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Carmelo Lopapa per “la Repubblica”
Paolo Romani Renato Brunetta Matteo Salvini Giovanni Toti foto Lapresse
«Quel documento che Brunetta ha portato al Quirinale io non l’ho letto, di certo non è stato votato e condiviso dai gruppi parlamentari. Nel testo si leggono espressioni che trovo sbagliate, si dice che con le riforme si è costruito un mostro politico istituzionale. Ecco, questo non lo condivido. L’Aventino al Senato non ci sarebbe stato». Paolo Romani, capogruppo di Forza Italia a palazzo Madama, misura le parole con lentezza. Siede nel salottino del suo studio al terzo piano, in un momento di pausa dei lavori sul decreto Ilva. Si erano perse le sue tracce dalla rottura col pd sul Quirinale. Due giorni fa ha lasciato che il solo Brunetta salisse al Colle.
Che fine aveva fatto, senatore Romani?
«Il Senato non era più sotto i riflettori, le riforme sono passate alla Camera».
D’accordo, il motivo vero?
RENATO BRUNETTA LITIGA CON PAOLO ROMANI
«Il silenzio di questi giorni nasce dalla voglia di ripensare questo anno in cui abbiamo creduto fino in fondo in un cambiamento della storia politica di questo Paese. In cui abbiamo lavorato a un rinnovamento del sistema, non solo elettorale, ma anche istituzionale, che approdasse fino alla scelta condivisa della suprema figura di garanzia, quella del capo dello Stato».
Pensa che sia finito davvero? O dopo le regionali il percorso potrà riprendere?
«Penso sia finito, sì. Detto questo, i rapporti tra le parti devono essere portati avanti per il regolare funzionamento delle istituzioni. Ma il capo dello Stato era fondamentale per dare attuazione alle riforme che stanno andando in porto. Venuto meno quel presupposto...».
E pensa che Mattarella non possa essere il garante?
«Siamo sicuri che saprà esserlo. Il suo percorso politico-istituzionale ce lo conferma. Ma va detto che anche Napolitano aveva iniziato il suo da garante, per poi diventare protagonista di una storia assai diversa».
Voterete contro le riforme?
«Voteremo solo quelle parti delle riforme che abbiamo concorso a scrivere. Sul voto finale non c’è ancora un pronunciamento e dovranno decidere i gruppi parlamentari. Ad oggi, non ci sono le condizioni per un voto favorevole. Di certo, non potrà essere una decisione affidata a una sola persona, fosse pure un capogruppo».
Come giudica l’Aventino deciso a Montecitorio?
«Non giudico quanto accaduto nell’altro ramo del Parlamento ».
Al Senato l’avreste fatto?
«Mi sento di escluderlo. Non credo che sulle riforme si possa uscire dall’aula, tanto meno dopo essere stati determinanti nella loro stesura».
Perché non è salito al Quirinale col suo collega?
«Perché non ho condiviso ad esempio quel documento portato al presidente, che non ho letto, che non è stato condiviso, né votato dai gruppi parlamentari. Penso che anche nel nostro partito debbano essere portate avanti solo le decisioni adottate nelle sedi deputate».
Ma il documento non è stato concordato con Berlusconi?
«Io sono fermo al fatto che il presidente Berlusconi ha fatto votare nell’ultima assemblea dei gruppi un documento assai diverso da quello in 25 punti portato poi al Quirinale».
Cosa non condivide?
«Penso sia giusto riprenderci la nostra libertà di giudizio. Ma quelle riforme le abbiamo scritte in gran parte e in modo determinante. Anche perché coincidevano, e molto, con le nostre del 2005».
Parla con rammarico, da uomo tradito.
«Resta l’amarezza, in un patto tra gentiluomini non si cambiano le carte in tavola e chi ha tradito i patti è stato Renzi».
A quali condizioni tornereste a trattare?
«Premesso che al momento non esistono le condizioni, se venisse ad esempio proposto di modificare il premio al partito nel premio alla coalizione, nell’Italicum, si potrebbe riaprire un dialogo».
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