FLASH! - FERMI TUTTI: NON E' VERO CHE LA MELONA NON CONTA NIENTE AL PUNTO DI ESSERE RELEGATA…
Attilio Bolzoni e Francesco Viviano per “la Repubblica”
C’è un pezzo grosso dell’Antimafia dell’ultima ora che è finito sotto inchiesta per mafia. È uno dei volti nuovi dell’Italia che combatte i boss, ha rapporti stretti con più di un ministro e con tanti prefetti, è il presidente degli industriali siciliani e il delegato per la “legalità” di Confindustria. Ci sono alcuni pentiti che parlano di lui e delle sue «pericolose frequentazioni».
Come si chiuderà questa vicenda — se c’è solo fumo o anche molto arrosto — nessuno ancora lo può dire, di sicuro però Antonello Montante, uno dei cosiddetti paladini delle battaglie antimafia più recenti (troppo recenti, maligna qualcuno) è al momento indagato per reati di mafia alla procura della repubblica di Caltanissetta.
All’anagrafe è registrato come Antonio Calogero Montante, ha 52 anni, è un siciliano di Serradifalco, provincia di Caltanissetta — dove è anche presidente della locale Camera di Commercio — ed è stato nominato Cavaliere del Lavoro nel 2008. È a capo di un impero nato negli anni ‘20 del secolo scorso con una fabbrica di biciclette, è fondatore della “Msa”, Mediterr Shock Absorbers Spa, azienda di progettazione e produzione di ammortizzatori per veicoli industriali presente in tutto il mondo.
Su di lui c’è l’inchiesta di Caltanissetta e poi ce n’è un’altra a Catania, su una denuncia presentata nei mesi scorsi. Indagini blindatissime, sia per il “peso” del personaggio coinvolto sia per gli effetti che le stesse indagini potrebbero provocare. Per esempio, dal 20 gennaio 2015, il governo — su proposta del ministero dell’Interno — ha designato Montante componente dell’Agenzia dei beni confiscati. Una postazione strategica, lì si decide il destino di patrimoni sporchi per miliardi di euro.
L’inchiesta è nella prima fase e nessuno è nelle condizioni di prevedere dove potrebbe portare, ma fra le pieghe di questa storia ci sono già tutte le incoerenze di un’antimafia di fresca nascita — con patenti rilasciate con assai disinvoltura — e il paradosso tutto italiano di come si possa tranquillamente navigare da una sponda all’altra senza incertezze e contraccolpi. È un po’ il segno dei tempi.
A Caltanissetta ci sono tre pentiti — «vecchi e nuovi», si apprende da ambienti investigativi — che fanno il nome di Antonello Montante e lo trascinano nel gorgo. Uno è Salvatore Dario Di Francesco, mafioso di Serradifalco, lo stesso paese di Montante. Questo Di Francesco, arrestato un anno fa dalla squadra mobile, ha iniziato a raccontare di appalti pilotati nella zona — e in particolare al Consorzio Asi, l’Area di sviluppo industriale — dal 1999 al 2004.
Di Francesco, che all’Asi lavorava e ogni pratica di gara passava per le sue mani, è stato definito «il collante fra esponenti di Cosa Nostra e i colletti bianchi della provincia ». Dopo la sua cattura ha cominciato a fare nomi. Salvatore Dario Di Francesco è compare del mafioso di Serradifalco Vincenzo Arnone, un figlio di famiglia (suo padre, boss di Cosa Nostra, si chiamava Paolino e, nell’autunno del 1992 dopo una retata si suicidò nel carcere Malaspina di Caltanissetta), che a sua volta è compare di nozze proprio di Antonello Montante. Legami di paese.
Legami di paese diventati pubblici con uno scoop della rivista “I Siciliani giovani” nell’aprile dell’anno scorso, che diffuse in rete non solo una foto di Montante insieme a Vincenzo Arnone nella sede dell’Associazione Industriali di Caltanissetta (eravamo a metà Anni Ottanta) ma anche il certificato di matrimonio di un giovanissimo Montante — aveva 17 anni — con i nomi dei padrini di nozze. Quattro.
Due erano gli Arnone di Serradifalco, padre e figlio. Anche queste lontane “conoscenze” sono entrate nell’inchiesta dove, comunque, la parte più consistente riguarda le rivelazioni del pentito Di Francesco e degli altri due collaboratori di giustizia.
EMMA MARCEGAGLIA ANTONELLO MONTANTE
L’indagine tocca fili ad alta tensione per il giro di relazioni romane che Montante ha allacciato in questi ultimi anni (al ministero dell’Interno e della Giustizia — con la Cancellieri soprattutto — e con molti magistrati che hanno creduto alla “rivolta” degli imprenditori siciliani) e anche sull’isola dove Montante e la sua cordata hanno avuto un ruolo decisivo nel pilotare l’elezione di Rosario Crocetta a governatore, piazzando pure una funzionaria di Confindustria Sicilia nel governo regionale. Proprio ieri, l’assessore alle Attività produttive Linda Vancheri, ha ricevuto la delega da Crocetta «per il coordinamento (della Regione, ndr) di Expo 2015».
È il “nuovo corso” siciliano, dopo due governatori condannati o arrestati per mafia (Raffaele Lombardo, 6 anni e 8 mesi per concorso esterno, Totò Cuffaro ancora rinchiuso a Rebibbia per favoreggiamento), sostenuto proprio dagli imprenditori che una mezza di dozzina di anni prima si erano ribellati al “pizzo” spazzando via da Confindustria rappresentanti troppo vicini ai clan come Pierino Di Vincenzo. Sembrava una rivoluzione. Un movimento nato a Caltanissetta, ufficialmente compatto ma in realtà con più anime e più obiettivi, a tratti fedele alla linea rigorosa annunciata e a tratti sopraffatto dalla retorica e da interessi più nascosti. Troppe parole e pochi fatti, troppe dichiarazioni di “impegno antimafia” e troppa legalità sbandierata.
ANDREA CAMILLERI ANTONELLO MONTANTE
Delegato per Confindustria per questo sventolamento di “legalità” perenne è proprio Antonello Montante che, appena due settimane fa dichiarava, «la necessità di un’ora di legalità obbligatoria in tutte le scuole». E appena un mese fa, subito dopo gli arresti per mafia di Roma, annunciava che Confindustria si sarebbe costituita parte civile nel processo contro “Er Cecato” e la sua ciurma. A questo punto, c’è solo da aspettare la fine delle indagini. O contro Montante qualcuno ha ordito una trama, ha ideato un complotto per disonorarlo, con pentiti manovrati da chissà chi per infangare il “simbolo” di una Sicilia che vuole cambiare. O qualcosa — ancora una volta — consiglia alla cautela e fa riflettere sui travestimenti dell’Antimafia.
ANDREA CAMILLERI ANTONELLO MONTANTE LUCA PALAMARA
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