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Jacopo Iacoboni per La Stampa
L'intellettuale Alberto Asor Rosa, scrittore e italianista, scrisse nel '77 un saggio celebre su «Le due società », un'Italia spaccata tra «garantiti» e la nuova figura dell'«operaio sociale», precario e non protetto. Non mi dica che Grillo mi ha citato». No, questo no. «Per fortuna. Altrimenti mi sarei preoccupato».
Alberto Asor Rosa, scrittore e italianista - uno di quelli che, dal post-operaismo italiano, sono poi rimasti nel Pci, negli anni settanta, criticandolo da posizioni amiche - sorride quando si inizia a parlare di uno strano campanello che risuona ascoltando la spiegazione fornita da Beppe Grillo del risultato del Movimento cinque stelle.
Grillo - e non è la prima volta - scrive che «ormai esistono due Italie», la prima, che di solito chiama Italia A (non Italia di serie A), è composta «da chi vive di politica, cinquecentomila persone, da chi ha la sicurezza di uno stipendio pubblico, quattro milioni di persone, dai pensionati, 19 milioni di persone». La seconda, l'Italia B, è fatta di «lavoratori autonomi, cassintegrati, precari, piccole e media imprese, studenti».
A suo dire la prima è ancora troppo forte e interessata allo status quo, la seconda ancora troppo debole, incline anche alla rassegnazione e comunque sempre a rischio di sfilacciamento. Un'analisi che - anche se non spiega come mai questo stesso scenario avesse fatto trionfare il M5S alle politiche - evoca immediatamente una tesi celebre proprio di Asor Rosa, ma riferita al '77: quella contenuta in Le due società ( Ipotesi sulla crisi italiana , Einaudi).
Lì, e in un articolo sull'Unità il 20 febbraio del '77, Asor Rosa per la prima volta contrapponeva l'Italia del posto fisso all'Italia post-fordista di precari, disoccupati, studenti-lavoratori, l'"operaio sociale", non più l'operaio massa. Il proletario cognitivo, non quello «della linea». Una figura che non sentiva più attaccamento al lavoro (e al Partito), poiché in piena alienazione da entrambi.
Grillo evita di citare nomi, ma può succedere che evochi libri di quella stagione (gli era capitato per esempio anche con Gli invisibili di Nanni Balestrini). Naturalmente, è ovvio, le storie sono diversissime. Però la suggestione in qualche modo esiste, soprattutto per quel fronteggiarsi di due popoli non riconciliabili.
Asor Rosa, chiacchierando con qualche difficoltà al telefono da Berlino, spiega subito che le due storie sono diverse, ma non solo perché il '77 non è il 2013: «Io ho l'impressione, e questa è la vera critica che farei a Grillo, al di là di quelle odiose del sistema dei media, che la spaccatura italiana non sia quella che indica lui, tra Italia A e Italia B. La spaccatura vera è tra assistiti e non privilegiati. Come sempre, per questo verso; ma oggi rispetto al '77 con una differenza che a me pare fondamentale: la spaccatura non è una spaccatura sociale »; dove l'aggettivo è determinante.
Può spiegare meglio? «La spaccatura passa sia nel cuore della classe occupata, o dei pensionati, compresi quelli da 500 euro, sia nel cuore dei non occupati, dei giovani, dei precari». Insomma, il problema italiano, oggi, è piuttosto che esistono «anche pensionati che fanno la fame e giovani magari precari ma protettissimi», insomma, come si fa a mettere anche i figli di papà , per dire, nella società B?
Se è vera questa ipotesi, la linea di frattura diventa assolutamente trasversale, meno univoca. Asor Rosa accetta: «Sì, trasversale si potrebbe dire. à una spaccatura che lascia caduti su entrambi i versanti, non solo su uno, come dice Grillo. Intacca tutti e due i contenitori. Naturalmente, bisogna tornare a fare un lavoro su quelle fasce che subiscono di più il peso della crisi. à fra quelle, che ha perduto il centrosinistra alle politiche, e credo farebbe male a ritenersi assolto stavolta. Ma guardi, questa distinzione che faccio è anche il problema».
Perché, Asor Rosa? «Se la spaccatura fosse più lineare, forse la sinistra italiana non sarebbe così in difficoltà e in scacco nell'interpretarla».
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