DAGOREPORT - BLACKSTONE, KKR, BLACKROCK E ALTRI FONDI D’INVESTIMENTO TEMONO CHE IL SECONDO MANDATO…
(askanews) – “Favorire una concorrenza priva di eccessi; gestire con prudenza le finanze pubbliche, impegnandosi per stimolare la crescita e ridurre il debito; preservare la stabilità monetaria; spostare il concetto di sovranità dal livello nazionale in favore di un’Europa più forte, aperta e solidale, che conti nel mondo”. Solo gli elementi chiave su cui si è soffermato Fabio Panetta, governatore della Banca d’Italia nel suo intervento al convegno “L’insegnamento di Luigi Einaudi a 150 anni dalla nascita”, in corso nella Sala della Protomoteca del Campidoglio, a Roma.
“Ho menzionato oggi solo alcuni degli insegnamenti di Luigi Einaudi. Insegnamenti ancora attuali che guidano tuttora la Banca d’Italia nella sua attività quotidiana al servizio del nostro paese. Questi pochi ricordi tratti da un’opera immensa – ha detto Panetta – mostrano l’intensità con cui Einaudi dedicò la propria vita, il proprio lavoro, la propria produzione intellettuale al bene comune”. “Dal suo esempio discende un insegnamento chiaro, orientato al futuro, da tramandare nel tempo. Per queste ragioni la Banca d’Italia è lieta di partecipare alle celebrazioni dei 150 anni dalla nascita del Presidente e del governatore Luigi Einaudi. Con questo convegno e con l’opera del Comitato nazionale – ha concluso Panetta – si rinnova oggi l’impegno di trasmettere alle nuove generazioni gli insegnamenti del Maestro”.
MATTARELLA
Estratti da roma.corriere.it
«Nel 150esimo anniversario della nascita, la Repubblica ricorda Luigi Einaudi, primo capo dello Stato eletto con le regole della Costituzione del '48, costruttore tra i più importanti della nostra democrazia, figura di elevato prestigio internazionale che aiutò l'Italia nel dopoguerra a riconquistare la dignità perduta con il fascismo». Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, lunedì 25 marzo, ha partecipato in Campidoglio al convegno in ricordo di Luigi Einaudi.
«Grande è il debito che la comunità nazionale ha verso questo padre della Patria e ricco il patrimonio di pensiero, di azione politica, di equilibrio istituzionale, di coerenza personale, che ci ha lasciato - ricorda il capo dello Stato nella Sala della Protomoteca di Palazzo Senatorio -. Economista di vasta cultura, sensibile ai temi dell'equità sociale, democratico autentico che non ebbe timore a firmare nel 1925 il Manifesto degli intellettuali non fascisti di Benedetto Croce, Luigi Einaudi si dedicò con intelligenza e passione alla ricostruzione del Paese e poi, da presidente della Repubblica, spiegò il suo impegno a tessere la tela della nuova democrazia italiana.
Costituente, ministro e vicepresidente del Consiglio, governatore della Banca d'Italia, Einaudi ha impresso la propria impronta con sobrietà e misura, grande determinazione e fede nella libertà, contribuendo a far crescere il consenso su quei valori che hanno consentito all'Italia di risalire dalle macerie della guerra e della dittatura. Il convinto europeismo di Einaudi risalta come un'altra chiara testimonianza della sua capacità di visione del futuro. Tutto questo rende prezioso e vitale il suo insegnamento», conclude.
Il contributo di Einaudi
Attraverso l'esplorazione dei suoi scritti, dei suoi discorsi e delle sue azioni, il Comitato nazionale per i 150 dalla nascita di Luigi Einaudi, si fa promotore di una serie di eventi e iniziative, sotto l'alto patronato del presidente della Repubblica, per trasmettere non solo la conoscenza di una grande personalità, ma anche il suo spirito di innovazione e il suo coraggio, celebrando i 150 anni dalla sua nascita. Un'occasione per riflettere sul contributo di Luigi Einaudi alla storia e al pensiero politico ed economico, confermando il suo ruolo di riferimento imprescindibile per il dibattito contemporaneo sulla libertà e la democrazia. «Einaudi non fu solo un uomo di Stato - ha dichiarato Giuseppe Vegas presidente del Comitato Nazionale per i 150 dalla nascita di Luigi Einaudi - ma rappresentò una umanità a tutto tondo, un contemporaneo uomo rinascimentale. La figura di Einaudi si colloca tra i padri della nostra patria repubblicana assumendosi il compito di delineare un metodo per i suoi successori».
(...)
LA LEZIONE DI LUIGI EINAUDI SUL PARADOSSO DELLA CONCORRENZA
Guido Stazi (segretario generale Antitrust) per https://www.milanofinanza.it/ - Estratti
Il pensiero del grande economista e politico liberale Luigi Einaudi si è dispiegato dagli inizi del ‘900 alla sua scomparsa in migliaia di scritti e interventi attraversando i grandi temi della teoria economica ma anche quelli politici e culturali derivanti dalla caduta in Europa delle monarchie liberali ottocentesche, dall’avvento dei regimi totalitari e dalla nascita delle repubbliche costituzionali. Tutti eventi che lo videro protagonista, coronati dall’elezione a presidente della Repubblica il 12 maggio 1948.
Ma il tema che ha intessuto continuamente la sua riflessione intellettuale è stato quello dei rapporti tra Stato e mercato, tra la libertà di iniziativa economica dei singoli e i limiti posti dalle leggi e dall’intervento pubblico, fino al dibattito con Benedetto Croce (...)
Quando a metà degli anni ‘50 in Italia si discuteva sull’opportunità di introdurre una legge a tutela della concorrenza Einaudi affermò: «È lecito manifestare un qualche scetticismo intorno al successo del tentativo quando si pensi che molta parte della legislazione vigente e dell’opera, consapevole o no, dell’amministrazione italiana è precisamente volta a porre le condizioni nelle quali fioriscono i monopoli». In effetti la prima legge antitrust italiana vide la luce solo molti anni dopo, nell’ottobre 1990.
La questione che Einaudi poneva era costituita dalla natura delle regole da applicare al mercato in una società liberale (...) Quindi c’è un elemento di paradosso nel proporre in una società liberale una legge - cioè un intervento dello Stato - a tutela della concorrenza e non a caso dieci anni fa per i «tipi» di Rubbettino a cura di Alberto Giordano è stato pubblicato «Il paradosso della concorrenza», volume che rispolverava alcuni saggi einaudiani dei primi anni ‘40.
Tra questi «Economia di concorrenza e capitalismo storico», in cui Einaudi affermava che «le norme giuridiche le quali oggi favoriscono o tollerano accordi taciti o palesi per rialzare prezzi, profitti, rendite e salari debbono essere sostituite da altre che quegli accordi rendano impossibili; e la osservanza della nuova legge deve essere affidata a magistrati indipendenti e inflessibili, posti all’infuori di ogni possibilità di arbitrio o di favore.
La pianta della concorrenza non nasce da sé e non cresce da sola; non è un albero secolare che la tempesta furiosa non riesca a scuotere; è un arboscello delicato il quale deve essere difeso con affetto contro le malattie dell’egoismo e degli interessi particolari e sostenuto attentamente contro i pericoli che d’ogni parte del firmamento economico lo minacciano».
Dall’altro lato però, «il paradosso della concorrenza sta in ciò che essa non sopravvive alla sua dominazione. Guai al giorno in cui essa domina incontrastata in tutti i momenti e in tutti gli aspetti della vita. La corda troppo tesa si rompe». Anche perché «la sostanza dell’economia capitalistica non sta nel rendere schiavi gli uomini delle cose, sì nell’opposto concetto di liberare gli uomini dalla schiavitù di lavorare così duramente come prima per ottenere la stessa quantità di cose».
E per raggiungere questi obiettivi sociali era necessario «ridurre il campo dove vigoreggiano la grande impresa, la industria colossale, i grandi magazzini, le agglomerazioni operaie, le città mostruose. Anche laddove la macchina comanda, dove la concorrenza impone la riduzione dei costi spingendo al massimo la divisione del lavoro, importa opporre una diga, molte dighe al dilagare del livellamento, dell’asservimento degli uomini alla macchina bruta; importa combattere i cartelli, i monopoli, i consorzi e decentralizzare l’industria».
Il pensiero di Einaudi aveva presente i guasti, anche politici, delle grandi concentrazioni industriali e dei cartelli promossi in quegli anni dai regimi totalitari in Germania e Italia, ma, letto oggi, mostra una grande attualità nelle preoccupazioni derivanti dal gigantismo industriale determinato dalla rivoluzione tecnologica e dai suoi impatti non solo sugli assetti economici e la vita delle persone ma anche su quelli democratici e geopolitici.
Perché, citando ancora il pensiero di Einaudi, «il frutto spirituale immateriale più alto della economia di mercato è quello di sottrarre l’economia alla politica. Le decisioni su quel che si deve produrre, sul come produrlo, sul quanto produrre sono prese direttamente dal vero unico padrone del mercato, dall’uomo consumatore. I consumatori decidono, ciascuno per conto proprio, e i produttori ubbidiscono in guisa da soddisfare perfettamente le esigenze dei consumatori».
A 150 anni dalla sua nascita Einaudi ci ricorda che la libertà economica e quella politica sono due facce della stessa medaglia.
EINAUDI
Per anni, gli italiani, negli uffici e nei negozi, sono stati accolti dalle parole di Luigi Einaudi, presidente della Repubblica dal 1948 al 1955. Sulle pareti era incorniciato, come fosse un manifesto, un passo del discorso Dedica all'impresa dei Fratelli Guerino di Dogliani pronunciato da Einaudi nel 1960.
Ecco cosa diceva: «Migliaia, milioni di individui lavorano, producono e risparmiano nonostante tutto quello che noi possiamo inventare per molestarli, incepparli, scoraggiarli.
È la vocazione naturale che li spinge; non soltanto la sete di denaro. Il gusto, l'orgoglio di vedere la propria azienda prosperare, acquistare credito, ispirare fiducia a clientele sempre più vaste, ampliare gli impianti, abbellire le sedi, costituiscono una molla di progresso altrettanto potente che il guadagno. Se così non fosse, non si spiegherebbe come ci siano imprenditori che nella propria azienda prodigano tutte le loro energie e investono tutti i loro capitali per ritrarre spesso utili di gran lunga più modesti di quelli che potrebbero sicuramente e comodamente con altri impieghi».
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