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Riccardo Arena per "la Stampa"
Respira autonomamente, dice «sì» e «no» ai medici, tira fuori la lingua, apre gli occhi a comando e soprattutto c'è il «rischio» che possa dire la verità . Bernardo Provenzano esce momentaneamente dal processo palermitano sulla trattativa Stato-mafia: anche se tecnicamente non è più in coma, non è in grado di partecipare validamente all'udienza preliminare, che dunque andrà avanti senza di lui.
Ma ieri i periti che lo hanno visitato in carcere, prima della caduta che lo aveva fatto finire sotto i ferri e in coma per 24 giorni, hanno detto a chiare lettere che i postumi del parkinsonismo, del progressivo deterioramento mentale e di quello che «Binu» ha subito in questi giorni potrebbero far venire meno i suoi «freni inibitori» e dunque spingere l'anziano padrino, che a fine mese compirà 80 anni, a raccontare finalmente le tante verità scomode che conosce.
Le condizioni psico-fisiche di Provenzano erano state studiate in carcere, prima dell'incidente del 12 dicembre, da Renato Ariatti e Andrea Stracciari, lo psichiatra e il neurologo bolognesi che ieri sono stati ascoltati dal Gup Piergiorgio Morosini, proprio nel procedimento sulla trattativa, una delle tante situazioni che «Binu» potrebbe contribuire a chiarire. Di certo la mente del boss, già prima dell'operazione del 17 dicembre, non era più quella che ne aveva fatto un inafferrabile superlatitante e un accorto stratega di cose di mafia, ma il giudice ha posto un quesito specifico: «La patologia determina nella psiche una maggiore "vulnerabilità " rispetto a fatti segreti, che adesso l'imputato potrebbe svelare?».
La risposta di Ariatti e Stracciari dà adito a più di una promessa, o di una minaccia, secondo i punti di vista: «Su alcune cose, soprattutto sui segreti di famiglia, potrebbe ulteriormente irrigidirsi. Su altri fatti è invece più "vulnerabile" e potrebbe aprirsi. La malattia incide infatti sulle capacità di contenersi».
Pur rimanendo grave, Provenzano è adesso in «coma vigile. Il quadro di partenza, però, osserva il suo legale, l'avvocato Rosalba Di Gregorio, è quello di un paziente che già soffriva di gravi problemi neurologici, e per il quale gli stessi esperti nominati da Morosini avevano concluso sostenendo che, anche prima dell'intervento in testa, aveva «ridottissimi contenuti di coscienza e responsività all'ambiente, nonché scarse capacità di esprimersi e di comprendere ed eseguire ordini elementari».
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