DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
1. PRUDENZA DI PADOAN SUL TAGLIO DELLE TASSE GELO CON PALAZZO CHIGI
Valentina Conte per “la Repubblica”
La ripresa dopo i tuffi non è stata proprio delle più brillanti. Qualche giorno di pausa, poi le uscite al meeting di Rimini. E già le prime fibrillazioni. Il premier Renzi galvanizza ciellini e italiani con il taglio delle tasse sulla casa. Il giorno dopo, due dei suoi ministri chiave per la strategia di politica economica, Padoan e Poletti, quelli che hanno in mano i cordoni della borsa e le leve per rilanciare l' occupazione, frenano o sono costretti a frenare. Il numero uno dell' Economia ricorda che non esistono tagli delle tasse senza analoghi sacrifici di spesa.
Quello del Lavoro prima annuncia gli ultimi quattro decreti attuativi del Jobs Act, poi subito dopo ritratta, in seguito a una telefonata con Renzi. Nel mezzo, il pasticcio dei dati sbagliati sull' andamento dei contratti nei primi sette mesi dell' anno. Pubblicati e poi rettificati.
Ufficialmente, i dicasteri negano tensioni. «Il ministro Padoan ha ribadito solo principi », dicono dal Tesoro. «Il rinvio dei decreti alla prossima settimana dovuto solo a un ordine del giorno del Cdm troppo denso», aggiungono dal Lavoro.
Meno serafico Palazzo Chigi. L' irritazione per «la figuraccia» di Poletti sui dati esiste. Nell' entourage del premier qualcuno definisce addirittura il ministro «un disastro». Si nega però un legame diretto con lo slittamento dei decreti, dovuto più che altro al braccio di ferro su alcuni nodi non sciolti. Come il controllo a distanza e la cassa integrazione, possibile miccia di scontro con i sindacati. E fonte di ulteriori polemiche.
L' idea di irritazione montante nei confronti di Padoan non sfiora invece nessuno. «Il ministero dell' Economia frena sui piani di Renzi? E qual è la novità? Frena sempre ». Così anche la disquisizione del ministro a Rimini viene ricondotta alla normalità. Quasi alla banalità: «Acqua calda». Eppure il ministro qualcosa di importante l' ha detta: «Abbattere le tasse va bene, ma deve essere una decisione permanente e credibile». Misure che durano un anno e poi non vengono riconfermate, non servono.
la cena poletti alemanno casamonica buzzi
Dunque come finanziare il libro dei sogni di Renzi? «Il taglio delle tasse deve venire da un parallelo taglio della spesa», dice netto Padoan. «Mi piacerebbe tagliare 50 miliardi di tasse domani, come molti mi suggeriscono. Magari. Ma la vera questione è il finanziamento dei tagli, ecco perché serve un orizzonte medio-lungo».
Non proprio una sciocchezza. Il pacchetto di spending review , firmato Gutgeld-Perotti, vale 10 miliardi sul 2016 ed è già prenotato. Serve a evitare l' aumento di Iva e accise dal prossimo gennaio (la clausola vale oltre 16 miliardi, la parte restante è coperta dagli sconti concessi da Bruxelles per le riforme in atto). Una coperta dunque troppo corta per scaldare tutti i desiderata. Palazzo Chigi confida in Bruxelles. Il Tesoro ricorda che il margine di trattativa potrebbe essere risicato (solo lo 0,1%). E dunque mette le mani avanti. Se non possiamo fare deficit, occorre affondare sulla spesa.
Non ce n' è. «Non è detto, vediamo », si ripete da Chigi. Il premier tra l' altro non è spaventato dallo zero virgola di crescita. Né dai dati ancora molto deboli sull' occupazione, benché non abbia gradito il balletto di cifre tra martedì e mercoledì. Teme piuttosto un difetto di comunicazione. «I cittadini non ci capiscono, le riforme non "passano", tranne quella sul Jobs Act», avrebbe detto ieri in Cdm. Merito suo, non di Poletti però.
2. OGNI GIORNO PADOAN SMENTISCE LA SUA STORIA E LA SUA VISIONE ECONOMICA. PER STAR DIETRO ALLE PROMESSE DEL PREMIER
di Luigi Bisignani per Il Tempo
Non è mai troppo tardi. L'importante, ha detto il ministro Pier Carlo Padoan parlando a Rimini, è non perdere la propria credibilità internazionale. Se parlava di quella del governo di cui fa parte, questa l'ha perduta da tempo. Basta pensare alla vicenda dei Marò, fino al dramma dell'immigrazione, dove il Presidente del Consiglio non viene consultato dai suoi colleghi europei neppure via Skype.
Se invece parlava della sua credibilità personale, economica e politica, sarebbe davvero il momento di un sussulto di dignità, che certamente farebbe felici gli economisti di mezza Europa, che lo avevano tanto stimato e che sono sconcertati nel vedere come nella pratica ha stravolto tutto quello che aveva predicato. Del resto, per fare il ministro dell'Economia ci vuole una grande personalità. Quella, per esempio, di Guido Carli con Giulio Andreotti, che ne riconosceva la preparazione e si faceva guidare nelle scelte. Ma certo Renzi non è Andreotti e Padoan non è Carli.
L'intera esistenza del neo-renziano Padoan è stata all’ombra del PCI e del suo continuo trasformismo. Appena laureato, era nel gruppo di economisti che faceva capo a Luciano Barca, responsabile della politica economica del partito comunista italiano, e che aveva come punto di riferimento teorico Claudio Napoleoni e le sue tesi per cui il controllo della domanda era lo strumento più moderno per programmare l’economia del Paese.
Tesi che non piacevano al Cespe, il Centro studi di politica economica del Pci, che seguiva invece la linea di Giorgio Amendola, di cui Barca era fiero oppositore. Quando, poi, alla segreteria del PCI responsabile della politica economica venne nominato Giorgio Napolitano, il vento cambiò e il Cespe fu affidato ad Alfredo Reichlin e allo stesso Padoan, che intanto aveva intrapreso una brillante carriera universitaria.
L’ascesa di Massimo D’Alema alla segreteria del partito, si tradusse per l’attuale ministro dell’Economia nell’occasione della sua vita. Il passaggio essenziale fu la sua nomina a direttore della Fondazione Italianieuropei.
La vicinanza con D'Alema e Amato, poi, che lo hanno sempre considerato solo un super consulente, gli ha aperto le porte dell'Ocse e del Fmi. Tornato a Roma con Renzi, Padoan non ha fatto altro che depauperare il Ministero dell'economia delle sue funzioni, favorendone il trasferimento a Palazzo Chigi. L'ultima chicca sarebbe quella di spostare anche la Ragioneria Generale dello Stato presso la Presidenza del Consiglio, e il disastro sarà completato. Più che un Ministro, un consigliere del Principe.
MATTEO RENZI E PIERCARLO PADOAN
E a proposito di credibilità, quando Renzi parla dell'abolizione dell'Imu, sarebbe bello ricordare a Padoan quello che diceva quando era presidente dell'Istat : "Le tasse che incoraggiano di meno la crescita sono quelle sulla proprietà, come l’Imu, mentre le tasse che, se abbassate, favoriscono di più la ripresa e l’occupazione sono quelle sul lavoro".
Vediamo come Padoan, dopo le parole di Renzi, si metterà d'accordo con se stesso.
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