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NEL PRIMO DIBATTITO TV TRA I CANDIDATI REPUBBLICANI IN CORSA PER LA CASA BIANCA, DONALD TRUMP SI PRENDE LA SCENA TRA INSULTI, SCENEGGIATE E PROVOCAZIONI

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1 - MINACCE,GAFFE E INSULTI ALLE DONNE TRUMP SUPERSTAR VOLA NEI SONDAGGI

IL CONFRONTO TV TRA I CANDIDATI REPUBBLICANIIL CONFRONTO TV TRA I CANDIDATI REPUBBLICANI

Federico Rampini per “la Repubblica”

 

Se non mi scegliete come candidato repubblicano, potrei correre da indipendente. Lo annuncia il magnate immobiliare Donald Trump. È la vera “bomba” del primo dibattito televisivo nella sfida per la nomination. La minaccia di Trump – per ora in testa ai sondaggi tra i repubblicani – getta lo scompiglio a destra. L’establishment del partito lo teme o lo disprezza, ma ora deve vedersela con questo scenario.

 

Una terza candidatura da indipendente potrebbe dirottare su Trump voti preziosi e garantire la vittoria di Hillary Clinton. Ripetendo quel che accade a suo marito Bill: conquistò la Casa Bianca per la prima volta nel 1992 grazie al “disturbatore” Ross Perot, anche lui un businessman, un indipendente che rubò voti decisivi a George Bush padre.

IL CONFRONTO TV TRA I CANDIDATI REPUBBLICANI   IL CONFRONTO TV TRA I CANDIDATI REPUBBLICANI

 

Tutti contro Trump, e Trump contro tutti. Così gli esperti di marketing elettorale hanno riassunto il primo match televisivo tra i candidati di destra. “Mister 10 miliardi di dollari”, come misura lui stesso la propria ricchezza, ha dominato l’attenzione. Egomaniaco, narciso, sbruffone, arrogante, ma certamente un uomo di spettacolo. Con la sua prepotenza ha ottenuto più tempo: 11 minuti di parola contro i 6 dei suoi avversari. Ha usato tutti gli artifici dello showman, a cominciare dagli attimi di suspense dopo la domanda cruciale dei moderatori. «Chi di voi non s’impegna fin d’ora a sostenere il vincitore della nomination, alzi la mano».

 

IL CONFRONTO TV TRA I CANDIDATI REPUBBLICANI IL CONFRONTO TV TRA I CANDIDATI REPUBBLICANI

Finta incertezza, poi una sola mano svetta solitaria: la sua. Ha insultato Barack Obama e tutti gli altri governanti: «Abbiamo dei leader stupidi». È tornato a insolentire gli immigrati messicani: «Quel paese ci manda brutta gente». Ha aggredito la moderatrice, unica donna in scena, la brillante giornalista di Fox News Megyn Kelly, che lo incalzava per il suo sessismo ricordando le ingiurie che lui usò contro una donna (“cagna”), o quella volta che nel concorso televisivo The Apprentice disse «mi piacerebbe vedere una concorrente in ginocchio». A Megyn Kelly lui ha risposto seccamente: «Non ho tempo da perdere col politically correct, e l’America nemmeno ».

DONALD TRUMP E JEB BUSHDONALD TRUMP E JEB BUSH

 

A dibattito concluso ha continuato ad infierire sulla moderatrice chiamandola “bimbo”, l’equivalente di “bella pupa”. Al termine di una sequenza di gaffe che avrebbero affondato qualunque altro candidato, alcuni esperti repubblicani già lo dichiarano finito. Ma durante il dibattito uno dei suoi avversari, il governatore dell’Ohio John Kasich, ha detto il contrario: «Trump tocca un nervo scoperto nel paese. La gente è stufa, frustrata. Chi lo sottovaluta sbaglia».

 

DONALD TRUMPDONALD TRUMP

Insomma è lui per adesso il magnete catalizzatore dell’anti-politica, del populismo, della xenofobia, della rivolta contro ogni élite ed ogni establishment… con l’eccezione degli straricchi. Invano altri cercano di attirare l’attenzione sulle sue tre bancarotte, o sul fatto che non è un self-made man bensì un ereditiero figlio di papà. In quanto alle donne già prima del dibattito in tv solo il 37% delle elettrici repubblicane era disposto ad appoggiarlo.

 

Gli altri nove concorrenti non hanno creato colpi di scena né suscitato particolari emozioni. Marco Rubio, il 44enne senatore della Florida di origini ispaniche, ha corteggiato la destra religiosa condannando l’aborto perfino in caso di stupro o incesto. Un battibecco sullo spionaggio digitale ha opposto Rand Paul a Chris Christie. Il libertario Paul, da sempre fautore di uno Stato minimo anche nel campo militare e poliziesco, ha dichiarato: «Voglio raccogliere più informazioni sui terroristi, meno sugli americani onesti».

DONALD TRUMPDONALD TRUMP

 

Christie, governatore del New Jersey, lo ha attaccato: «Come fai a sapere a priori chi sono i terroristi? Queste sono sciocchezze che si dicono nelle commissioni parlamentari». Nonostante il ciclone Trump tutti si sono ricordati di spendere qualche minuto per attaccare Hillary Clinton, l’avversaria da battere. Contro di lei il più efficace è stato Rubio, con questo attacco alle candidature dinastiche: «Se l’elezione è una gara dei remake, allora la Clinton deve vincere, è stata al governo più a lungo di tutti noi. Ma l’elezione deve guardare al futuro, non al passato».

MELANIA E DONALD TRUMPMELANIA E DONALD TRUMP

 

Le pagelle degli esperti danno buoni voti a Rubio e Ted Cruz tra i candidati della destra fondamentalista vicini al Tea Party; Kasich è stato promosso tra quei moderati che vogliono proporre un’immagine più aperta e inclusiva del partito repubblicano. Jeb Bush è stato considerato grigio e poco convincente. Il percorso verso la nomination è ancora lungo. Le primarie cominceranno nel gennaio 2016. Prima toccherà ad altri quattro dibattiti televisivi fare un po’ selezione entro dicembre.

 

Il campo repubblicano è affollatissimo: ben 17. Troppi per “governarli” dentro uno studio televisivo, tant’è che la Fox News ne ha ospitati solo 10 per il confronto di giovedì sera, scegliendoli sulla base della popolarità nei sondaggi. Gli altri 7 si sono dovuti accontentare di un dibattito di serie B, nel pomeriggio. Tra quelli si è distinta Carly Fiorina, unica donna in gara, la top manager che guidò Hewlett Packard. Se decolla nei sondaggi potrà essere promossa nei dibattiti tra i primi dieci.

 

2 - FRANK BRUNI: «PRODOTTO DELLA CIVILTÀ TELEVISIVA PUÒ DIVENTARE IL BERLUSCONI USA»

Massimo Gaggi per il “Corriere della Sera”

 

sosia di donald trumpsosia di donald trump

Un prodotto degenerato della civiltà televisiva dell’«infotainment», della politica-spettacolo. Non è il caso di sottovalutarlo: per molti è una meteora, ma potrebbe anche diventare il Berlusconi della politica americana. Da settimane il «columnist» del New York Times Frank Bruni analizza con crescente preoccupazione e pessimismo il fenomeno Donald Trump, man mano che il suo gradimento cresce rapidamente nei sondaggi, nonostante le sue affermazioni offensive e a volte razziste che fanno rabbrividire mezza America.

 

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Dopo il dibattito lei sembra sollevato: ritiene che il «tycoon» sia uscito sconfitto?

«Non so se ha perso. Dopo questi dibattiti ci vogliono un paio di giorni prima che, sedimentate le emozioni, emergano i giudizi veri. Ma secondo me Trump si è fatto del male da solo: non ha approfittato dell’occasione televisiva per espandere lo spessore della sua candidatura. Chi è orientato a sostenerlo sa già che è e salace e impudico. Magari l’altra sera avrebbe voluto ottenere anche qualche rassicurazione sulle sue idee, i programmi: non ha avuto nulla».

 

Nei suoi commenti lei parla di Trump come del Berlusconi della politica americana, ma lo descrive anche come un Frankenstein creato dal partito repubblicano. Creatura della politica «mainstream» o figlio dell’insofferenza di molti cittadini, delle spinte verso l’antipolitica, come sta avvenendo anche in Europa e in Italia?

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«In Trump ci sono tutte e due le cose: in parte è una creatura degenerata del suo partito perché la sua xenofobia, la rabbia, l’idea della supremazia americana sono istinti e pulsioni che i repubblicani hanno coltivato e incoraggiato. Ma è anche una creatura che trascende i partiti: gli americani sono ormai molto cinici non solo rispetto al governo e al Congresso, ma anche rispetto alle altre istituzioni.

 

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Non hanno più fiducia nei loro politici, ma nemmeno nella stampa, nelle corporation, negli insegnanti. Così quando Trump si dice stufo di tutto questo, attira l’attenzione. Ma non ti porta da nessuna parte: quella che gli è mancata l’altra sera è stata la capacità di trasformare la rabbia in movimento politico. Non ha provato a offrire soluzioni».

 

Lei ha scritto che la nostra categoria, i giornalisti, è responsabile per la crescita del fenomeno Trump. L’abbiamo alimentato con la nostra propensione per i conflitti, le espressioni forti, le semplificazioni. L’altra sera, però, sono stati i giornalisti a riscattarsi: non sono stati certo gli altri candidati a mettere sotto pressione Trump.

TRUMP BERLUSCONITRUMP BERLUSCONI

«Trump vive all’intersezione tra “media”, intrattenimento e politica. Una confluenza che genera una pericolosa confusione tra realtà e teatro. Niente di nuovo: un pericolo denunciato già una quarantina d’anni fa da film come Network e Nashville . Ora ci risiamo con quelli che gridano che sono stufi di tutto, che vogliono rovesciare il tavolo. E’ vero, a Cleveland i tre giornalisti della Fox hanno fatto un eccellente lavoro.

 

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Forse solo loro potevano riuscirci: chiunque altro avesse fatto domande tanto taglienti ai candidati sarebbe stato accusato di partigianeria filo-democratica. Sono stati bravi: hanno fatto domande dure e, soprattutto, hanno chiesto le cose giuste, mettendo in luce le debolezze dei candidati. L’hanno fatto non solo per amore di democrazia, ma anche per esigenze spettacolari. L’altra sera siamo stati fortunati: gli interessi della politica e quelli del teatro coincidevano».

I TRUMP CON I CLINTONI TRUMP CON I CLINTON