mose venezia come bancomat

UNA IATTURA CHIAMATA “MOSE” - IL SISTEMA DI PARATOIE MOBILI, CHE DOVEVA PROTEGGERE VENEZIA, È COSTATO 5,5 MILIARDI ED È GIÀ OBSOLETO - È FERMO AL 94% DEI LAVORI E LO VEDREMO IN FUNZIONE, SE VA BENE, TRA DUE ANNI - MA ANCHE QUANDO SARÀ TERMINATO A LUNGO ANDARE POTREBBE FARE PIÙ DANNI DI QUELLI CHE DEVE PREVENIRE -  INGEGNERI E AMBIENTALISTI: “L’OPERA È INSUFFICIENTE A FRONTEGGIARE LA NUOVA SITUAZIONE CLIMATICA” - UN DISASTRO DI RINVII, TANGENTI E POLEMICHE

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1 - LO SCANDALO MOSE, ETERNA INCOMPIUTA: “COSTATO 5,5 MILIARDI E GIÀ OBSOLETO”

Fabio Tonacci per “la Repubblica”

 

E il Mose? Ecco la domanda del giorno dopo. Il Mose. Dov’è, a che punto siamo, perché le 78 paratoie mobili già installate sul fondale delle tre bocche d’ingresso in Laguna (Lido, Chioggia e Malamocco) non si sono alzate per proteggere Venezia? Il Mose non c’è ancora. Il Mose non è finito. E anche quando sarà terminato (ora dicono alla fine del 2021, se il Provveditorato si deciderà a erogare gli ultimi 200 milioni) a lungo andare potrebbe fare più danni di quelli che deve prevenire.

 

“CE LA FAREMO, MA…”

GALAN CON CARLO MAZZACURATI

Ormai i numeri del Mose sono grani di un rosario che gli italiani conoscono a memoria. Se ne parla dagli anni Ottanta, il progetto definitivo viene approvato dal “Comitatone” per la salvaguardia di Venezia nella primavera del 2003, nel 2006 il governo Prodi dà il via libera decisivo. Un nome che è un acronimo (Modulo Sperimentale Elettromeccanico), ma che evoca il biblico Mosé e la separazione delle acque del Mar Rosso.

 

Doveva costare 3,4 miliardi di euro, ne costerà 5,49. Doveva essere finito nel 2016, lo vedremo in funzione, se va bene, tra due anni. «Penso che ce la faremo», dice a Repubblica Giuseppe Fiengo. E in quel “penso” ci sta tutta l’inquietudine dei 259 mila abitanti della Serenissima. L’avvocato Fiengo è uno dei due commissari (erano tre, poi Luigi Magistro si è dimesso) del Consorzio Venezia Nuova, nominati nel 2015 dall’Anticorruzione dopo la retata della Guardia di finanza che decapitò il Sistema Mazzacurati. Il cui riverberotuttora influenza il cronoprogramma.

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«Ci manca da ultimare la parte impiantistica, quindi le paratoie non possono ancora essere chiuse tutte contemporaneamente». Quel che racconta Fiengo spiega bene come giravano le cose ai tempi del Sistema. «Oltre alle criticità sulle cerniere dei cassoni, già arrugginite, abbiamo scoperto che gli impianti non erano nemmeno stati inseriti nel progetto: era prevista la fornitura dei macchinari, ma senza i collegamenti». “Ci devono dare 200 milioni” Il Mose oggi è costruito al 94%. Il denaro per finirlo c’è, perché lo Stato ha messo a disposizione l’intero importo, solo che per percorrere l’“ultimo miglio” servono i 200 milioni fermi al Provveditorato di Venezia.

 

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«Non li eroga — sostiene Fiengo — per cavilli burocratici: ne abbiamo bisogno per rimediare ai difetti di costruzione, per la manutenzione, per le prove delle paratoie, per pagare i 240 dipendenti Consorzio; ci rispondono che da regolamento possono sbloccarli solo a Saldo avanzamento lavori come da capitolato del progetto». Non per lavori extra, dunque, necessari per riparare alla malagestione precedente, quando vigeva il Sistema.

 

IL SISTEMA MAZZACURATI

Funzionava così: il patron del Consorzio Giovanni Mazzacurati (morto in California lo scorso settembre a 87 anni, senza sottoporsi al processo) ungeva con mazzette, favori e regali tutta la filiera da cui dipendeva l’avanzamento del progetto Mose e il rubinetto dei finanziamenti. È andata avanti fino al 2014, quando il pool di magistrati veneziani scoperchiò il Sistema.

 

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Sono arrivate condanne in primo e secondo grado, più una sfilza di patteggiamenti tra gli imprenditori, e spesso si dimenticano le reali dimensioni dello scandalo Mose: i finanzieri hanno calcolato che il Consorzio, tra il 2004 e il 2014, si è mangiato 250 milioni di euro in tangenti, sovrafatturazioni, evasioni fiscali, fondi neri, consulenze fittizie; solo in mazzette sono stati dissipati almeno 40 milioni di euro, tutti (e anche qualche milione in più) rientrati nelle casse dello Stato grazie alla strategia seguita dai pm veneziani per accordare i patteggiamenti agli indagati.

 

“LA LAGUNA DIVENTERÀ UNA FOGNA”

Secondo il piano dei commissari, già nell’autunno 2020 le barriere, seppur in fase di sperimentazione, si chiuderanno per difendere la città dalle maree. E serviranno almeno 80 milioni di euro all’anno per la manutenzione, che saranno pagati dall’ente gestore ancora da individuare. Una parte, assai nutrita, di ingegneri idraulici e ambientalisti dubita però della reale efficacia del Mose.

 

foto aerea mose venezia

Già nel 2006 uno studio di Principia, leader mondiale nel campo della modellistica, metteva in guardia: con particolari condizioni di mare (onda di 2,2 metri con frequenza di 8 secondi), si può generare l’effetto “risonanza”, che rende le paratoie instabili e inefficaci. Non solo.

 

Armando Danella, membro dell’associazione AmbienteVenezia, consulente della ex giunta Cacciari, spiega: «Nel 2003, quando hanno definito il progetto Mose, hanno calcolato un innalzamento del livello del mare, dovuto al riscaldamento globale, di appena 22 centimetri in un secolo. Ipotizzavano di azionarlo 6 volte all’anno, quando l’alta marea raggiungeva 1 metro e dieci dal medio mare. Hanno sottovalutato tutto: le più recenti previsioni stimano in 90 centimetri l’innalzamento del livello del mare, e infatti già nel 2018 il Mose sarebbe entrato in funzione venti volte. In questo modo, senza il ricircolo dell’acqua e l’ossigenazione necessaria, la Laguna diventerà una fogna»

luigi zanda

 

2 - IL DISASTRO DEL MOSE MILIARDI, RINVII TANGENTI E POLEMICHE

Danilo Guerretta per “la Stampa”

 

Ecco il Mose, salverà Venezia dall' acqua alta e sarà pronto nel giro di 3 anni per un costo di 20 miliardi di lire». Era il 1992 quando Luigi Zanda, presidente del Consorzio Venezia Nuova presentò il progetto delle dighe mobili, un' opera di ingegneria idraulica unica al mondo. Dodici anni prima, era stato il ministro dei Lavori pubblici Nicolazzi a conferire l' incarico a un gruppo di esperti per redigere lo studio di fattibilità e il progetto per un' opera che difendesse Venezia dall' acqua alta: era il cosiddetto «Progettone».

 

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Storia infinita La storia del Mose è una storia infinita, fatta di ritardi, costi lievitati e inchieste giudiziarie, ma soprattutto è una storia che non è ancora terminata: la prova di innalzamento delle barriere del 4 novembre è slittata a causa delle troppe vibrazioni, l' entrata in funzione prevista per il 2022 è a rischio.

 

L' unica certezza sono i 5,5 miliardi di euro che i governi hanno sborsato fino a oggi ai quali vanno aggiunti 700 milioni per la riparazione delle strutture già rovinate e circa cento milioni l' anno per garantire il funzionamento e la manutenzione di un' opera che doveva essere pronta otto anni fa e costare 1,6 miliardi di euro. Dalla presentazione del progetto alla posa della prima pietra sono trascorsi 11 anni, era stato il premier Berlusconi, il 14 maggio 2003, a dare il via ai lavori anche se non tutti a Venezia erano convinti che quella fosse la soluzione migliore. Il Consiglio comunale spedì a Roma una decina di alternative ma nel 2006 il ministro dei Lavori Pubblici Di Pietro riferì che l' esame comparato aveva un unico vincitore: il Mose.

 

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Il progetto prevedeva 78 paratoie mobili lunghe fino a 29 metri, posizionate alle bocche di porto della Laguna, collocate in cassoni di calcestruzzo adagiati sul fondale e pronte a entrare in funzione con una marea di 110 centimetri.

I lavori proseguirono nonostante qualche intoppo come il cedimento delle nave speciale che doveva sollevare le barriere o l' esplosione di un cassone nel fondale di Chioggia. Uno studio del Cnr sullo stato di salute della Laguna lanciò l' allarme dell' erosione dei fondali a causa dell' impatto dei lavori, ma il Mose era un treno in corsa e il 12 ottobre 2013 il sindaco Orsoni e il ministro delle Infrastrutture Lupi applaudirono l' innalzamento della prima paratoia.

 

CANTIERE DEL MOSE

Il terremoto giudiziario Otto mesi dopo il terremoto con l'inchiesta giudiziaria che travolse politici, imprenditori e vertici del Consorzio. Tra i 34 arrestati Orsoni, l'ex governatore Galan, l' assessore regionale alle Infrastrutture Chisso ma anche ex magistrati alle Acque, generali della guardia di finanza e imprenditori a capo di aziende che lavoravano per la realizzazione dei lavori. I magistrati hanno portato alla luce un sistema di corruzione, fondi neri, finanziamenti illeciti ai partiti e false fatture che di fatto hanno fermato i cantieri e l' attività del Consorzio. Per sbloccare la situazione il presidente del Consiglio Renzi inviò nel 2014 tre commissari con il compito di gestire il prosieguo dei lavori ma i contenziosi con le imprese appaltatrici bloccarono i cantieri.

Giorgio Orsoni

 

Un altro rinvio «In queste condizioni è impossibile rispettare l' impegno del 31 dicembre 2021» aveva detto il Provveditore alle Opere Pubbliche alla commissione Ambiente della Camera durante l' ultimo sopralluogo ai cantieri lo scorso marzo.

 

L'opera (completa al 94%) doveva essere testata il 4 novembre, una data simbolo per i veneziani perché coincidente con l' anniversario della grande alluvione del 1966 ma un problema riguardante le troppe vibrazioni durante le prove di sollevamento delle barriere ha causato l' ennesimo rinvio in attesa di «verifiche tecniche dettagliate e interventi di soluzione». Il Mose, l' opera che, come si legge nel sito del Consorzio «può proteggere Venezia e la laguna da maree alte fino a 3 metri e da un innalzamento del livello del mare fino a 60 centimetri nei prossimi 100 anni» si è fermato ancora.

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