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“LA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE NON RISOLVE NESSUN PROBLEMA E INCIDE SU EQUILIBRI COSTITUZIONALI DELICATISSIMI” – MAURIZIO DE LUCIA, PROCURATORE PALERMO: “LA PARITÀ TRA PM E DIFESA NEI PROCESSI DAVANTI A UN GIUDICE TERZO E IMPARZIALE È GIÀ GARANTITA; SEMMAI BISOGNEREBBE PREOCCUPARSI DELL’ACCESSO AD AVVOCATI BRAVI E ATTREZZATI. SI RISCHIA DI CREARE UNA CORPORAZIONE DI CIRCA 1.500 PM CHE RISPONDE SOLO AL PROPRIO CSM” – “LA MAFIA? C’È UNA NUOVA LEVA CHE STA PRENDENDO PIEDE. IN CARCERE ENTRA DI TUTTO, E C’È TROPPA LIBERTÀ DI CIRCOLAZIONE. CHI NON È UN SOGGETTO APICALE FINISCE PER DIVENTARLO”
Estratto dell’articolo di Giovanni Bianconi per il “Corriere della Sera”
il procuratore Maurizio De Lucia
«C’è una nuova leva di mafiosi e potenziali mafiosi che sta prendendo piede, affermando il proprio potere sia in carcere che fuori», avverte il procuratore di Palermo Maurizio De Lucia.
Che prende spunto dall’ultima operazione antimafia — 181 persone arrestate, metà delle quali con meno di quarant’anni d’età — per analizzare l’attuale situazione di Cosa nostra e lo stato della giustizia alla luce delle riforme varate o in via di approvazione.
È in corso un ricambio generazionale dentro la mafia?
«Sì, da parte di giovani cresciuti dopo la stagione delle stragi che però conservano una forte fascinazione per la strategia corleonese e adottano nuove forme di comunicazione. L’uso di telefoni e piattaforme criptate s’è affiancato ai tradizionali pizzini e consente all’organizzazione di continuare ad agire e fare affari come una struttura unitaria, anche senza la Cupola di una volta».
arresto di matteo messina denaro 1
Quindi si conferma che non è vero che i mafiosi non parlano al telefono.
«Non solo non è vero, ma ci parlano benissimo anche dal carcere, consentendo a chi entra di continuare a fare ciò che faceva fuori. E riproponendo la continuità tra il carcere e il territorio di cui parlavano i pentiti negli anni Ottanta. Ci sono detenuti arrivati in cella al mattino che nel pomeriggio hanno chiamato a casa per farsi portare accappatoio e pantofole, destando sorpresa persino nei loro familiari».
Il «41 bis», cioè il cosiddetto «carcere duro» per impedire i contatti dei boss con l’esterno, ha smesso di funzionare?
«No, ma è riservato ai capi […]. Gli altri vanno nel circuito dell’alta sicurezza dove invece entra di tutto, grazie ai droni e altri sistemi, e c’è troppa libertà di circolazione. In questo modo chi non è un soggetto apicale finisce per diventarlo […] ».
[…] Come si può intervenire?
«Nelle carceri ci sono troppe persone e poco controllate. Molte non dovrebbero starci, perché la pena non può essere solo detentiva e sarebbero utili forme sanzionatorie distinte per tipologie di condannati e di reati.
Il recupero dei tossicodipendenti non può passare dalla prigione, come non dovrebbe starci chi ha disturbi mentali: più che criminali sono malati bisognosi di assistenza, ma le strutture previste per legge sono largamente insufficienti […]. Solo superando il sovraffollamento, anche attraverso una depenalizzazione […], si potrà tornare a controllare in maniera adeguata chi realmente deve stare in carcere […]».
LA SEPARAZIONE DELLE CARRIERE - VIGNETTA BY ROLLI - IL GIORNALONE - LA STAMPA
Però sono gli stessi affiliati a lamentarsi, nelle intercettazioni, di una mafia che non è più quella di una volta, ridotta quasi a un’accolita di straccioni costretti ad accontentarsi delle briciole di traffico di droga.
«Che la mafia sia più debole è vero, perché per fortuna trent’anni di repressione avviata dopo le stragi non sono passati invano. Ma della Cosa nostra di un tempo restano il rispetto delle regole, l’attrazione nei confronti dei giovani e la capacità di infiltrarsi nei territori.
Prima delle bombe e dei delitti eccellenti c’era una mafia silente e di relazioni che oggi si tende a ripristinare attraverso la minaccia e l’intimidazione. Per esercitarle si deve ricostruire un esercito, con i soldi provenienti principalmente dal traffico di droga per cui serve il controllo del territorio e delle piazze di spaccio. È una catena necessaria per un ritorno al passato che si sta realizzando anche attraverso alleanze con le altre organizzazioni criminali, a partire dalla ‘ndrangheta».
MATTEO MESSINA DENARO DOPO L ARRESTO
Il ritorno al passato prevede anche rapporti con il mondo della politica?
«Sì, sebbene — allo stato — dalle indagini non si può dire che emergano relazioni di alto livello; la mafia ha altri problemi e oggi non sembra in grado di condizionare la politica.
Dunque ci sarebbe la possibilità di amministrare la cosa pubblica senza subire l’influenza mafiosa; il che non garantisce che lo si faccia sempre in maniera lecita, e rende ancora più grave il comportamento di quegli esponenti politici che cercano il contatto con la mafia pensando di averne vantaggi, come abbiamo verificato anche in tempi molto recenti. Realizzando una sorta di riconoscimento politico della mafia che la rafforza».
[…] Che cosa pensa della separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri?
«È una riforma della magistratura, non della giustizia, e non risolve nessuno dei veri problemi con cui ci confrontiamo ogni giorno, andando invece a incidere su equilibri costituzionali delicatissimi.
La parità tra pm e difesa nei processi davanti a un giudice terzo e imparziale è già garantita dal sistema attuale; semmai bisognerebbe preoccuparsi dell’accesso ad avvocati bravi e attrezzati che non tutti possono permettersi.
Ma soprattutto si rischia di creare una corporazione di circa 1.500 pm, da cui hanno messo in guardia personalità del livello istituzionale di Marcello Pera e Luciano Violante, che risponde solo al proprio Consiglio superiore, mentre nell’attuale Csm unico la rappresentanza dei pm è minoritaria; una realtà che spingerà il pm sotto il controllo del potere esecutivo».
Però la riforma ne garantisce l’indipendenza rispetto ad ogni altri potere.
«Lo hanno scritto, ma nessun sistema democratico può tollerare un pm che non rende conto a nessuno. Si arriverà a necessariamente a un governo esterno, e non potrà che essere del ministro della Giustizia. Col risultato di un’azione penale orientata secondo i desideri della maggioranza politica del momento».
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