DAGOREPORT – DANIELA SANTANCHÈ NON È GENNARO SANGIULIANO, UN GIORNALISTA PRESTATO ALLA POLITICA…
GOFFREDO DE MARCHIS per “la Repubblica”
renato schifani con la moglie franca
Renato Schifani considera chiaro «lo sgretolamento del centro, il progetto è fallito. Prima il No dell’Udc al referendum costituzionale, poi le mie dimissioni da capogruppo dell’Ncd al Senato. È una brutta giornata per Alfano...».
L’ex presidente del Senato ha lasciato ieri il Nuovo centrodestra motivando il suo addio in una lunga lettera ai senatori. «Il centro purtroppo non esiste, l’alleanza strutturale con il Pd è sbagliata. Non potevo continuare a stare nella cabina di comando di una cosa a cui non credevo», è la sua spiegazione in serata.
Il ministro dell’Interno risponde con una nota in cui sostanzialmente dice che è meglio così, che chi non ci sta è bene che lasci il partito. Il rapporto si era già rotto quando Schifani aveva fatto visita ad Arcore al convalescente Berlusconi. Il segnale di un ritorno alla casa madre, hanno pensato in molti. «Ci siamo lasciati male con Angelino», ammette. Una telefonata nervosa. «Quando una coppia si separa non è mai piacevole».
Alfano è sicuro che lo seguiranno solo in due (su un gruppo di 31): Esposito e Azzollini. Gli altri ribelli, come Formigoni e Sacconi, resteranno dentro. Già oggi il leader dell’Ncd riunirà i gruppi di Camera e Senato.
Al posto di Schifani verrà eletta Laura Bianconi. Ma l’ala centrista del governo soffre. Con una certa malizia Gaetano Quagliariello, ex già da alcuni mesi, commenta: «Ncd è uguale a Mps, il Monte dei paschi: ancora in vita ma tecnicamente fallito. Non c’è spazio per il progetto di Alfano». Ovvero, Matteo Renzi non accoglierà mai nel centrosinistra i fuoriusciti da Forza Italia. E non gli darà mai una nuova legge elettorale che consenta a una formazione centrista di coalizzarsi alle elezioni con il Pd.
Alfano segue un’altra rotta. Non forzare il premier, confermare l’alleanza di governo fino al referendum votando Sì alle riforme e dopo chiedere un’intesa politica al Partito democratico. Nel frattempo dovrebbe nascere il nuovo partito lanciato dal ministro dell’Interno. «Come faccia a creare una nuova forza politica a un anno e mezzo dal voto per me è un mistero», dice Schifani.
Il posizionamento dell’area centrale è comunque un dato di fatto che pesa sugli equilibri della maggioranza. «I numeri non sono in discussione — ammette Schifani — nemmeno al Senato. Il problema è solo politico ». Sono comunque numeri ballerini, frenetici come dimostrano le vicende di ieri e la nascita del nuovo gruppo verdiniano alla Camera con l’aiuto del viceministro Enrico Zanetti. Non aiutano la stabilità del governo Renzi.
Ma Renzi pensa che sia solo uno lo strumento al quale affidare la sua forza: il referendum di novembre. Tutto quello che avviene nel mezzo conta fino a un certo punto. Se vince il Sì, il renzismo tornerà in auge. Se vince il No, si apre una partita completamente diversa.
Viene giudicata come una tappa intermedia anche la proposta di legge elettorale presentata ieri ufficialmente dalla minoranza. Federico Fornaro e Andrea Giorgis l’hanno chiamata Mattarellum 2.0. Turno unico, 475 collegi uninominali e un premio di maggioranza di 90 deputati ai primi, fino al massimo di 350 deputati per i vincitori. La soglia è bassissima (2 per cento), come nella prima repubblica, per dare a 23 onorevoli il diritto di tribuna. La nuova strategia dei renziani è non dire mai di no.
Quindi, anche in questo caso, nessuna chiusura preventiva. Dice Andrea Marcucci: «Mi sembra un passo indietro rispetto all’Italicum perché non si sa chi vince la sera del voto. Ma discutiamone». Su questa materia, dopo gli attacchi, Renzi sceglie la melina. Il giudizio universale è il referendum.
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