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PALAZZO CHIGI, ABBIAMO UN PROBLEMA! IL MINISTRO FITTO LANCIA UN ALLARME SUL PNRR: "I SOLDI NON BASTANO PER TUTTI I PROGETTI” - PER IL RESPONSABILE DEL RECOVERY PLAN LA SPESA PREVISTA AL 31 DICEMBRE NON ARRIVA NEANCHE AI 22 MILIARDI: SUI 55 OBIETTIVI SEMPRE A SCADENZA DICEMBRE 2022, SU 30 SI SCONTANO SERI RITARDI. SI VA VERSO “UNA RIMODULAZIONE AL RIBASSO” – FITTO PUNTA IL DITO SUL SUD: “LE QUESTIONI SONO DUE…”
Da open.online
«Il Pnrr non può essere un dogma». Il ministro degli Affari Europei Raffaele Fitto lancia l’allarme sul Recovery Plan in un’intervista rilasciata a Repubblica. Nella quale di fronte alla questione se effettuare o no modifiche, tagliare quelle opere del Piano che ad oggi sembrano irrealizzabili non smentisce: «Non cercate da me un titolo che potete dedurre da soli».
Per il ministro di Fratelli d’Italia la spesa prevista al 31 dicembre non arriva neanche ai 22 miliardi: «Stiamo osservando i dati precisi e temo proprio che i soldi non siano quelli: Quindi c’è una criticità che va posta, che è quella della capacità di spesa». Il ministro si riferisce all’ultima quota fissata a settembre, «dopo che già i governi precedenti erano passati dagli iniziali 42 miliardi ai 33 dello step successivo». Ma dal governo arriva preoccupazione per un altro gap: sui 55 obiettivi sempre a scadenza dicembre 2022, su 30 si scontano seri ritardi. Verosimile, nelle prossime settimane, «una rimodulazione al ribasso», sottolinea il titolare del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza.
Fitto punta il dito sul Sud: «Le questioni sono due. La prima si riferisce a un dato oggettivo. Ci sono 120 miliardi di opere pubbliche, sui 230 totali, e c’è un aumento delle materie prime del 35 per cento, quindi è facile la risposta al quesito». Quindi va «probabilmente implementato», e anche armonizzato con i fondi di sviluppo e coesione, che sono stati spesi solo in minima parte tra il 2014 e il 2021. «Mentre ora, in tre anni dovremmo spendere il triplo». Un quadro, insiste, «che deve essere condiviso nel suo divenire con la Commissione. Come peraltro indica la scelta del presidente del Consiglio, Meloni: che ha voluto connettere queste deleghe in capo ad un unico ministero».
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