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1. RENZI Ã ARRIVATO AL BIVIO SUL GOVERNO
Maria Teresa Meli per il "Corriere della Sera"
«Io lavoro, se Enrico ha fretta di fare il rimpasto lo dirà e lo farà lui. Io, sia chiaro, sto fuori da tutto»: così Matteo Renzi, nel giorno in cui il pressing per mandarlo a palazzo Chigi al posto di Letta si intensifica.
Il segretario del Pd sa che il premier non se la può cavare con un rimpastino e la promessa di un Impegno 2014, ma anche che lui non può più fare finta di niente di fronte alla pressione di chi lo vuole a palazzo Chigi. E per non farsi coinvolgere dalle beghe e non respirare quell'aria da «Ok Corral» che pervade la Roma della politica nel tardo pomeriggio se ne va a Firenze per stare «tranquillo».
Ma non è che non sappia quello che avviene nella Capitale: emissari di Scelta Civica, della minoranza del Pd e del Ncd vanno dal premier a chiedergli di fare un passo indietro a favore del sindaco di Firenze per fare un nuovo governo e permettere alla legislatura di continuare senza ulteriori scossoni. Letta ribadisce il suo no, forte della sponda di Napolitano.
Ma il pressing è insistente e continua a investire anche Renzi, che oggi vedrà Squinzi. Sì, proprio il presidente della Confindustria che ha detto: meglio andare al voto che continuare con un governo che non fa niente. à indubbio che il segretario senta su di sé le speranze e le pressioni di chi lo vorrebbe a palazzo Chigi. E nello stesso tempo si rende conto che «legare le sorti» del suo partito a quello di un «governo inefficace» può essere esiziale.
Può compromettere il voto delle europee, per esempio. Voto complicatissimo, se è vero che i sondaggisti sostengono già che andranno alle urne meno del 50 per cento degli italiani. Voto che rappresenta il suo banco di prova. Ed è quindi assai difficile che Renzi possa legarsi mani e piedi a un esecutivo che nelle rilevazioni è dato in calo: per questo procrastina all'infinito la data della firma di quello che Letta chiama «Impegno 2014».
Quando e se mai lo farà sarà per dare battaglia, non per sottoscrivere un armistizio: chiederà ad Alfano un «sì» sulle unioni civili e sulla riforma della Bossi-Fini, solleciterà a Letta e a Saccomanni un atteggiamento più duro in Europa per ottenere i finanziamenti per la scuole e per il «Jobs act». Insomma, sarà una nuova occasione di fibrillazione. E, forse, di crisi.
Ma si diceva delle pressioni di chi lo vorrebbe subito a palazzo Chigi. Ci sono le resistenze di Letta e quelle di Napolitano, benché oggi più di ieri il segretario del Pd sia conscio del peso della responsabilità che gli deriva da quanti fanno affidamento in lui. «Non voglio fare lo stesso errore di D'Alema, tradire Letta come lui tradì Prodi», obietta il sindaco a chi gli chiede di farsi avanti. E ormai glielo domandano in tanti, persino quel Fioroni che, fino a ieri lo criticava e che ora dice: «Letta doveva combattere prima, non lo ha fatto, ormai è l'ora del governo Renzi».
Ma...c'è un ma che potrebbe aiutare il segretario Pd, tanto più adesso che Berlusconi non gli fa più da sponda perché non vuole più le elezioni e spera di «vederlo logorarsi insieme a questo governo di bolliti». à un ma con tanto di nome e cognome: Romano Prodi. Per capire bene quale potrebbe essere la strategia di Renzi bisogna fare un passetto indietro nel tempo.
Come scrive su Panorama di oggi Kaiser Soze (lo pseudonimo sotto cui si cela un noto politico), nell'ultima riunione con i senatori il segretario ha pronunciato queste parole: «Il successore di Napolitano sarà eletto da questo Parlamento». Tutti, quando il sindaco, reduce da un incontro con Napolitano, ha fatto quel discorso, hanno pensato a Prodi, anche se l'ex premier continua a dire che la cosa non gli interessa (lo ha ribadito ad Aldo Cazzullo in un'intervista sul Corriere).
Fantapolitica? Giammai. Napolitano ha accettato di restare al Colle solo perché gli è stato chiesto in ginocchio da quasi tutti i partiti e perché è suo interesse avviare il processo delle riforme per cui tanto si è speso dal suo primo settennato. Ebbene, dopo di lui chi meglio di Prodi potrebbe garantire a Renzi tutte e due le alternative possibili? Andare alle elezioni, se ve ne saranno le condizioni.
Oppure salire a palazzo Chigi, al posto di Letta, senza fare la figura del traditore, perché ha portato al Quirinale Prodi. Sanando la ferita inferta al centrosinistra da quei 101 parlamentari che l'anno scorso nel segreto dell'urna lo silurarono.
2. DIKTAT DEL QUIRNALE AL PD: NIENTE RENZI TENETEVI LETTA
Laura Cesaretti per âIl Giornale'
Il braccio di ferro tra Enrico Letta e Matteo Renzi continua, e i due si ritroveranno oggi faccia a faccia nella Direzione del Pd. Convocata per parlare di riforme istituzionali, in una partita in cui il futuro del governo resta il vero convitato di pietra.
Ieri, a rassicurare Letta davanti all'onda montante dei fan di un cambio della guardia accelerato a Palazzo Chigi che dia vita ad un governo Renzi, è sceso in campo il Quirinale.
Al telefono con il premier, Napolitano ha «ribadito il suo apprezzamento per la continuità e i nuovi sviluppi dell'azione di governo sul piano nazionale e internazionale», si legge in un comunicato mirato a frenare le fibrillazioni nella maggioranza e nello stesso Pd.
«Continuità », ossia la permanenza di Letta a Palazzo Chigi, e «nuovi sviluppi», ossia il sospirato «rilancio» del governo, con annesso rimpasto. Ieri, in casa Ncd, già si faceva l'elenco dei ministri destinati a saltare e ad essere sostituiti (nei loro auspici) da esponenti renziani: Zanonato, Bray, Carrozza, Quagliariello («A questo punto, le riforme se le intesta Renzi e il ministero non ha più ragion d'essere», la spiegazione).
Quanto ad Alfano, assicuravano i suoi, a mollare il Viminale non ci pensa per nulla. Voci che in casa renziana vengono respinte al mittente: il segretario del Pd non deflette di un millimetro dalla sua linea: ad andare a Palazzo Chigi ora «non ci penso per niente», quanto al rimpasto «io non me ne occupo, decida il premier».
E comunque non se ne parlerà prima dell'approvazione della legge elettorale, che la settimana prossima deve tornare nell'aula della Camera e superare le forche caudine di centinaia di emendamenti a voto segreto. Lo ha capito anche Letta, che ieri, ai capigruppo di maggioranza andati a chiedergli una «verifica», ha spiegato che «si farà dopo l'Italicum».
Quale scenario si possa aprire una volta varato l'Italicum è però tutto da vedere. E in casa Pd il Letta bis è giudicato il meno probabile. Il pressing pro-governo Renzi è forte anche nelle file del sindaco, dove c'è chi lavora anche alla costruzione di una possibile «nuova maggioranza», per non restare appesi ad Alfano.
E «lo scouting tra i grillini è in uno stato avanzato», si assicura. L'alternativa sono le elezioni anticipate, magari a giugno: scenario avallato anche dalla Confindustria di Squinzi, che oggi a Firenze incontrerà proprio Renzi. Ma difficile da ottenere. Per questo, l'ipotesi Renzi a Palazzo Chigi resta in campo, sponsorizzata anche da chi (Alfano, Scelta civica, parte del Pd) vuole la certezza di arrivare al 2018 per non morire nelle urne.
Ma il segretario Pd non vuole rifare l'errore che «rovinò la carriera di D'Alema», quando subentrò a Prodi senza passare per il voto. «Il prossimo presidente della Repubblica verrà eletto da questo Parlamento»: la frase di Renzi ai senatori Pd (riferita nell'informata rubrica firmata su Panorama dal misterioso Keyser Söze, nom de plume di un parlamentare) viene usata per dipingere uno scenario non solo fantapolitico: Napolitano ha già fatto capire di attendere il varo delle riforme per ritenere concluso il suo compito.
E Prodi (che anche ieri si è rifatto vivo per dare un colpo a Letta, dicendo che «non vedo la vigorosa ripresa di cui qualcuno parla») sarebbe il candidato quirinalizio ideale per cancellare ogni funesta ombra del passato dall'avvento di Renzi al governo.
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