano. Parallelo e simmetrico a quello avvenuto tra lo stesso «Bobo» e Bossi: dai capi partito carismatici che decidono da soli di fronte alle pennette tricolore di Arcore, a leader che sono l'espressione di partiti «normalizzati», con percorsi decisionali più partecipati e «democratici».
Partiti finalmente liberi dalla tutela sempre più ingombrante dei loro fondatori. E partiti, con qualche malizia, «complementari»: il movimento di «Prima il Nord» guidato dal varesino Maroni e quello «nazionale» guidato dal siculo Alfano. Eppure, va detto: in realtà , nel Carroccio, sono in pochi a credere che il prossimo candidato premier del Pdl possa ancora essere Silvio Berlusconi: «à fumo. Roba buttata lì per vedere, come dice Jannacci, l'effetto che fa».
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