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“TROVO DANNOSO CHE PERSONE CHE NON HANNO RESPONSABILITÀ POLITICHE SI METTANO A DARE DIRETTIVE” – ALLA PRESENTAZIONE DELLA SUA RIVISTA "ITALIANIEUROPEI", MASSIMO D'ALEMA SI RITROVA FIANCO A FIANCO A ELLY SCHLEIN E MAURIZIO LANDINI E INFIOCINA PRODI E GENTILONI – IL FILO-CINESE DALEMAO, NELLA VERSIONE DI RASPUTIN DI ELLY, LE CONSIGLIA DI STUDIARE L’ULIVO “COME PATRIMONIO STORICO”, ELOGIA MAMDANI, FA MEA CULPA SUL LAVORO (“SULLA FLESSIBILITA' QUALCOSA SBAGLIAMMO”) E DRIBBLA LA DOMANDA SULLA BARCA DI FICO: “C'E' UN LIMITE ALLA MISERIA UMANA, INTELLETTUALE E MORALE, FORTUNATAMENTE NON SONO PIU' TENUTO A PARTECIPARE A QUESTO TIPO DI ROBA”
Francesca Schianchi per “la Stampa” - Estratti
Delle vecchie glorie del Pd, mancava la sua voce. Romano Prodi ha detto cosa pensa del partito e della possibile alternativa alla destra – «scarsa e senza visione» –, Paolo Gentiloni pure e non è stato molto più tenero («se qualcuno pensa che l'alternativa già c'è, good luck»): Massimo D'Alema, invece, per la prima volta dopo molto tempo nelle stanze dei dem, gomito a gomito con la segretaria Elly Schlein, è meno severo.
La invita a intrecciare un rapporto col mondo della cultura – «c'è chi vorrebbe dare un contributo e andrebbe chiamato più spesso a dialogare» –, la incoraggia implicitamente sulla strada del campo largo – «si vince e si perde insieme: l'egemonia del partito dentro una logica di coalizione ha un valore relativo» –, cita l'Ulivo come «patrimonio storico» che riuscì a ridurre le diseguaglianze mantenendo un rigore nella finanza pubblica.
Il tutto in un breve intervento e, giura, senza voler indicare modelli da seguire: «L'esperienza mi dice di stare fuori da questo tipo di dibattito. Trovo dannoso che persone che non hanno responsabilità politiche si mettano a dare direttive». Capito Prodi e Gentiloni?
Sono consigli sornioni, proposti in punta di piedi, diciamo, che alla segretaria però saranno arrivati forti e chiari. L'occasione è la presentazione dell'ultimo numero della rivista Italianieuropei, incentrata sul lavoro al giorno d'oggi, vasto programma affrontato da un parterre di teste canute ad eccezione di Schlein: il segretario della Cgil Maurizio Landini, l'ex commissario europeo al Lavoro Nicolas Schmit, l'ex sottosegretaria Cecilia Guerra.
Si parla di questione salariale, di precarietà dilagante (Landini racconta di quando a fine anni'70 ha iniziato a lavorare, e non ha fatto un giorno da precario: Schlein, classe 1985, lo guarda come un marziano), di «ascensore sociale che si è rotto e dentro si soffoca» (lo dice la segretaria dem), inevitabilmente anche di una manovra che non convince nessuno, su questo palco: «Facciamo uno sciopero di venerdì, eh sì, perché la finanziaria ci porta a sbattere. Il ministro Giorgetti ce lo ha detto: il loro obiettivo è il 3 per cento, per avere più flessibilità l'anno prossimo quando dovranno fare la manovra delle elezioni», denuncia Landini.
Elly Schlein, in ritardo di un'ora, al centro del tavolo; Landini alla sua destra, D'Alema alla sua sinistra. Un'immagine che farà venire l'itterizia a chi nel partito non fa che dirle che deve spostarsi un po' più in là, meno sinistra e più centro. Macché, per accogliere il ritorno nelle stanze del gruppo del Pd di Montecitorio del segretario Cgil e dell'ex premier, fuori dal Parlamento dal 2013, c'è anche una sfilza di fedelissimi: Peppe Provenzano, Igor Taruffi, Marta Bonafoni.
La nuova generazione dem che non è così lontana da come la vede D'Alema, almeno quando dice che nella sfida del centrosinistra «sarà fondamentale tornare a parlare con quella parte più debole della popolazione» che non vede più nella democrazia un'opportunità di cambiamento, e ha smesso di votare («per il 65-70 per cento è tra le fasce sociali più basse: siamo a un modello di partecipazione censitaria»).
Lo ascoltano con attenzione quando elogia il neosindaco di New York Mamdani per «la capacità di portare al voto la parte più marginale della popolazione», o quando definisce la destra «la forza del declino italiano perché non regge la sfida demografica».
Infila un consiglio tra le righe della cronaca, quando cita la sua recensione a un libro di Emanuele Felice intitolato Manifesto per un'altra economia e un'altra politica: «Un manifesto-programma fondamentale dell'opposizione secondo me è una questione molto interessante». Pure qui sfonda una porta aperta: riunirsi per stilare un programma comune con gli alleati è la proposta fatta da Schlein per il dopo Regionali.
D'accordo anche sul lavoro, anche se Landini guarda i suoi vicini di banco e dice: «Dobbiamo essere sinceri: le leggi balorde per mettere in discussione i diritti e ampliare la precarietà non le ha fatte solo la destra». Sottinteso: pure voi che state a questo tavolo. Difficile riferirsi a Schlein, che non ha mai governato un giorno; D'Alema incassa e alla fine ammette, in un inciso mentre elogia l'Ulivo, che «sulla flessibilità però qualcosa sbagliammo».
Fine del pomeriggio: l'ex premier sfila tra i giornalisti consigliando di leggere libri, «questa vecchia abitudine», sospira. Dribbla la domanda sulla barca di Fico («c'è un limite alla miseria umana, intellettuale e morale, fortunatamente non sono più tenuto a partecipare a questo tipo di roba»)
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