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Maria Elena Vincenzi e Giovanna Vitale per “la Repubblica”
Un incontro riservato. Al primo piano degli uffici giudiziari di piazzale Clodio. Seduto alla sua scrivania, il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone. Di fronte, il prefetto Giuseppe Pecoraro. Venuto a chiedere un consiglio su come cancellare i matrimoni gay trascritti dal sindaco Marino. E a sollecitare l’intervento della procura. Che però gli ha risposto picche.
Voleva sapere, il rappresentante del governo, se i pm avessero intenzione di agire d’ufficio contro gli atti firmati sabato scorso dal sindaco Ignazio Marino in Campidoglio. Una cerimonia in pompa magna che i magistrati non possono certo far finta di ignorare. E siccome le norme, almeno su questo punto, sono chiare — e cioè che spetta alla Procura, solo che lo voglia, intervenire per annullare la registrazione — il prefetto si è spinto fin qui per conoscerne l’orientamento e le intenzioni.
Nella speranza di trovare un’onorevole via d’uscita all’imbarazzante cul de sac in cui è ormai da giorni precipitato: Pecoraro si è infatti trovato stretto tra la pervicacia del ministro Alfano, deciso a cancellare tutte le trascrizioni — a partire da quelle romane — perché non previste dall’ordinamento nazionale, e l’ostinazione del sindaco Marino (e degli altri suoi colleghi, dalle Alpi alla Sicilia), determinato invece a resistere «a difesa dei diritti dei cittadini ».
Ignazio Marino con una delle 16 coppie di cui oggi ha trascritto il matrimonio contratto all’estero
La risposta di Pignatone non è stata però quella che Pecoraro si aspettava. E desiderava ascoltare. Il capo dei pm aveva preparato l’incontro chiedendo un approfondimento ad alcuni sostituti. E i magistrati sono stati unanimi nel mettere nero su bianco un appunto in cui, analizzate tutte le leggi, si conclude che «il prefetto non può fare ricorso al tribunale civile». Possono farlo loro, eventualmente, ma sembra che per il momento non ne abbiano alcuna intenzione.
Se proprio ci tiene, tuttavia, Pecoraro può sempre abbandonare la via della giurisdizione e percorrere quella amministrativa, emettendo un proprio provvedimento di annullamento. Che però, a quel punto, potrebbe essere impugnato dalle coppie davanti al Tar. E il rischio, per il prefetto, sarebbe quello di vederselo annullare, a sua volta, davanti al naso. Considerazioni, quelle della procura, che sono condivise anche da molti giuristi. Tra gli altri Alfonso Celotto, ordinario di Diritto Costituzionale a Roma Tre, che ha detto: «Io non credo che il prefetto sia titolato a sollevare la questione davanti ad alcun giudice. Il responsabile territoriale del governo, se vuole, può fare un provvedimento in autotutela».
Ieri Alfano è andato personalmente alla Camera a ribadire che i prefetti hanno pieni poteri di intervento sulle trascrizioni, in quanto «sono tenuti per legge alla vigilanza sulla corretta tenuta dei registri di stato civile». E siccome, almeno nel caso specifico, il sindaco è considerato «nella sua veste di ufficiale di governo », Alfano ha chiarito che risponde «gerarchicamente» al prefetto. Fermo restando che l’ordine deve essere «preceduto da un intervento ammonitorio e si attiva solo in seguito alla perdurante inerzia del sindaco».
Esattamente quel che è accaduto a Roma. Dove il prefetto Pecoraro ha prima esercitato sul Campidoglio una sorta di moral suasion, a base di telefonate e persino una lettera di diffida spedita qualche giorno prima della cerimonia di trascrizione; poi — 48 ore più tardi — ha chiesto formalmente a Marino di cancellare i 16 matrimoni gay registrati all’anagrafe comunale. Ora che, dopo il sindaco, anche la Procura gli ha detto no, il prefetto di Roma dovrà vedersela da solo.
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