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Goffredo De Marchis per “la Repubblica”
La tregua con la minoranza Pd non regge al pasticcio del decreto salva-Silvio. Nel mirino di Gianni Cuperlo, Francesco Boccia, Stefano Fassina e Pippo Civati, i più critici con il governo, finisce il “giglio magico” ovvero il ristrettissimo cerchio di fedelissimi che accompagna il lavoro di Matteo Renzi a Palazzo Chigi.
Toscani, già vicini all’ex sindaco di Firenze quando era a Piazza della Signoria, colpevoli, secondo gli oppositori interni, di aver infilato la norma sulla depenalizzazione della frode fiscale a consiglio dei ministri concluso. Per fare un “regalo di Natale” a Berlusconi. Naturalmente l’attacco vero è al premier. In quanto fedelissimi, nessuno pensa che possano agire senza il placet del leader.
I principali bersagli delle critiche sono due. Luca Lotti, sottosegretario alla presidenza, depositario degli input, persino delle confidenze di Renzi e per questo responsabile dei dossier più delicati di Palazzo Chigi. «Mio fratello minore», lo chiama il premier. In effetti, è molto giovane: 32 anni. Dalle nomine ai provvedimenti legislativi, dai rapporti con Forza Italia per il patto del Nazareno al pallottoliere dei numeri del Pd per la partita del Quirinale, Lotti vigila sulla tenuta del capo. L’altro bersaglio è Antonella Manzione, ex comandante dei vigili urbani di Firenze oggi a capo del dipartimento Affari giuridici della presidenza. Sono due obiettivi “temibili” anche perché gli stessi avversari ne riconoscono capacità e competenza. Ma si sono fatti parecchi nemici.
A Lotti viene rimproverato soprattutto il rapporto stretto con Denis Verdini, fiorentino anche lui, artefice dell’Italicum e difensore dell’abbraccio perenne tra Renzi e Berlusconi. «Ormai Verdini ce l’abbiamo in casa. Conta come un dirigente del Pd», ripete da mesi Pippo Civati. «Conta molto più di un dirigente del Pd», gli fa eco un altro parlamentare della minoranza. Il condizionamento di Verdini sul patto del Nazareno, secondo i ribelli, passa per Lotti. E il filtro del braccio destro di Renzi ha maglie troppo larghe. Come se il sottosegretario si fidasse più del coordinatore di Fi (che ha rafforzato l’asse con Gianni Letta) che dei “compagni” di partito, in particolare i dissidenti. Spesso e volentieri l’impressione è che sia proprio così.
La Manzione è finita nella lista dei sospetti per la norma salva-Silvio. Sarebbe la sua, dicono gli avversari di Renzi, la manina che ha infilato l’articolo nel testo del decreto fiscale. Non è sfuggita la sua crescita rapidissima nella gerarchia di Palazzo Chigi. Ormai è lei a guidare i pre-consigli, cioè le fondamentali riunioni tecniche che precedono le decisioni dei ministri.
Il ruolo di mediazione di Graziano Delrio non basta. Con i capi di gabinetto, anche i più rodati, Antonella Manzione usa a volte metodi spicci, anche sulle materie tecniche. «Lo ha detto il presidente », sentenzia per chiudere qualunque discussione. E passa oltre. Evitando di impantanarsi in discussioni troppo lunghe. Il rapporto della responsabile affari giuridici è assolutamente diretto con Renzi. E con Lotti. Va detto però che, dopo le iniziali perplessità dei funzionari per via del curriculum della Manzione, adesso sono in tanti a Palazzo Chigi a non guardarla più come una marziana, ma come una collaboratrice del premier instancabile e competente.
Il decreto fiscale ha riallargato il solco nel partito di Largo del Nazareno. Fassina, Civati, D’Attorre e Boccia vengono considerati ormai non recuperabili anche per una mediazione, un compromesso. Ieri Fassina ha definito «indecente la propaganda» di Renzi sul fisco. Ma il rinvio a un consiglio dei ministri del 20 febbraio per correggere la norma ora spiazza anche l’ala dialogante dei bersaniani incarnata da Roberto Speranza e lo stesso Cuperlo.
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