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Lirio Abbate e Marco Damilano per “l’Espresso” - Lancio stampa”
Matteo Renzi ieri a Venezia con il ministro per la pubblica amministrazione Marianna Madia
Tutti a casa. Quattrocento magistrati andranno in pensione anticipata da qui al 31 dicembre 2015, altri 900 nel triennio successivo. Un cambio epocale. La più grande rottamazione degli ultimi decenni, che apre la corsa agli oltre 1300 incarichi «direttivi o semi-direttivi», dalla Corte suprema di Cassazione alla più piccola delle procure. “L'Espresso” nel numero in edicola domani analizza il terremoto negli uffici giudiziari di tutto il Paese, provocato da un decreto del ministro Madia che farà uscire di scena una o due generazioni di giudici.
Via l’intero vertice della Cassazione, dal primo presidente Giorgio Santacroce a tutti i presidenti di sezione al gran completo, a partire da Antonio Esposito, estensore nel 2013 della sentenza di condanna definitiva di Berlusconi. In pensione nomi che hanno segnato i casi di maggiore clamore: l’avvocato generale della Corte d’Appello di Roma Antonio Marini, che fu pm del processo Moro, il procuratore generale di Salerno Lucio Di Pietro (già pm della maxi-operazione anti-camorra del 1983 in cui fu arrestato Enzo Tortora), il procuratore di Marsala Alberto Di Pisa, protagonista della discussa vicenda del corvo di Palermo, il procuratore di Civitavecchia Gianfranco Amendola, pretore contro i reati ambientali negli anni Settanta e leader dei Verdi.
E poi i posti chiave nei tribunali più importanti: spediti fuori ruolo, in un solo colpo, il presidente del tribunale di Roma Mario Bresciano e il presidente di Corte d’Appello di Napoli Antonio Buonajuto. Infine, le procure-vetrina. A Torino andrà via il procuratore generale Marcello Maddalena, a Milano il procuratore Edmondo Bruti Liberati (con il procuratore generale Manlio Claudio Minale e al presidente di Corte d’Appello Giovanni Canzio).
Quattrocento poltronissime che scadono nei prossimi mesi e che andranno rimpiazzate con i sostituti nominati dal nuovo Consiglio superiore della magistratura appena eletto, guidato da Giovanni Legnini, uomo del Pd, politico esperto e prudente, passato dal governo Renzi (era sottosegretario all’Economia) alla vice-presidenza di Palazzo dei Marescialli. Tocca a lui gestire l’operazione ricambio.
La scorsa settimana sono stati definiti i criteri per le nomine al vertice di 15 uffici giudiziari, a cominciare dalla procura di Palermo. Il Csm si è spaccato: da una parte compatti i laici, dall’altra i togati, frammentati.
I due consiglieri della destra, Elisabetta Alberti Casellati di Forza Italia e Antonio Leone dell’Ncd, votano compatti, anche se le divisioni nel campo berlusconiano si riflettono anche sulla politica della giustizia: emarginato Niccolò Ghedini, interlocutori del ministro Orlando sono Nitto Palma e Giacomo Caliendo.
Tra le correnti delle toghe, l'ala moderata di Magistratura Indipendente è in una situazione paradossale. È capeggiata dal sottosegretario alla Giustizia del governo Renzi, Cosimo Ferri, quasi la personificazione del patto del Nazareno (toscano come il premier e come Denis Verdini, il fratello Jacopo è consigliere regionale di Forza Italia). Ferri capeggia la rivolta dei peones dei tribunali sulle ferie: gioca a fare il sindacalista pur essendo impegnato nel ministero di via Arenula.
Il primo momento della prova è fissato per la prossima settimana, quando il Csm dovrà prendere posizione sul violento scontro di Milano tra il procuratore Bruti Liberati e l’aggiunto Alfredo Robledo. In gioco c’è la guida della procura più importante. Un voto salomonico (o pilatesco, a seconda dei punti di vista) del Csm per trasferire i due litiganti sarebbe interpretato come un sipario che si chiude, o uno sfregio, su quella lunga era. Un colpo mortale alla credibilità degli uffici giudiziari di Milano.
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