DAGOREPORT - NON TUTTO IL TRUMP VIENE PER NUOCERE: L’APPROCCIO MUSCOLARE DEL TYCOON IN POLITICA…
mario draghi non scopre le carte
E’ la Champions League delle nomine. Le grandi poltrone pubbliche in scadenza verranno decise alla fine di maggio. Dopo mesi di chiacchericcio politico il governo Draghi sta aprendo i dossier per Cdp e Fs, due tra le maggiori aziende pubbliche e le più importanti con i vertici in scadenza quest’anno.
L’assemblea di Cdp per la nomina del cda per il prossimo triennio è stata spostata al 20 maggio in prima e al 27 maggio in seconda convocazione, ed è quest’ultima la data da cerchiare in rosso. A ridosso è prevista anche l’assemblea di Fs per rinnovare il consiglio di amministrazione. Tra le 500 poltrone da assegnare c’è anche il vertice Rai, che più probabilmente sarà deciso in giugno.
Vertici uscenti nominati dal governo M5S-Lega
I vertici uscenti sono stati nominati nel luglio 2018 dal primo governo Conte, la maggioranza era composta da M5S e Lega. Oggi la situazione è molto diversa. Oltre a queste due forze nel governo c’è il peso del Pd, ci sono i renziani di Italia viva, ci sono Leu e Forza Italia, per cui _ fa notare il presidente di un’importante società pubblica _ “la torta è da dividere tra un numero più ampio di forze politiche”.
MARIO DRAGHI GIANCARLO GIORGETTI
Ma la novità di questa tornata è il ruolo del presidente del Consiglio, Mario Draghi, aduso ai meccanismi delle nomine per il passato da direttore generale del Tesoro, il cui metodo silenzioso e indecifrabile può consentire decisioni soprprendenti. Le nomine saranno decise da Draghi insieme al fidato Daniele Franco, ministro dell’Economia. Sarà consultato il leghista Giancarlo Giorgetti (Mise), per le Ferrovie avrà diritto di parola anche il nuovo ministro dei Trasporti, adesso si chiama Mims, Enrico Giovannini.
Il doppio salto di Palermo in Cdp
fabrizio palermo foto di bacco (3)
Per la guida della Cdp la scelta è tra la continuità e un candidato del passato che ritorna. La Cdp è la cassaforte pubblica che gestisce il tesoro degli italiani depositato alle Poste, 275 miliardi di euro di risparmio postale secondo l’ultimo bilancio. Nel 2018 Palermo fece l’inusuale doppio salto da vicedirettore generale della Cassa ad a.d. e direttore generale. Ebbe la meglio sull’altro candidato, Dario Scannapieco, vicepresidente della Banca europea degli investimenti (Bei). Il M5S pose il veto su Scannapieco, accusandolo di essere vicino a Draghi, all’epoca presidente della Bce. Non risulta che da Francoforte Draghi interferisse nelle nomine, furono i Cinque stelle a fare molto rumore.
fabrizio palermo giovanni gorno tempini dario scannapieco
Chi è Scannapieco
Adesso Scannapieco è un candidato molto accreditato per la guida della Cdp. Il punto è se Draghi vorrà o no imporre l’economista romano, nato nel 1967, che ha fatto parte dei cosiddetti “Draghi-boys” quando il premier era d.g. del Tesoro.
Dal 2007 è vicepresidente della Bei in Lussemburgo, di recente è stato nominato presidente del Fondo europeo per gli investimenti. Nel caso il governo volesse cambiare guida, un altro potenziale candidato a Cdp potrebbe essere Matteo Del Fante, che sta facendo il secondo mandato alla guida di Poste. E’ stato d.g. della Cdp fino al 2014, poi promosso da Matteo Renzi alla guida di Terna e nel 2017 spostato da Paolo Gentiloni a Poste. Ma in caso di ritorno in Cdp lo stipendio di Del Fante verrebbe dimezzato e il manager perderebbe i premi in azioni che riceve alle Poste.
Donnarumma talent scout del M5S
Tre anni fa dietro il balzo di carriera di Palermo ci fu l’imprimatur di Stefano Donnarumma, il manager che Virginia Raggi aveva messo alla guida dell’Acea e che fece lo scouting per le nomine per i Cinque stelle, carenti nell’organizzazione e sprovvisti, tra l’altro, non solo di candidati propri ma di uomini e donne capaci di selezionare la classe dirigente. Donnarumma nel maggio 2017 era stato proiettato al vertice della municipalizzata capitolina con il placet di Massimo Colomban, l’imprenditore di Treviso che è stato per 12 mesi assessore alle Partecipate nella giunta Raggi, si è dimesso nell’ottobre 2017 per il caos in Campidoglio.
Palermo se perde Cdp vuole l’ex Finmeccanica
Palermo, nato nel 1971 a Perugia, in questi anni ha detto molti sì alla politica, non solo al M5S. Pertanto non gli mancano i consensi per poter proseguire il suo lavoro in via Goito per un altro mandato. Il manager ritiene di avere le carte in regola per essere confermato. In ogni caso ha fatto sapere ai suoi sponsor che, se non venisse confermato, vuole una poltrona di peso.
Nel mirino di Palermo c’è la carica di a.d. dell’ex Finmeccanica, il gruppo della difesa e aerospazio presieduto da Luciano Carta, l’ex direttore dell’Aise con il quale Palermo avrebbe un filo diretto. Palermo potrebbe far valere l’esperienza industriale alla Fincantieri, nella quale è stato top manager per dieci anni, a diretto riporto dell’a.d. Giuseppe Bono, grande esperto dell’industria della difesa europea. Palermo è anche nel cda di Fincantieri, controllata di Cdp, da maggio 2016: un ruolo di controllore e controllato che gli viene consentito dal Mef.
La posizione di Profumo
Il vertice di Leonardo non è in scadenza, Alessandro Profumo è stato confermato a.d. un anno fa, con l’appoggio di Paolo Gentiloni, pertanto scade nel maggio 2023. Tuttavia la sua posizione non è considerata molto solida, a causa della condanna in primo grado a sei anni di reclusione per falso in bilancio e manipolazione del mercato per la contabilizzazione dei derivati nel bilancio di Banca Mps, di cui è stato presidente dal 2012 al 2015.
La condanna, emessa dal tribunale di Milano il 15 ottobre 2020, non è definitiva. Il cda di Leonardo ha detto che non ci sono impedimenti nella permanenza di Profumo in carica. Il leader della Lega Matteo Salvini di recente ha chiesto le dimissioni di Profumo, il Pd lo ha difeso, Draghi non si è espresso pubblicamente.
Il M5S, che al momento della condanna aveva chiesto le dimissioni, non si è più pronunciato. I vertici del M5S sono appagati, nel cda di Leonardo il M5S è riuscito a piazzare due rappresentanti, Carmine America (compagno di liceo di Luigi Di Maio a Pomigliano) e Paola Giannetakis, docente alla Link Campus university, che non è propriamente un’università di prestigio. Un manager di Leonardo vicinissimo a Profumo, il fisico Roberto Cingolani, è diventato uno dei ministri di punta del governo Draghi, alla Transizione ecologica. Anche questo può influire, a favore di Profumo.
La richiesta di azione di responsabilità
Alla prossima assemblea di Leonardo, il 19 maggio, oltre al bilancio 2020 (senza dividendo) sarà votata una proposta di azione di responsabilità contro Profumo. L’ha presentata il piccolo azionista Bluebell Partners, fondo attivista di Londra animato da Giuseppe Bivona, il grande accusatore dell’ex banchiere nel processo Mps, nel quale la Procura ha chiesto l’assoluzione degli imputati. Bivona ritiene che ci sia un “danno reputazionale” a Leonardo per la condanna di Profumo.
Il voto del Mef e quello dei fondi
Il Mef, primo azionista dell’ex Finmeccanica con il 30,2%, ha già votato contro l’azione di responsabilità a Profumo nell’assemblea Mps il 6 aprile. Ci si aspetta che il ministero voterà contro anche in Leonardo. L’esito potrebbe cambiare solo se ci fosse un diverso, massiccio orientamento dei principali fondi internazionali.
Stanno arrivando le indicazioni dei “proxy advisor”, Frontis consiglia di votare a favore dell’azione anti-Profumo, Iss consiglia di votare contro la proposta di Bluebell. La questione è seguita con attenzione. Sembra improbabile che l’azione sia approvata. Ma nell’eventualità che lo fosse Profumo decadrebbe dall’incarico di amministratore della società, in base all’art. 2393, 5o comma, del codice civile, che dice: “La deliberazione dell’azione di responsabilità importa la revoca dall’ufficio degli amministratori contro cui è proposta, purché sia presa col voto favorevole di almeno un quinto del capitale sociale”. Pertanto il voto sull’azione di responsabilità, indirettamente, equivale a un voto sulla nomina di Profumo.
I candidati in carrozza
Per le Ferrovie dello Stato c’è la fila di candidati che aspirano a prendere il posto di Gianfranco Battisti, il manager classe 1962 che guida il gruppo da tre anni, già direttore della divisione passeggeri di Trenitalia dal 2009 al 2017, nel periodo in cui è partita e si è sviluppata l’alta velocità, poi amministratore delegato di Fs Sistemi Urbani. Una poltrona molto appetita per la pioggia di decine di miliardi che arriverà su Fs con il Pnrr. Praticamente nessuno degli aspiranti finora apparsi però sembra avere i titoli adatti a guidare una società il cui core business non è spartire miliardi ma far funzionare il servizio di trasporto ferroviario.
I rinvii a giudizio di Mazzoncini per Busitalia
Se non ci fosse un doppio a rinvio a giudizio potrebbe aspirare alla poltrona anche Renato Mazzoncini, il manager degli autobus voluto da Matteo Renzi alle Fs nel 2015 e confermato con un blitz d’astuzia a fine dicembre 2017 dal governo di Paolo Gentiloni per altri tre anni, per anticipare la scadenza naturale che sarebbe arrivata dopo le elezioni del 4 marzo 2018.
Mazzoncini però ha dovuto lasciare le Fs nel luglio 2018, a causa di un rinvio a giudizio a Perugia per i contributi pubblici erogati all’ex Umbria Mobilità, poi Busitalia, la società di Fs per il trasporto in pullman che ha guidato, prima di andare a occuparsi per la prima volta di binari. Mazzoncini è stato accusato di aver alterato le comunicazioni sui ricavi da traffico all’Osservatorio del ministero dei Trasporti che decide i contributi al trasporto locale. La società avrebbe ricevuto 6 milioni di euro non dovuti.
Negli ultimi giorni del 2020 Mazzoncini è stato rinviato a giudizio anche a Parma, per turbativa d’asta, per un appalto da 289 milioni vinto nel 2017 da Busitalia-Autoguidovie. Sarà il processo a stabilire se è innocente o colpevole.
La clausola etica
Poiché lo statuto delle Fs contiene la clausola etica (articolo 10), introdotta in base alla direttiva Saccomanni del 2013, un amministratore rinviato a giudizio per determinati reati, per lo più di tipo economico-finanziario, contro la pubblica amministrazione o contro il patrimonio, decade se non è confermato dall’assemblea dei soci. Il cda deve convocarla entro 10 giorni dalla comunicazione dell’amministratore-imputato, l’assemblea deve riunirsi entro 60 giorni.
Mazzoncini è caduto su questa clausola, anche se nella lettera di addio a Fs del 26 luglio 2018 ha sostenuto _ e il suo entourage continua a sostenerlo nello storytelling di questa campagna nomine _ di essere vittima politica dello spoil system del M5S e dell’ex ministro dei Trasporti Danilo Toninelli. Il primo candidato nella linea di successione interna a prendere il posto di Mazzoncini sarebbe stato Maurizio Gentile, all’epoca a.d. di Rfi, di stretta osservanza Pd, ma è stato escluso a causa di un avviso di garanzia per l’incidente ferroviario di Pioltello. E così il governo Conte tra i manager interni ha scelto Battisti, con un presidente designato dalla Lega, Gianluigi Vittorio Castelli.
La nomina in A2A
La clausola etica nello statuto Fs inoltre preclude la possibilità di essere candidato e nominato in cda a chi è rinviato a giudizio. Dunque Mazzoncini è fuori gioco per le Fs. Nell’aprile 2020 l’ex capo di Busitalia e di Fs è stato nominato amministratore delegato di A2A, la municipalizzata di Milano e Brescia. Mazzoncini è bresciano ed è amico del sindaco di Brescia, Emilio Del Bono, che lo ha voluto in A2A, quotata in Borsa. Malgrado sia incandidabile alle Fs, Mazzoncini segue però con attenzione la partita delle nomine ferroviarie, come dimostrano numerosi segnali inequivocabili.
Il candidato Ferraris
Dall’ambiente renziano e in parte Pd vengono sostenuti altri candidati in funzione anti-Battisti. Circola il nome di Luigi Ferraris, ex Cfo dell’Enel e poi a.d. della società pubblica Terna, silurato nei rinnovi dell’anno scorso.
Ferraris è un esperto di finanza e di reti di energia, non di reti di trasporto ferroviario. Ha lasciato Terna con una buonuscita di 4,7 milioni lordi dopo tre anni di mandato.
Lo scorso ottobre è stato nominato consigliere di amministrazione nella società romana Psc (famiglia Pesce), rampante azienda di impiantistica fornitrice di diversi gruppi pubblici da Enel a Ferrovie o ex statali (come Telecom), che ha fatto incetta in cda di ex manager di Stato.
Insieme a Ferraris sono stati nominati in cda Fulvio Conti, ex presidente di Telecom ed ex a.d. Enel, Livio Gallo, già alto dirigente Enel, il generale Michele Adinolfi, ex vicecomandante della Guardia di finanza e vecchio amico di Renzi, al quale in conversazioni intercettate dava amabilmente dello “stronzo”. Da poche settimane è diventato a.d. di Psc Mauro Moretti, ex a.d. di Fs e di Leonardo.
Conflitti d’interessi
Il gruppo Psc ha un contenzioso da 361 milioni di euro con Leonardo per una commessa in Qatar per la costruzione di uno stadio per i mondiali 2022. I due gruppi hanno una joint venture per un subappalto che ha avviato una causa contro il general contractor Gsic, consorzio di cui fanno parte anche l’ex Salini Impregilo e Cimolai.
Poi in questa vicenda è esplosa una lite tra Psc e Leonardo. Psc accusa l’ex Finmeccanica di «malgestione del contratto» e ha aperto un contenzioso al Tribunale di Roma, con la richiesta a Leonardo di 361 milioni di euro. Il contenzioso di Leonardo viene seguito dal capo dell’ufficio legale, Andrea Parrella, avvocato portato dal “ferroviere” Moretti, che lo aveva già avuto come capo del legale in Fs.
Chissà come finirà il contenzioso? Inoltre Psc è fornitore delle Fs per diverse decine di milioni di euro all’anno. Se Ferraris andasse in Fs per il gruppo Psc sarebbe un bel Bingo: il suo a.d. è ex a.d. di Fs e un suo consigliere diventerebbe il nuovo a.d. di un importante cliente. Insomma come conflitto d’interessi niente male. Cosa ne pensa Draghi?
Favara, Giana e Viero, jolly dei renziani
Nell’assalto alle Ferrovie i renziani hanno pensato anche ad altri possibili candidati. Uno è Fabrizio Favara, ex direttore delle strategie di Fs, fu nominato da Mazzoncini nel 2016, ora a.d. della joint venture in Spagna Ilsa, tra Trenitalia e Air Nostrum.
Un altro potrebbe essere Arrigo Giana, direttore generale dell’Atm Milano, ha lavorato per 24 anni nel gruppo Fs. Un aspirante candidato in area Pd è Andrea Viero, ex direttore generale del Comune di Trieste e della Regione friulana, è stato direttore generale della municipalizzata Iren che ha sede a Reggio Emilia, da qui ha spiccato il volo grazie all’appoggio dell’ex ministro renziano Graziano Delrio.
Nel 2016 Viero è stato assunto da Giuseppe Bono come top manager in Fincantieri, è presidente di Fincantieri Europe dal 2018. Inoltre nel novembre 2019 il Pd al governo lo ha nominato presidente di Invitalia. Cosa c’entrano le Ferrovie? Viero è stato presidente e commissario delle Ferrovie del Sud Est in Puglia, nominato dall’ex ministro Delrio. Secondo voci dell’ultim’ora si starebbe agitando su Fs anche Donnarumma, dalla poltrona di a.d. di Terna, conquistata un anno fa grazie al M5S.
Quanti sono i soldi europei
Nel prossimo futuro di Fs c’è soprattutto la gestione dei finanziamenti europei del Pnrr, minimo 28 miliardi che potrebbero diventare 35-36 miliardi inclusi i fondi per la sostenibilità. Battisti ha guidato le Ferrovie nel periodo probabilmente più difficile della loro storia. Nel 2020, l’anno del Covid che ha colpito soprattutto le aziende di trasporto, c’è stata un’accelerazione degli investimenti, con una spesa di 9 miliardi, è stato dato ossigeno alle imprese dei fornitori con anticipazioni di cassa per un miliardo, il triplo del 2019. Nella pipeline ci sono ulteriori gare per infrastrutture per 21 miliardi.
Evitata la trappola Alitalia
Battisti è stato impegnato anche nella difficile trattativa per Alitalia in cui i ministri del M5S Di Maio e Toninelli avevano voluto far entrare le Fs. Con i paletti messi nella gara _ le Fs potevano avrebbero potuto essere solo un azionista di minoranza e con un partner strategico del settore, identificato in Delta _ Battisti è riuscito ad evitare che le Fs finissero in trappola, da sole ad accollarsi un gravissimo problema, visto che i Benetton con Atlantia, dopo aver ricattato il governo per avere salva la concessione di Autostrade, si sono sfilati. Un cambio alla guida delle Fs significherebbe ritardare di molti mesi l’avvio dei nuovi investimenti e del programma previsto dal Pnrr. Candidati di sostanza in grado di sostituire Battisti non ne sono emersi ed è difficile che ci siano, a meno che non venga fatta una scelta di pura appartenenza politica.
L’orientamento del Quirinale
Dal Colle filtra che l’orientamento del presidente Sergio Mattarella sarebbe di confermare per il secondo mandato in continuità gli amministratori delegati delle grandi società, in particolare Cdp e Fs. Come è stato deciso nel 2020 per le grandi quotate Poste e Leonardo-Finmeccanica, oltre a Eni ed Enel nelle quali c’è stata la conferma degli a.d. per il terzo mandato.
Una donna presidente di Fs
Per la presidenza di Fs si profila invece un ricambio, con una donna al posto del leghista Castelli. Diverso il caso Cdp, la casella spetta alle fondazioni bancarie, che potrebbero confermare il “tennista” Giovanni Gorno Tempini, classe 1962, manager bresciano vicino a Giovanni Bazoli e al mondo di Intesa Sanpaolo. Gorno, già a.d. della Cdp quando al governo c’erano Silvio Berlusconi e al Mef Giulio Tremonti, è presidente solo dal 24 ottobre 2019, subentrato al dimissionario Massimo Tononi, prodiano, che è entrato in contrasto con Palermo e ha lasciato sbattendo la porta.
Per la Rai l’ipotesi Masi
La ciliegina sulla torta sarà la Rai, la poltrona che più sta a cuore ai partiti. Attualmente il presidente è il leghista sovranista Marcello Foa, l’a.d. Fabrizio Salini, ex consulente di Renzi per il quale ha curato una Leopolda, nominato con l’appoggio del M5S. Tutte le caselle di vertice dovrebbero cambiare. Per la carica di a.d. un possibile candidato, non l’unico, è Mauro Masi, classe 1952, un nome che ritorna dal passato.
E’ stato per due anni direttore generale della Rai nominato da Berlusconi, tra il 2009 e il 2011, da maggio 2011 costantemente a.d. della Consap, la concessionaria di servizi assicurativi pubblici, un ex pezzo dell’Ina, a fine dicembre il governo Conte Pd-M5S lo ha confermato come presidente. Masi è anche diventato presidente della Banca del Fucino, la più antica banca privata di Roma. Ha lavorato in Banca d’Italia ed è stato portavoce del premier Lamberto Dini, ma non sono note ai più le sue doti di banchiere. Molti ricorderanno invece la sua attività alla Rai per bloccare Annozero, il programma di Michele Santoro sgradito a Berlusconi
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