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Luigi Manconi per "Il Messaggero"
"Rinnovare l'immagine": questo è il più recente imperativo all'interno del Popolo della Libertà e Roberto Formigoni, a suo modo, prontamente si adegua, presentandosi in tv con questo sobrio abbigliamento: giacca bianco cangiante, camicia marron con riflessi violacei e cravatta celeste. Giuro: era vestito proprio così (d'altra parte, qualche mese fa si appalesò in perfetta tenuta rockabilly).
In effetti, Formigoni c'entra molto con la questione dell'"immagine" perché è il presidente di quella Regione Lombardia, nel cui consiglio siede la Nicole Minetti che è al centro di questa storia. Un personaggio fino a qualche settimana fa considerato assai censurabile e diventato ora decisamente simpatico. Almeno a me. Intanto per una ragione di sostanza.
Facciamo un esempio: un tizio avvelena un fiume e, invece di metterlo nelle condizioni di non nuocere, si decide di cementificare il corso d'acqua. Insomma si fa dimettere il fiume da fiume, piuttosto che sanzionare l'avvelenatore. O, ancora, sarebbe come se, invece di prendercela con Caligola ce la prendessimo col suo cavallo. Ma qui la comparazione si fa maledettamente rischiosa e ne prendo precipitosamente le distanze.
Va da sé: la Minetti non è in alcun modo assimilabile a un cavallo. Da quel poco che ne so, è donna intelligente - oltre che particolarmente sagace - che ha saputo cogliere l'occasione offertale dalle circostanze. Che è, poi, uno dei capisaldi della scienza del realismo politico. E quelle circostanze sono state sapientemente costruite e piegate a uno scopo politico-personale.
Voglio dire: ma chi ha voluto e realizzato, fin nei più minuti dettagli, quell'operazione che ha portato la Minetti a un seggio nel Consiglio regionale? Ed è proprio a tale fine che -denunciano i radicali ed è materia ancora al vaglio della magistratura - sono state falsificate le firme a sostegno del listino della coalizione Pdl-Lega, dal momento che quelle già raccolte erano relative a un elenco di candidati tra i quali non c'era la Minetti.
Il meticoloso stratega di tale iniziativa è a tal punto noto e conclamato da non richiedere di indicarne nome e cognome: e d'altra parte, chi, se non Silvio Berlusconi, in una indimenticabile performance telefonica nel corso de L'Infedele di Gad Lerner cantò le lodi di quella igienista dentale? Una che "si è laureata con 110 e lode", "è seria e intelligente" e "conosce le lingue"?
In quell'occasione, la furia dell'allora premier ("questo è un postribolo televisivo") apparve come la reazione di un uomo innamorato che difende l'onore della propria donna o la galanteria di un signore d'altri tempi che sa assumersi le proprie responsabilità persino a prezzo del ridicolo. Che ne è ora di tutto ciò?
Per oltre due anni non c'è stato un esponente del Pdl (a parte una giovane militante, subito messa da parte) che abbia eccepito sulla piena adeguatezza della Minetti a quel ruolo politico. Poi, nell'arco di tre giorni tutto è precipitato: da quando è stata ventilata l'ipotesi di una nuova candidatura di Berlusconi a quando Angelino Alfano e, poi, una folla di zelanti comprimari, guidati da Daniela Santanchè ("la Toqueville dei navigli") hanno emesso la sentenza: Via la Minetti.
Davanti a tutto ciò, come non schierarsi incondizionatamente dalla parte della consigliera regionale? Non solo in ragione di quella pulsione, discutibile quanto si vuole, che porta i teneri di cuore - e chi non lo è almeno una volta nella vita? - a simpatizzare per il potente ora in rovina, per il fortunato colpito dalla sventura, per il vincitore ora costretto alla fuga. In questo caso, per la beneficiata non più protetta. La caduta degli dei provoca, certamente, sentimenti di rivalsa e voglia di maramaldeggiare, qualche soddisfazione meschina e il piacere di una giustizia che diventa odioso contrappasso.
A proposito della Minetti, non credo che l'opinione pubblica la pensi così. Troppo giovane (e anche troppo bella) per immaginarla come la responsabile di macchinazioni che giungono fino al cuore dello Stato: una sorta di Cleopatra che intorta Cesare per manipolarne la volontà .
Qui l'amore - e come si poteva dubitarne - si riduce a un incapricciamento che dura quel che dura: perché la sola passione che resiste al tempo, al declino dei sentimenti e allo sfarsi dei corpi è quella, davvero assoluta, per il potere. E la storia dei sistemi politici è affollata di amanti ripudiate e di concubine messe al bando (o a tacere o, talvolta, a morte), sacrificate in nome del "decoro istituzionale". A questo punto ci verrebbe da urlare: forza Nicole, resisti!
E' possibile, infatti, che la consigliera regionale ne abbia davvero combinate di tutti i colori (ma chi siamo noi per giudicare), che sia stata innalzata a un seggio del quale è indegna (ma quanti lo sono perlomeno altrettanto?), che abbia offerto un modello pedagogicamente nefasto alle giovani generazioni (ma si trovava in buonissima compagnia): e, infine, che abbia proposto un'idea degradata della politica (ma in quanti hanno collaborato a trasformarla in vero e proprio mercimonio?).
Eppure oggi la Minetti rappresenta quel "fattore umano" che costituisce un fastidioso inciampo nella strategia berlusconiana. In quella strategia - rilancio dell'iniziativa, restyling dell'immagine, rinnovamento delle forme e dei messaggi - non era stata prevista l'imprevedibilità del femminile. Quel tanto di umoralità e follia, che spaventa il maschio, e quella mutevolezza che trova il suo archetipo, come vuole la psicanalisi, nella fasi della luna.
Certo, è altamente probabile che il tutto si risolva ancora una volta con uno scambio-merci: la rinuncia al seggio per chissà quali benefici economici. Ma, in ogni caso, Berlusconi non ci fa una splendida figura. E resta il fatto, sommamente istruttivo, che - ancora una volta - l'amico delle donne dimostra di non saperci proprio fare, con le donne.
LUIGI MANCONI NICOLE MINETTI IN SARDEGNA FOTOMONTAGGIO NICOLE MINETTI IN SARDEGNA MINETTI NICOLE MINETTI A FORMENTERA Minetti minetti nicole NICOLE MINETTI IN USA DAL SUO PROFILO TWITTER
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