OBAMA ROVINATO DALLE DONNE: IN CASA IMPAZZA MICHELLE, FUORI DILAGA HILLARY - MENTRE I REPUBBLICANI SI SCANNANO PER TROVARE UN CANDIDATO DECENTE, LA LOBBY DEI DEMOCRATICI SI MUOVE E IL “NEW YORK TIMES” CANDIDA LA CLINTON ALLA VICEPRESIDENZA AL POSTO DEL SERVO SCIOCCO BIDEN - MA GLI OBAMIANI SONO CONTRARI: PER LORO LA CLINTON RAPPRESENTA LA FACCIA AFFARISTICA DELLA POLITICA - E POI AMMETTERE DI AVER BISOGNO DI HILLARY E’ GIA’ UNA SCONFITTA...

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Paolo Valentino per il "Corriere della Sera"

In una stagione elettorale monopolizzata in questa prima fase dai tormenti repubblicani su un predestinato senza qualità, un fremito familiare torna ad agitare il campo democratico.
Si vota stamane in New Hampshire e Mitt Romney sembra destinato a vincere le primarie conservatrici, consolidando il suo ruolo di favorito per la nomination.

Ma ieri anche il campo del presidente Obama ha catturato l'attenzione dei media americani. Si è dimesso il capo dello staff della Casa Bianca, William Daley, che già in novembre era stato ridimensionato nel suo ruolo. E soprattutto è tornata centrale l'ipotesi che Hillary Clinton affianchi in novembre Barack Obama al posto di Joseph Biden, come nuovo candidato alla vicepresidenza.

Lo scenario non è nuovo. Evocato come l'arma segreta, che potrebbe garantire la rielezione di Obama, oggi quantomeno incerta. Sempre smentito, direttamente o indirettamente dagli interessati, ma discusso a ondate ricorrenti da esperti e politologi, oggetto sempreverde di speculazioni e chiacchiere. A seconda dei punti di vista, occupa regolarmente i sogni o gli incubi del popolo democratico, in fondo ancora diviso tra clintoniani e obamiani. Ma questa volta a evocarlo, o meglio a invocarlo con dovizia di argomenti forti e considerazioni intelligenti, è stato l'ex direttore del New York Times, Bill Keller.

Nulla, spiega il premio Pulitzer, potrebbe assicurare la riconferma di Obama alla Casa Bianca più del segretario di Stato, per il decimo anno consecutivo donna più ammirata d'America e di gran lunga il più popolare fra i politici americani con un indice di gradimento del 64%. Inoltre, una volta rieletto con Hillary al fianco, Obama potrebbe ripresentarsi nel prossimo gennaio come un «presidente rigenerato» davanti al Congresso, che proprio la Clinton, grande trascinatrice, potrebbe aver contribuito a rendere più ricco di deputati e senatori democratici. Infine, conclude Keller, l'elezione della coppia Obama-Clinton farebbe di Hillary la legittima aspirante alla candidatura democratica nel 2016.

L'articolo suggerisce perfino una dettagliata coreografia di come l'operazione andrebbe condotta: entro qualche mese, al più tardi in primavera, Hillary si dimetterebbe da segretario di Stato, ufficialmente per riposarsi dopo 4 anni passati a girare il mondo. Obama darebbe l'interim degli Esteri a Joe Biden, che per il resto del mandato diventerebbe il più potente vicepresidente della Storia. Poi, a fine agosto, alla Convention democratica di Tampa, Hillary verrebbe invitata dal presidente a unirsi al ticket elettorale, tra il giubilo dei delegati. Biden resterebbe a Foggy Bottom anche dopo l'elezione.

Succederà veramente? Lo stesso Bill Keller esprime seri dubbi, «teme» che la sua si riveli solo una «fantasia». Glielo fanno pensare i molti ostacoli che si frappongono alla realizzazione di questo scenario. Primi fra tutti, i fedelissimi di Obama, la cerchia ristretta dei suoi collaboratori, per i quali i Clinton rappresentano la faccia volgare e cinica della politica. Soprattutto, dice al Corriere un esperto democratico, veterano di molte campagne, «il clan Obama non ammetterà mai di aver bisogno di Hillary per vincere».

Allo stesso tempo, aggiunge il nostro interlocutore lasciando aperta una possibilità, «Obama ha la responsabilità di fare tutto ciò che è in suo potere per vincere e con Hillary ne avrebbe quasi la certezza. La posta in gioco è troppo alta, per correre il rischio di una sconfitta a novembre». A voler riassumere, sembra che Obama abbia verso Hillary lo stesso dilemma di Ovidio: «Nec sine te, nec tecum vivere possum». Politicamente parlando, s'intende.

 

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