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Fabrizio d’Esposito per il “Fatto Quotidiano”
Nel l’inarrestabile processo di liquefazione del Pd, in senso renziano ovviamente, le antiche feste dell’Unità sono ormai come lo Speakers’ Corner di Hyde Park a Londra. L’unico “angolo degli oratori ”, con un pubblico in carne e ossa, capace di andare oltre la narrazione fuffosa da social network.
Ed è per questo che, ieri sera, nell’arena un po’decadente sull’Aniene - laddove Barca ha detto che i circoli del Pd sono disastrosi - il premier è arrivato quasi di nascosto, pur di trovare una folla addomesticata, senza fischi e contestazioni.
L’onta sarebbe stata enorme. Del resto, in questo luglio africano, le ovazioni del popolo delle feste sono riservate soprattutto ai rottamati della Ditta, vecchi e giovani, e alle loro invettive contro Verdini.
Lo ha confidato Roberto Speranza, ex capogruppo bersaniano alla Camera e futuro competitor anti-renziano nella prossima battaglia congressuale (quando sarà): “In questi giorni basta fare il nome di Verdini per scatenare la reazione anche dei volontari che stanno nelle cucine”.
Verdini sta per Denis ed è l’ex sherpa berlusconiano del Patto del Nazareno che sta per approdare al Partito della Nazione di “Matteo” con un manipolo di senatori di destra. Di qui l’ormai nota metafora dalemiana dei “Palmiri rimpiazzati dai Verdini”. È stato proprio alla festa dell’Unità di Roma, la settimana scorsa.
Un D’Alema in grande forma, e immemore dei patti del passato con B., ha fatto un’autentica gag sul compagno Palmiro di Narni, da lui incontrato, e che gli ha detto: “Non vi voto più, io e tutta la mia famiglia”. Sintesi dalemiana: “Non vorrei che tutti questi Palmiri che non votano più per noi fossero rimpiazzati dai Verdini. Anche perché l’elettorato di centrodestra voterà Lega e a noi rimarranno in carico Sacconi, Cicchitto e gli altri”. Ora, è facile applaudire ai comizi dell’opposizione dem.
Il punto vero è che, come per esempio ha ricordato ieri mattina Clemente Mastella a L’aria d’estate su La7, un partito serio, cioè novecentesco, aprirebbe una crisi su un evento come quello verdiniano. Invece, la minoranza dem si accontenta dell’ostensione popolare del dissenso nelle feste.
Capaci, queste ultime, persino di rivitalizzare Pier Luigi Bersani: “Verdini? Se mi entra qualcuno in casa lo caccio”. Al contrario, a prescindere da Verdini, i ministri renziani non sono più trendy come una volta. In particolare le donne.
Il casus belli è quella maledetta riforma della scuola. Già in primavera toccò alla titolare dell’Istruzione, Giannini, a Bologna, sempre in una festa. Idem, Poletti. Adesso è stato il turno della soave Marianna Madia, agli inizi di luglio. Nel bene e nel male, i raduni estivi del Partito, con l’iniziale maiuscola, restano un indicatore prezioso degli umori della base. Ne sa qualcosa lo stesso Renzi. Era l’estate di due anni fa, dopo le primarie perse con Bersani (2012) e le successive elezioni “pareggiate”dal Pd.
Nel Pd, l’aria nei confronti del Rottamatore cambiò in positivo e lui se ne accorse girando, tra gli applausi, una miriade di feste locali nelle regioni rosse, a partire dall’Emilia- Romagna. Il trionfo del dicembre del 2013 fu preparato soprattutto così.
Tante volte, poi, questo leale, fedele e paziente popolo è stato preso per il naso. Clamorosa tutta la finta guerra dei vertici del Pd al Porcellum del nominati. Tra mille difficoltà e polemiche, i cancelli delle feste furono aperti ai banchetti per raccogliere firme al referendum contro la legge elettorale.
E qui si torna al famigerato Verdini. Perché, come più volte rivelato da Fabrizio Cicchitto, oggi alfaniano di governo, la riforma del Porcellum fu congelata da un patto Rippentrop-Molotov, ossia tra Verdini, ambasciatore berlusconiano, e Migliavacca, emissario dell’al lora segretario Bersani. Cinquanta sfumature di Verdini. Oggi la “Ditta” fa il pieno contro di lui (e Renzi). E va bene così.
Pierluigi Bersani
renzi verdini
VERDINI E RENZI due
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