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Maurizio Molinari per âLa Stampa'
Hamas e Al Fatah siglano l'unità nazionale, Israele reagisce annullando l'incontro sul negoziato di pace e Washington avverte Abu Mazen: «Il nuovo esecutivo dovrà riconoscere lo Stato Ebraico altrimenti vi saranno conseguenze».
La svolta nei rapporti fra le due organizzazioni palestinesi arriva con una conferenza stampa a Gaza di Ismail Haniyeh, capo di Hamas. «Dopo sette anni di lotte e divisioni è il momento di unirci - dice - abbiamo scelto la riconciliazione per il bene comune». Pochi minuti dopo Haniyeh, il leader di Al Fatah Azzam al-Ahmad - inviato dal presidente dell'Autorità palestinese Abu Mazen - e un rappresentante della Jihad islamica firmato i documenti concordati a Doha e al Cairo.
Prevedono che entro cinque settimane nascerà un «governo di unità nazionale» guidato da Abu Mazen o da Nasser al-Din al-Shaer, ex vicepremier di Hamas, che entro sei mesi si svolgeranno elezioni per i nuovi Parlamento e presidente, e che verranno liberati i reciproci prigionieri, detenuti dal giugno 2007 quando Hamas con un colpo di mano si impossessò della Striscia di Gaza, creando uno Stato de facto.
Resta da definire l'equilibrio del comando fra le forze di Hamas e dell'Autorità palestinese - di cui Al Fatah è la spina dorsale - ma Haniyeh assicura che «avverrà in tempi brevi». «Questo accordo è il risultato dell'intransigenza di Israele e delle bugie americane» afferma Azzam al-Ahmad mentre Hanyieh ne indica l'elemento centrale nella «difesa di Gerusalemme aggredita dalla giudaizzazione» che si spinge fino «a violare Haram el-Sharif», la Spianata delle moschee.
La prima reazione arriva dal premier israeliano Benjamin Netanyahu che tuona: «Con i negoziati di pace ancora in corso, Abu Mazen ha preferito la pace con Hamas a quella con Israele, ma non sono conciliabili. Chi sceglie Hamas, non vuole la pace». Il riferimento è al fatto che Hamas non riconosce Israele né gli accordi di Oslo, professa la lotta armata ed è stata inserita da Usa e Ue nella «lista nera» dei gruppi terroristici. Da qui la decisione di Netanyahu di annullare il prossimo incontro con i negoziatori palestinesi, in programma per tentare l'intesa sul prolungamento dei colloqui dopo l'imminente scadenza del 29 aprile.
Passa meno di un'ora e, mentre la folla palestinese festeggia nei centri urbani della Striscia di Gaza ed a Hebron in Cisgiordania, arriva la replica di Washington. à un alto funzionario, vicino al Segretario di Stato John Kerry, che parla: «Il nuovo governo palestinese dovrà riconoscere Israele, rinunciare alla violenza e fare propri gli accordi di pace siglati dall'Olp, altrimenti vi saranno conseguenze». Come dire: Abu Mazen deve riuscire a portare e Hamas al tavolo del negoziato, altrimenti rischia una crisi nei rapporti con gli Usa. Da qui il tentativo di Abu Mazen di rassicurare Kerry: «L'unità nazionale con Hamas non è in contrasto col negoziato con Israele».
In attesa di appurare se ciò sarà possibile è l'ala destra del governo israeliano a sentire il vento a favore. Il ministro dell'Economia Naftali Bennet definisce l'Autorità palestinese «la più grande organizzazione terroristica del mondo» rilanciando la richiesta di estendere la legge israeliana alla maggioranza degli insediamenti ebraici in Cisgiordania. E intanto a Gaza si combatte: un missile israeliano manca un militante islamico, ferendo almeno tre passanti, in moto e Hamas reagisce lanciando tre razzi contro Ashkelon e il Negev.
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