L’AVANA, OGGI COMUNISTA, DOMANI CRISTIANA - BETTIZA: “MENTRE IL VIAGGIO A CUBA DI WOJTYLA NEL 1998 FU UN CAPOLAVORO MEDIATICO MA POLITICAMENTE STERILE, LA MISSIONE DI RATZINGER ERA DELICATISSIMA: SERVIVA AL VATICANO PER ACCREDITARSI, MEGLIO E PRIMA DI CHIUNQUE ALTRO, COME FORZA DI MEDIAZIONE NELL’IMMINENTE ‘APERTURA’ CHE IL REGIME SARÀ COSTRETTO A FARE VERSO IL MERCATO E NUOVI DIRITTI” - E PUR DI NON IRRITARE I FRATELLI CASTRO, RATZINGER HA MOSTRATO RILUTTANZA AD INCONTRARE I DISSIDENTI…

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Enzo Bettiza per "La Stampa"

Ciò che, dopo tre lustri, colpisce è il contrasto più che la similitudine nel paragone tra i due incontri papali di Fidel Castro. Nel 1998 il pontefice polacco, promotore della caduta del comunismo, vide un Fidel ancora in piena forma, cordiale, aitante, sicuro di sé e miracolosamente invulnerato dal collasso dei regimi di cui egli e la sua isola apparivano gli estremi caposaldi sopravvissuti nel mare dei Caraibi.

Fu un evento di portentosa solennità mediatica, con al centro due robusti protagonisti del secolo scorso, due insuperabili artisti della comunicazione di massa; il loro abbraccio da sponde opposte, davanti gli occhi del mondo intero, sembrò segnare la fase conclusiva di un'epoca che nella caduta del muro di Berlino aveva avuto la spinta iniziale favorita da Wojtyla.

Ma, per quanto riguarda Cuba in sé, l'evento non andò al di là del grande impatto mediatico. Nulla di significativo accadde all'Avana, non vi si produsse alcun cambiamento degno di nota sul piano politico; anzi, quattro anni dopo, nel 2003, si abbattè sui cubani una sorta d'infausta «primavera nera». Retate di dissidenti, purghe crudeli come ai tempi di Che Guevara, fughe a catena verso la vicina Florida. La salute di ferro del Comandante era sembrata trasmettersi al pugno duro del regime contro coloro che osavano alzare la testa e opporsi.

Ben diverso è invece il clima che ha circondato ieri l'incontro alla Nunziatura apostolica tra un Fidel Castro ottantacinquenne, malato, sostenuto da guardie del corpo, e il papa tedesco della stessa età. Un papa cauto quanto allusivo nella parola, lento e come frenato nel gesto, quasi preoccupato delle conseguenze che ogni suo passo può produrre sul futuro ruolo della Chiesa a Cuba, sul destino dei cubani dentro e fuori dell'isola, sulle scelte politiche di un'America Latina e cattolica dove spesso il cattolicesimo si è venato, per opera degli stessi prelati, di tinte estremiste.

Se per l'estroverso Giovanni Paolo II il soggiorno all'Avana fu una specie di sfida allegra, giocata sul richiamo televisivo, ritenuta da lui medesimo di limitato effetto politico, per l'introverso Benedetto XVI il viaggio cubano è stata forse la missione più delicata e difficile che abbia compiuto negli anni del suo papato. Lo si è capito benissimo dalla densa e ponderata omelia, inviata al presidente Raul Castro e ai cubani dall'altare in Piazza della Rivoluzione, prima del brevissimo faccia a faccia con il massimo e ormai crepuscolare leader e suggeritore Fidel.

L'uomo di religione e di cultura Ratzinger si è rivolto alla folla dei fedeli in raccoglimento, chiamandoli non a caso «credenti e cittadini», ed esortando le autorità a vedere nella Chiesa indigena una forza non di contrasto, ma uno strumento di mediazione nella fase di apertura che l'isola caraibica sta cominciando ad attraversare.

A dire il vero, aperture e novità vanno molto a rilento. Gli arresti eseguiti dalla polizia durante la visita apostolica, aggravati dalla riluttanza del pontefice all'incontro con le Damas de Blanco che da sette anni manifestano per il rilascio dei mariti dal carcere, non ha giovato all'immagine né del pontefice né del suo ospite Raul Castro: per il quale il governo «farà riforme ma non politiche».

C'è il rischio che i dissidenti, come l'audace Yoani Sanchez, finiscano per assumere un atteggiamento sempre più critico nei confronti di una Chiesa troppo prudente, troppo paga del patto di non aggressione con il regime, dimentica delle speranze suscitate a suo tempo da Giovanni Paolo II. Al tempo stesso la Sanchez riconosce che la venuta dell'attuale pontefice coincide con il decollo di «un'economia più flessibile» e con l'aspettativa popolare di concessioni democratiche e più rispetto per i diritti umani.

Secondo l' Economist , Cuba, una volta all'avanguardia dei fermenti rivoluzionari dell'America Latina, oggi è messa nell'angolo e sopravvive soprattutto grazie al precario sussidio petrolifero assicuratole dal Venezuela di Chavez afflitto da un morbo grave. Dati i fallimenti dell'utopia rivoluzionaria in ritirata, al presidente Raul Castro, più pragmatico del fratello visionario, non resterebbe che imboccare la via cinese del «socialismo di mercato», metafora con cui le nomenclature comuniste intendono aprirsi al capitalismo conservando però la dittatura del partito unico.

Le privatizzazioni già introdotte nel settore agricolo, le libertà di traffico già concesse a piccoli e medi commercianti, sarebbero ormai irreversibili. Ma il grande sblocco, la vera apertura alle dinamiche capitaliste e a quelle liberali della democrazia, potrà compiersi solo con la fine di due freni storici che, nel contrasto, si sostengono a vicenda da mezzo secolo: l'estinzione politica della famiglia Castro e il ritiro, magari graduale, dell'ormai insensato embargo, politico più che economico, mantenuto tuttora dagli Stati Uniti nei confronti di Cuba.

Non si sa quanto potrà durare il presidente Raul che nonostante gli anni, molti anche per lui, sembra comunque reggere con pacata energia all'erosione del tempo che ha reso invece spettrale e pressoché infermo Fidel. (Più che interrogare il papa su cose spirituali, come diversi osservatori s'aspettavano, l'ex leader gli ha posto una domanda fisica: «Ma lei, santità, come fa a mantenersi così bene?») Non si sa nemmeno cosa sarà in grado di fare il presidente americano, o il suo eventuale successore dopo le elezioni, poiché l'uno o l'altro non potranno ignorare le reazioni alla levata dell'embargo delle potenti lobby cubane in Florida e a Washington.

La sola certezza che abbiamo è che il pontefice, ragionando per secoli lunghi come la Chiesa, ha potuto constatare in presa diretta che il comunismo a Cuba si è consumato nella stessa persona di Fidel in mezzo secolo: tutto ciò che avverrà da ora in poi sarà diverso e forse imprevedibile.

2- PER LA STAMPA INTERNAZIONALE È SOPRATTUTTO RAUL CASTRO A RAFFORZARSI CON IL VIAGGIO DI RATZINGER A CUBA
Il Messaggero

Per la stampa internazionale è soprattutto Raul Castro a rafforzarsi con il viaggio di Ratzinger a Cuba. Il quotidiano finanziario britannico Financial Times osserva che la visita «non ha generato la stessa eccitazione» del viaggio di Giovanni Paolo II, «soprattutto per il fatto che Cuba sta cambiando», dirigendosi, «con il pragmatico Raul Castro, verso un lento ma significativo processo di riforme economiche».

Secondo il giornale londinese «se Castro si genuflette dinanzi al Papa, il suo inchino è solo simbolico. Se il Papa ascolta Castro è solo per favorire i più ampi obbiettivi della sua congregazione. Quindi, chi sta traendo maggiori vantaggi dall'altro? Al momento è troppo presto per dirlo», è la conclusione del giornale londinese.

La Bbc sottolinea come «la Chiesa sia stata criticata per essere troppo vicina al governo». Tuttavia, aggiunge, Cuba «è molto cambiata» dal viaggio di Giovanni Paolo II e «dopo tre decadi» di «persecuzioni» ai danni dei cattolici oggi, «in linea teorica, un cubano può essere un cattolico e un alto funzionario del partito comunista allo stesso tempo». In Spagna, El Pais osserva come la visita a Cuba sia caduta, «non per caso, dopo l'approvazione di un piano di riforme». Il New York Times avverte: «sebbene Raul Castro abbia accolto Benedetto XVI all'aeroporto, le aperture alle quali si è appellato il pontefice potrebbero prendere del tempo».

VIDEO DELL'INCONTRO PAPA-CASTRO: http://video.corriere.it/incontro-benedetto-xvi-fidel-castro/cecc1b7a-790e-11e1-9401-15564ff52752

 

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