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Massimo Gaggi per il “Corriere della Sera”
«Anche noi che siamo spesso in disaccordo con Obama consideriamo l’elezione di un afroamericano presidente degli Usa a pochi decenni dal Bloody Sunday un trionfo che merita di essere celebrato. Obama è il presidente di tutti gli americani e Selma è un trionfo della nazione americana».
Per un giorno, quello nel quale si celebra il giubileo della marcia sull’Edmund Pettus Bridge che segnò la svolta nella battaglia per i diritti civili, anche la destra conservatrice e il New York Post , forse il suo organo più spietato con la Casa Bianca, depongono le armi per onorare i progressi fatti dall’America in questo mezzo secolo sul terreno dell’integrazione razziale.
Davanti al ponte sul quale la polizia del governatore Wallace cercò di fermare nel sangue la lotta non violenta dei neri guidati da Martin Luther King, Barack Obama, affiancato da un ex presidente repubblicano, George W. Bush, celebra quel pomeriggio del 1965 nel quale in questo angolo dell’Alabama si fece un pezzo importante della storia americana.
In un discorso di grande potenza, impastato di orgoglio e indignazione, Obama ha detto che «Selma rappresenta il coraggio della gente ordinaria di fare cose straordinarie perché ritengono di poter cambiare l’America». Gente come John Lewis, salito sul palco prima di Obama, il vero eroe della giornata: oggi è un deputato al Congresso ma mezzo secolo fa era nel gruppo dei 600 coraggiosi che sfidarono la repressione attraversando il ponte.
Fu l’inizio della fine della segregazione, ma quel lavoro non è stato completato. E anche i risultati ottenuti non vanno dati per acquisiti, come ha notato lo stesso Obama. A dimostrarlo, l’ennesima uccisione di un ragazzo nero disarmato da parte della polizia avvenuta poche ore prima della celebrazione di Selma, in una colluttazione a Madison, in Wisconsin. Tony Robinson, un ragazzo di 19 anni, come il dodicenne con una pistola-giocattolo ucciso in un parco di Cleveland o il contrabbandiere soffocato a New York dai poliziotti che cercavano di bloccarlo. O come Michael Brown, il ragazzo ucciso da un agente a Ferguson, in Missouri.
Il presidente ha ricordato Ferguson dove il suo ministro della Giustizia, Eric Holder, ora minaccia di smantellare l’intero dipartimento di polizia per sradicare i comportamenti razzisti emersi dall’indagine federale appena completata. «Non avevamo bisogno del rapporto di Ferguson per sapere che in America c’è ancora discriminazione», ha ammesso Obama. «Ma rifiuto l’idea che nulla sia cambiato. Quel caso non è unico ma non è più endemico. Chi ritiene che nulla sia cambiato in 50 anni dovrebbe chiedere a qualcuno che ha vissuto a Selma, Chicago o Los Angeles a metà del secolo scorso».
Un discorso civile rivolto ai giovani, quello di Obama, perché non dimentichino e perché non diano per scontate conquiste che, invece, vanno difese ogni giorno. Ma anche un violento attacco politico agli Stati conservatori che minacciano una delle più grandi conquiste: il diritto di tutti i cittadini di votare liberamente. Un diritto intaccato da leggi che creano ostacoli alle minoranze che vogliono recarsi alle urne.
Una giornata di solidarietà al sole di Selma, conclusa davanti a migliaia di persone con una preghiera mentre sul palco la famiglia Obama, quella dei Bush e gli altri oratori si tenevano tutti per mano. Per un giorno l’America si riconosce nel presidente che ha rotto il tabù dei neri al potere, anche se tanti sul fronte repubblicano continuano ad opporsi a ogni suo atto di governo con l’obiettivo di trasformare la sua presidenza in un’anomalia della storia americana.
Nonostante il sangue di Ferguson e Madison, l’America celebra progressi che sono indubbi e un’integrazione che l’Europa può solo invidiare. Ma, in una società che, decennio dopo decennio, è diventata sempre più complessa e conflittuale, sono gli stessi americani a non percepire questi progressi: secondo l’ultimo sondaggio della Cnn , solo il 15 per cento degli intervistati ritiene che dall’insediamento di Obama a oggi siano stati fatti progressi sulla questione razziale, mentre per 4 americani su 10 le cose vanno peggio.
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