UN MONDO DI TRAUMATIZZATI - NEGLI USA QUASI L’8% DELLA POPOLAZIONE SOFFRE DI “PTSD”, VALE A DIRE “DISTURBO POST TRAUMATICO DA STRESS” - CHI NE È AFFETTO SI TROVA A CONVIVERE CON FORTI STATI DI ANSIA, PAURA E TERRORE, IN CUI VIENE CONTINUAMENTE RIVISSUTA LA SITUAZIONE TRAUMATICA - IL 30% DI COLORO CHE FECERO RITORNO DAL VIETNAM NE SOFFRIRONO, E OGGI I CASI SI MOLTIPLICANO CON I SOLDATI DELL’AFGHANISTAN - IN ITALIA SONO IN CURA ALCUNE VITTIME DEL TERRORISMO DEGLI ANNI ’70…

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Daniele Banfi per "la Stampa"

John è uno dei soldati che, di ritorno dalle missioni di guerra in Afghanistan, ha visto la propria vita sconvolta dalle terribili esperienze vissute, al punto da non riuscire più a ricostruirsi una normalità.

Questo dramma, sempre più frequente, è classificato come una malattia subdola, nota con la sigla di «Ptsd», vale a dire «Disturbo post traumatico da stress». Da anni, ormai, le vittime come John sono oggetto di indagini sempre più approfondite per chiarire i meccanismi biologici che regolano il suo disturbo.

Anche se gli «attori» in campo sono molti, secondo gli ultimi studi presentati al congresso «Neuroscience» di New Orleans (il più prestigioso appuntamento mondiale nel campo delle neuroscienze), a giocare un ruolo particolarmente importante è l'alterazione della risposta immunitaria. È un'ipotesi, peraltro, condivisa per molte malattie che colpiscono il cervello come, per esempio, la depressione. Ecco perché il futuro nella lotta a questo genere di patologie potrebbe passare anche dal controllo di un processo come l'infiammazione.

«Il disturbo post-traumatico da stress - spiega Andrea Fagiolini, direttore del Dipartimento interaziendale di Salute mentale all'Università di Siena - insorge sempre in seguito a un evento traumatico, in cui la "figura" della morte è centrale. A esserne colpiti, oltre i soldati inviati in zone di guerra, possono essere le persone coinvolte in gravi incidenti stradali e in catastrofi naturali». Chi ne è affetto si trova a convivere con forti stati di ansia, paura e terrore, in cui viene continuamente rivissuta la situazione traumatica. Un'esperienza che, a seconda della gravità della patologia, può essere così invalidante da occupare tutta la giornata.

Secondo le ultime statistiche, che si riferiscono agli Stati Uniti, si calcola che quasi l'8% della popolazione abbia sperimentato questa condizione estrema. Ma le percentuali si alzano, quando si considerano i militari: solo nella guerra del Vietnam il 30% dei reduci fu colpito dalla sindrome.

«Oggi - continua Fagiolini - la cura consiste in un duplice approccio. Da un lato, attraverso la psicoterapia cognitivo-comportamentale, si cerca di far riprocessare e metabolizzare l'evento traumatico. Questo perché la persona che è colpita da "Ptsd" è nella situazione in cui non riesce ad accettare ciò che ha vissuto.

Dall'altro lato, però, è necessario agire anche con una terapia farmacologica per alleviare gli stati ansiosi e ciò può essere fatto nell'immediato attraverso la somministrazione di benzodiazepine e, sul lungo periodo, con gli antidepressivi classici. Dal "Ptsd", quindi, è possibile guarire, ma a volte la malattia cronicizza. Nel mio dipartimento, per esempio, abbiamo in cura alcune vittime del terrorismo degli Anni 70».

Molti studi che utilizzano tecniche di «neuroimaging» hanno dimostrato che nella malattia le aree che risultano maggiormente colpite sono quelle a livello dell'ipotalamo e dell'ippocampo. Analizzando, però, in maniera più approfondita queste zone, si è osservato il diretto coinvolgimento del sistema immunitario. Negli individui affetti da «Ptsd», infatti, si riscontrano alterazioni nel sistema di secrezione dei corticosteroidi - gli ormoni secreti in risposta allo stress - e in particolare del cortisolo.

Non solo. A essere alterata è di conseguenza anche la produzione delle molecole pro-infiammatorie (le citochine). I loro livelli - in particolare quelli dell'interleuchina-6 - subiscono un'impennata subito dopo un evento traumatico e rimangono elevati anche dopo diverso tempo. Si tratta di un quadro abbastanza simile a quello che avviene nella depressione. Ecco perché controllare la secrezione di ormoni e citochine - e di conseguenza attenuare il processo infiammatorio - potrebbe rappresentare una strategia ulteriore nella cura di questo genere di disturbi.

«Attualmente i farmaci disponibili per la cura dei disturbi psichiatrici hanno come "target" la regolazione del rilascio dei neurotrasmettitori. Molecole molto valide che, però, potrebbero essere affiancate da farmaci di nuova generazione. A mio parere - aggiunge Fagiolini - il sistema endocrino diventerà uno dei bersagli più significativi sui quali agire e la ricerca va proprio in questa direzione: nel trattamento di molti disturbi psichiatrici, infatti, sono in fase di sviluppo, anche se ancora precoce, nuovi composti e l'obiettivo è esattamente quello di regolare la secrezione ormonale».

 

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