
DAGOREPORT - COSA FRULLA NELLA TESTA DI FRANCESCO MILLERI, GRAN TIMONIERE DEGLI AFFARI DELLA…
Antonella Rampino per "la Stampa"
«Né veti, né avalli»: la perifrasi con la quale al Colle si chiosano le parole di Napolitano su Monti, nel crepuscolo di quello che pure è stato un «governo del presidente», è molto netta. E delinea la sostanza di quell'importante capoverso che Napolitano dedica al tecnico bocconiano che investì della propria autorevolezza elevandolo al laticlavio vitalizio di senatore prima di insediarlo a Palazzo Chigi come deus ex machina della crisi italiana, e che poi ha scelto la via delle «dimissioni irrevocabili» e la «salita in politica».
Occorre leggere attentamente: «Il senatore Monti ha compiuto una libera scelta di iniziativa programmatica e di impegno politico. Non poteva candidarsi al Parlamento, facendone già parte come senatore a vita. Poteva, e l'ha fatto, patrocinare una nuova entità politico-elettorale, che prenderà parte alla competizione alla pari degli altri schieramenti. D'altronde, non c'è nel nostro ordinamento costituzionale l'elezione diretta del primo ministro, del capo del governo».
Occorre seguire le parole scelte, e come d'abitudine attentamente soppesate: la scesa in campo di Monti avverrà «con una nuova entità politico-elettorale», dice Napolitano che solo un mese fa aveva pubblicamente consigliato Monti di attendere che, dopo le elezioni, quelle formazioni di cui ancora non si comprendevano neanche i contorni si recassero a «chiedergli un impegno» nel suo studio di senatore a vita a Palazzo Giustiniani.
E poi la chiosa, non c'è in Italia «l'elezione diretta del capo del governo»: insomma, quell'indicazione del capo della coalizione prevista nella legge elettorale - il famigerato porcellum che Napolitano ha esortato in ogni modo a correggere - non è e non può essere una forma di presidenzialismo, nemmeno surrettizia. Poi, Napolitano scandisce che «il Presidente del Consiglio dimissionario è tenuto - secondo una prassi consolidata - ad assicurare entro limiti ben definiti la gestione degli affari correnti, e ad attuare le leggi e le deleghe già approvate dal Parlamento...».
Si sa che il capo dello Stato riteneva le settimane prima del voto «tempo proficuo» per portare a termine le riforme (decreti attuativi compresi). E il memento non è scontato, perché la terzietà del governo nella fase elettorale che si apre ufficialmente ora è stata chiesta a Napolitano sia da Pd che da Pdl. E perché Napolitano, che gestirà i passaggi istituzionali e politici sino alla formazione del nuovo governo proprio per l'inversione delle scansioni causata dalle improvvise dimissioni di Monti, continuerà ad essere il garante di tutti.
La strada dei due presidenti, poi, si è divisa. Con qualche comprensibile amarezza di Napolitano per quella «libera scelta» di cui Monti stesso aveva detto «non mi si può chiedere e non mi si può impedire...». Il di più, è nei fatti. Certo, Monti ha apprezzato il messaggio di fine anno. Ma con un gesto inedito, Palazzo Chigi ha diffuso una «analisi di un anno di governo», che vanta successi negli spread e nelle riforme, e si limita a citare la necessità di occupazione per i giovani, nel quadro della futura crescita. Tutto il contrario, ed è facile constatarlo, delle vibranti preoccupazioni di Napolitano per la coesione e la questione sociale.
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