
DAGOREPORT - COSA FRULLA NELLA TESTA DI FRANCESCO MILLERI, GRAN TIMONIERE DEGLI AFFARI DELLA…
1- L'AVVERTIMENTO DELL'EX FINANZIERE: «SE VADO DENTRO NON SARà IL SOLO»
Virginia Piccolillo per il "Corriere della Sera"
Telefonate, contatti, calcoli. Poi ancora colloqui lontani dai microfoni e altri conti. La vigilia del verdetto dell'Aula sulla richiesta di arresto, per Marco Milanese, ex braccio destro di Giulio Tremonti, è stata ad alta tensione.
Con il cuore in gola per i calcoli che non tornavano. Un po' per gli assenti giustificati, incluso il collega Alfonso Papa detenuto a Poggioreale. Un po' per l'altalena di indiscrezioni sulle posizioni degli incerti: a partire dai leghisti e a finire con un gruppo di suoi compagni di partito segretamente tentati dal punire con lui il ministro dell'Economia.
Ma con la freddezza sul volto del giocatore di poker che dosa silenzi pubblici e frasi evocative in privato. «Se vado dentro io, non resterò a lungo il solo», raccontano i boatos del Transatlantico che abbia detto a qualche collega.
Pettegolezzi da buvette? «In realtà , mentre tanti vanno in tv a lamentarsi e insultare il pm, Milanese tace, per il grande rispetto nutrito nei confronti del Parlamento che dovrà esprimersi», rimarcava ieri il suo difensore Bruno Larosa O., quantomeno, per evitare di fare gli stessi errori che furono fatali a Papa. Quindi niente panico. Ed evitare strumentalizzazioni.
Per questo Milanese, ha fatto sapere ieri con una lettera al capogruppo Pdl Fabrizio Cicchitto, si autosospende dal gruppo: «In questo momento è mia precisa volontà che la vicenda giudiziaria che mi vede coinvolto, e per la quale la Camera sarà chiamata ad esprimere il voto sulla richiesta di autorizzazione all'arresto, non venga in alcun modo strumentalizzata ed utilizzata a fini di battaglia politica e che possa nuocere all'azione politica del mio partito».
«Rendo quindi noto - spiega il deputato - che, già da diversi giorni, ho provveduto a comunicare formalmente ai vertici del Popolo della libertà la mia decisione di autosospendermi dal gruppo parlamentare e dal partito in attesa di potervi rientrare a pieno titolo appena sarà acclarata la mia estraneità ai fatti che mi sono stati addebitati».
Fatti pesanti. Le accuse sono di aver scambiato nomine, appalti e segreti giudiziari con soldi e benefit lussuosi: yacht, auto, vacanze. Accuse molto più pesanti di quelle contestate a Papa. Lui, ex ufficiale della Gdf divenuto ganglio vitale della politica di Tremonti, ha sempre smentito. Mostrando le cassette di sicurezza trovate vuote (secondo i pm «ripulite»). Spiegando che non erano acquisti ma leasing. E la Giunta per le autorizzazioni a procedere di Montecitorio ha creduto alla tesi dell'esistenza di un intento persecutorio dei magistrati nei suoi confronti.
Ma la partita si gioca tutta oggi in Aula. Milanese lo sa. Per questo ieri ha scrutato ogni espressione dei deputati. Soprattutto quell'inquietante via vai dall'Aula di fazzoletti verdi, incupiti da un accordo sancito da Umberto Bossi che ufficialmente garantisce a Milanese il salvataggio, ma genera malumori nei maroniani, che per lui potrebbe trasformarsi in un dannato cappio. Sollevato appena dalle dichiarazioni ben auguranti sul voto di coscienza che lascerebbe liberi di correre in suo soccorso, a dispetto delle intenzioni annunciate dai leader deputati dell'Udc. E, secondo i soliti maligni, persino pezzetti di Pd.
«Cauto ottimismo» era ieri la parola d'ordine del Pdl. Ma molto, molto, cauto, per Milanese che teme trappole e trucchetti. Il voto segreto (ma non troppo) non li esclude del tutto. Per far rispettare gli ordini di scuderia la maggioranza chiede ai deputati di mostrare con evidenza quale pulsante spingeranno per il voto elettronico. Eventuali franchi tiratori potrebbero essere in questo modo scoperti. Basterà ? Lo sapremo intorno a mezzogiorno. Per Milanese certamente di fuoco.
2 - UN FINANZIERE ALLA CORTE DI GIULIO
Fabrizio d'Esposito per il "Fatto quotidiano"
Parafrasando Agatha Christie, la parabola di Marco Mario Milanese può avere questo titolo: "Nella mia fine il mio principio". Da settimane, nel Pdl, raccontano che tra Giulio Tremonti e il suo ex factotum al ministero dell'Economia sia sceso un gelido silenzio. Una tesi accreditata per mettere un cordone di sicurezza attorno al ministro azzoppato, ma che contribuisce ad alimentare il mistero centrale di questa storia. Quello della genesi dei rapporti fra "Giulio" e "Marco", talmente stretti al punto da condividere lo stesso famoso tetto di via Campo Marzio a Roma.
I due si sono conosciuti alla scuola della Guardia di Finanza di Bergamo. Tremonti professore, Milanese allievo. Il salto di qualità arriverà più tardi, superato il Duemila. Il finanziere Milanese è un irpino di Cervinara trasferitosi con i genitori a Milano. All'epoca di Tangentopoli si vanta di "aver collaborato con il dottor Di Pietro" in varie inchieste. La svolta avviene quando Milanese entra da finanziere nel noto studio del commercialista Tremonti e ne esce da amico e consulente.
à la stessa dinamica del modello Berruti per le aziende del Cavaliere. Una delle caratteristiche meno studiate del berlusconismo: i militari delle Fiamme Gialle cooptati negli affari e nella politica. Quando esploderà il caso Speciale (altro finanziere reclutato dal centrodestra) il generale avversario di Visco dirà : "La politica ha infiltrato la Guardia di finanza". L'ascesa di Milanese ne è la conferma più forte.
Le inchieste sull'ex consigliere fidatissimo del ministro Tremonti disegnano un ampio potere, sotterraneo come un fiume carsico fino all'inizio di quest'anno. Fino cioè alla scoperta della P4: Milanese rappresenta il versante tremontiano di questa rete, Luigi Bisignani quello di Gianni Letta. Tremonti e Letta, i due grandi nemici all'interno della corte berlusconiana.
Grazie alle sue origini, Milanese ha punti di contatto anche con la P3 di Denis Verdini, triumviro del Pdl. Il geometra e faccendiere Pasqualino Lombardi è di Cervinara come lui. Così come dallo stesso paesino irpino arriva Paolo Viscione, il grande accusatore di Milanese. Viscione, nel suo interrogatorio decisivo, definisce uno "scapocchione" l'esoso compaesano, che pretende regali, viaggi e contanti per dargli informazioni su inchieste. Scapocchione vuole dire allegro e senza testa in dialetto napoletano. Perdipiù, Milanese è pure un tipo loquace.
Dopo i quarant'anni gli è capitata una vera fortuna: da amico di Tremonti accumula lauree e docenze e il suo reddito schizza a cifre importanti. Dalla Guardia di finanza si dimette nel 2004 e resta al ministero dell'Economia anche quando "Giulio" se ne va per fare posto al tecnico Domenico Siniscalco.
Lavora nell'ombra per anni. Il primo giornale a occuparsi di lui, con un servizio lungo e dettagliato che sfocia in ambienti massonici, è nel 2008 la Voce delle voci, mensile campano. Qualche brandello significativo compare nelle conversazioni di Giuliano Tavaroli, l'ex capo della security di Telecom, con Repubblica:
"Un giorno mi chiama Buora (ex ad di Telecom, ndr). Mi dice che Giulio Tremonti soffia ai banchieri, in ogni occasione, che Telecom è prossima al fallimento. Per noi una sciagura. Mi metto al lavoro. Tra Tremonti e Tronchetti non ci sono rapporti. Decido di mettermi in contatto con il capo della sua segreteria, un ufficiale della Guardia di finanza, Marco Milanese, che poi lascerà le Fiamme Gialle per lavorare direttamente nello studio di Tremonti.
Contattare Milanese, proprio lui e non altri, è un modo per dire a Tre-monti: conosco i tuoi metodi, conosco il tuo sistema, chi lo agisce e interpreta, da dove possono venirti le informazioni - vere o false - che possono danneggiare la mia azienda. Non c'è bisogno di molte parole. Quelle cose lì, si capiscono al volo nel nostro mondo. I due - Tronchetti e Tremonti - si incontrano. I problemi si risolvono. Nessuno parlerà più di fallimento con i banchieri".
La promozione diretta in politica è nel 2008: Milanese è legatissimo a Nicola Cosentino, coordinatore del Pdl in Campania. Gli viene garantito un seggio alla Camera. Dopo le elezioni politiche anche Cosentino arriva al ministero dell'Economia, da sottosegretario. Gli tocca però in anticipo la stessa sorte di Milanese: inseguito da una richiesta d'arresto per camorra si dimette.
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