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Maurizio Belpietro per la Verità
MARIA ELENA BOSCHI E PIERCARLO PADOAN
Non c' è dibattito tv in cui, parlando di programmi elettorali, alla fine non spunti la domanda sui costi delle promesse. Abolire la Fornero? Sì, ma quanti soldi servono?
Ridurre le tasse a una sola aliquota, magari del 15 per cento? Ok, ma il denaro dove lo troviamo? Aumentare le pensioni al minimo? Fantastico, ma se l' Inps è già in deficit, come si fa?
L' elenco naturalmente potrebbe continuare, perché la fantasia dei leader politici in campagna elettorale spazia dai bonus agli incentivi, senza farsi mancare nulla. Tuttavia il problema non sono le promesse, che in buona parte non sono realizzabili per totale mancanza di fondi, ma ciò che i partiti e il governo hanno già speso proprio in vista del voto del 4 marzo.
Infatti, non ci sono solo le balle che si raccontano agli elettori per invogliarli a votare un partito o un candidato. Ci sono anche le marchette elettorali, quelle operazioni fatte tenendo un occhio agli sbandierati interessi della collettività e un altro alla ricaduta che potrebbero avere i provvedimenti decisi al momento del voto. Non stiamo parlando solo dei famosi 80 euro prima delle elezioni europee o del più recente contratto degli statali, che - quando si dice il caso - garantirà aumenti di stipendio proprio con la busta paga di febbraio.
No, stiamo alludendo a qualcosa di più subdolo, che adesso vi spieghiamo subito. Prendete per esempio il caso di Maria Elena Boschi, la cocca del segretario del Pd. Dopo la vicenda di Banca Etruria, trovare un collegio che se ne facesse carico era diventato un problema. Di candidarla in Toscana, cioè a casa sua, dove tutti la conoscono, non c' era neanche da parlarne, perché da quelle parti gli elettori che hanno visto andare in fumo i propri risparmi sono tanti e si rischiava una rivolta anche tra i compagni.
A qualcuno dunque era venuta l' idea di farla emigrare in Campania, dalle parti di Ercolano, dove il Pd renziano andrebbe alla grande. Ma è bastato parlarne per far insorgere i militanti, per cui anche da quelle parti la sottosegretaria alla presidenza del Consiglio si è trovata le porte sbarrate.
Che fare, si devono essere chiesti dalle parti del Nazareno? E allora ecco spuntare l' idea risolutiva: spedirla in Alto Adige, sotto l' ala protettiva della Südtiroler Volkspartei, il partito altoatesino da sempre alleato del centrosinistra che in cambio, come è noto, ha fatto più di una concessione alla Provincia autonoma. Certo, l' ex ministra delle riforme è un boccone difficile da mandar giù anche per la Svp, perché il flop della revisione costituzionale, ma soprattutto le polemiche relative alla banca di cui era vicepresidente il padre, non sono cose che si dimenticano in fretta.
Tuttavia i sudtirolesi non potevano scordarsi del regalo che proprio pochi mesi fa il governo Gentiloni ha fatto a Trento e Bolzano. A novembre, con un emendamento al decreto fiscale, alla società che gestisce l' autostrada del Brennero è stata generosamente garantita la proroga trentennale della concessione. Nessuna gara, nessun bando, ma un semplice protocollo d' intesa fra ministero e i presidenti delle due Province. I quali, ovviamente, sono anche quelli che indicano i vertici. Insomma, invece di essere privatizzata, l' autostrada è rimasta in famiglia e anche gli utili, di cui ovviamente gode il Trentino Alto Adige.
Due mesi fa il senatore di Forza Italia, Lucio Malan , calcolò che il dono valesse 5,5 miliardi, senza contare l' indotto politico. Vi sembrano troppi tutti questi soldi per un seggio? Forse, ma qualcuno deve aver pensato che per impedire la caduta della Boschi non si dovesse badare a spese.
Anche dalle parti di Siena c' è un' altra operazione che ai contribuenti è costata un occhio della testa e, guarda caso, anche da quelle parti verrà candidato l' uomo che ci ha messo la faccia, ovvero il ministro dell' Economia, Pier Carlo Padoan, colui che ha licenziato il precedente amministratore delegato Fabrizio Viola. L' ad voleva fare in fretta e chiudere la partita della ricapitalizzazione prima del referendum del 2016, ma la botta per il governo sarebbe stata grossa. Così si decise di rinviare.
Quanto sia costata l' attesa è noto: subito 4 miliardi, che naturalmente ha dovuto mettere lo Stato, cioè i contribuenti, e che poi sono diventati 5,5. E, quando si dice la coincidenza, il ministro che ha seguito l' operazione andrà a chiedere il voto proprio ai senesi, pur essendo romano, emigrato per anni in giro per il mondo. Attenzione, non si tratta di voto di scambio, che in questo caso non c' entra nulla, ma di una campagna elettorale dove per non essere spazzati via non si bada a spese. Con i soldi degli italiani.
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