MELINA PRESIDENZIALE: CONVENZIONE, REFERENDUM E “SAGGI” PER NON DISCUTERE DI TASSE & MISERIA

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Goffredo De Marchis per "La Repubblica"

«Non sono né contrario né favorevole al presidenzialismo». Ai tre protagonisti del governo per le riforme - Letta, Franceschini e Quagliariello - Giorgio Napolitano offre la sua neutralità. Ma alcuni paletti sono obbligati. Bisogna sapere innanzitutto che l'elezione diretta del capo dello Stato rappresenta «una modifica gigantesca della Costituzione, perciò il lavoro va fatto molto molto seriamente».

Cosa vuole dire Napolitano con queste parole? Che il passaggio da un presidente di garanzia a un presidente di parte costringe i neocostituenti a cercare nuove «strutture» di tutela generale: attraverso il rafforzamento del ruolo della Consulta e del Csm, attraverso il varo, probabilmente, di una legge vera sul conflitto d'interessi. Il Quirinale sa anche che i tempi potrebbero allungarsi di fronte alla rivoluzione della Carta.

Il suo termine di 18 mesi vale come stimolo a non «tirare a campare», è una scadenza che può essere elastica se l'esecutivo marcia spedito sulle riforme e se mette in cantiere un progetto che ha bisogno di un orizzonte un po' più distante.

Delle modifiche al Porcellum, per avere una nuova legge elettorale che dia qualche garanzia nel caso di elezioni a breve, non si è parlato al Quirinale. Ma una corrente di pensiero nel governo (Franceschini) preme perché i partiti si facciano carico del problema. Anche a margine del processo di riforma istituzionale.

Enrico Letta coglie il richiamo del Colle. Accelera la presentazione del disegno di legge costituzionale per il varo della Convenzione parlamentare. Doveva andare in consiglio dei ministri la prossima settimana, verrà votato invece questo venerdì. L'intenzione del premier è quella di seguire la linea del Quirinale: «Non predeterminare nessuna soluzione, non fare il partigiano».

Eppure si è sbilanciato qualche giorno fa: mai più un'elezione del capo dello Stato con le vecchie regole. Però sul ddl che regolerà il percorso, Letta può incidere, eccome. Lo farà garantendo il massimo coinvolgimento del Parlamento, toccando il meno possibile l'articolo 138, che i vecchi costituenti scrissero per assicurare una corretta procedura di
modifica della Costituzione.

Anzi, alcune garanzie verranno rafforzate, in particolare il peso della sovranità popolare. I cittadini avranno l'ultima parola sulla nuova Costituzione.
E sul presidenzialismo, se sarà quello lo sbocco. Sì o no.

La parola al popolo. Il referendum confermativo ci sarà comunque (basta che a chiederlo siano una parte del Parlamento o 5 consigli regionali o 500 mila cittadini), anche se le nuove regole dovessero essere approvate dai due terzi delle Camere. Rimane la doppia lettura come dice il 138, forse sarà ridotto il tempo "sospeso" tra una ratifica e l'altra: da tre mesi a due.

La Convenzione avrà un potere referente, i parlamentari in aula cioè avranno la possibilità di correggere il testo varato dai commissari. La stessa Convenzione sarà formata da 20 deputati e da 20 senatori, con il solito sacrificio del Pd. Questo rischia di aprire una crepa nel Partito democratico, già diviso tra presidenzialisti e anti.

Sostanzialmente, a Largo del Nazareno rinunceranno a essere rappresentati in termini proporzionali al loro peso alla Camera (dove hanno strappato il premio di maggioranza). È un'ulteriore apertura a tutte le forze politiche imposta da Letta. È il segnale che si vuole fare sul serio, tanto più se l'esito finale fosse una riforma sul modello francese. Il Pd poteva usare le maggioranze variabili, con un rigido schema di rappresentanza.

Invece accetta (con molti maldipancia che si esprimeranno nella direzione di oggi) di essere penalizzato più volte. Per il numero pari di membri di Camera e Senato, per la regola di far entrare tutti i gruppi (compreso il Gal per dire, una costola del Pdl spuntata dal nulla a Palazzo Madama), per la rinuncia (ancora in discussione) di avere tanti commissari in rapporto diretto ai voti presi alle elezioni.

Prima di venerdì vedrà la luce anche la commissione governativa che aiuterà il lavoro delle Camere. La preparano Dario Franceschini e Gaetano Quagliariello. Al Quirinale hanno parlato dei nomi, saranno 25. Ci saranno alcuni "saggi" quirinalizi come Luciano Violante, Giovanni Pitruzzella, Valerio Onida. Con loro Beniamino Caravita di Toritto, Stefano Ceccanti, il giovane Francesco Clementi, Nicolò Zanon.

E verrà rappresentata anche l'anima che difende la Costituzione vigente e non vuole toccarla. Stefano Rodotà farà dei nomi. I saggi svolgeranno un'opera di supporto. Ma per rispettare l'articolo 138, il cuore della discussione sarà in Parlamento. Eppoi, nelle urne, alla fine del percorso.

 

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