
DAGOREPORT – COME MAI IMPROVVISAMENTE È SCOPPIATA LA PACE TRA JOHN ELKANN E FRATELLI D’ITALIA? IL…
1- PD IN TENSIONE, BERSANI STOPPA IL MINISTRO "NON ACCETTO DI ABBANDONARE I LAVORATORI"
Giovanna Casadio per "la Repubblica"
Un colloquio con Fornero? «Ho quest'abitudine: non chiamo, ma sono a disposizione quando il governo mi chiama...». Ufficialmente, nelle dichiarazioni alle agenzie di stampa, Bersani usa toni cauti. Ma nelle riunioni di partito, il segretario del Pd dà un alt secco al ministro del Welfare. Uno stop «alla professoressa».
Brava, ma secondo i democratici astratta. E soprattutto poco consapevole delle conseguenze che la stretta sulla cassa integrazione - lanciata come un sasso nello stagno e poi ritirata - rappresenterebbe per centinaia di migliaia di lavoratori. Per non parlare dell'articolo 18. Perciò il leader pd suona l'allarme: «Al governo consiglio uno sguardo lungo ma i piedi a terra, perché la crisi industriale è diffusa e non si lascia la strada vecchia senza vere alternative, mettendo nell'abbandono centinaia di migliaia di lavoratori».
Sono bastate le poche battute di Bersani in risposta a Fornero diffuse da tv e rete, perché sulla pagina facebook del segretario si scatenasse l'inferno. «Se fai passare questo, hai finito»; «Occhio kompagno»,e via in un crescendo di proteste, di contestazioni condite di insulti ma anche di appelli drammatici.
Dal Sulcis un lavoratore posta: «Lei Bersani conosce la nostra realtà e sa cosa accadrebbe se si passasse alla sola cassa integrazione ordinaria». Un dramma.E più in generale, se Fornero mettesse mano, come ha detto, a misure radicali di riforma del mercato del lavoro, il Pd - il partito del lavoro, secondo l'imprinting che gli ha dato Bersani - dovrebbe scendere in trincea, peraltro lacerandosi al suo interno.
I "full Monti", i liberisti e montiani a oltranza, già sono in rotta di collisione con i "gauchisti" come Fassina e Damiano. Bersani punta a mantenere il partito «nel solco». Per quanto riguarda Fornero e le sue misure "radicali", replica: «Si può essere radicali ma sempre avendo bene i piedi piantati nella realtà . Cambiamo prima i meccanismi contrattuali che stanno svilendo il lavoro, perché un eccesso di precarietà sta disperdendo il tradizionale punto di forza dell'Italia ovvero il bagaglio di competenze del lavoro.
Noi a questo tavolo ci siamo con il nostro contributo. Quindi, bisogna indicare una prospettiva di riorganizzazione degli ammortizzatori, ma mai dimenticando che siamo nel pieno di una crisi difficile e che non sarà breve».
Il 2 febbraio nelle sede dei Democratici si sono dati appuntamento alcune associazioni, esperti, politici come Treu, Baretta e Damiano. Si parlerà di articolo 18e cassa integrazione. Damiano, ex ministro del Lavoro, ex sindacalista Fiom-Cgil, capogruppo democratico in commissione, ritiene che imboccare certe strade porterebbe a compromettere il rapporto tra il Pd e il governo: «Fornero ha detto sull'articolo 18 che se Monti le dice "fermati", lei si ferma: mi pare che glielo abbiano già detto in molti di fermarsi.
Immaginare che togliere la cassa integrazione straordinaria è una strada che Fornero non può imboccare. Possono esserci abusi certo, però se accadesse Passera si troverebbe a gestire non 200 tavoli di crisi ma molti di più. Si vogliono ammodernare gli ammortizzatori sociali? Ci vogliono soldi». La tensione nel Pd sale.
Pietro Ichino è di parere opposto. Per il giuslavorista «Fornero andrà avanti, dovrà mettere a punto il modo in cui procedere, ma il disegno complessivo è sensato e ci saranno spazi di accordo». Il Pd? «Tutte le forze politiche sono sotto stress e il Pd non lo è più di quanto non lo sia già stato». Non è stato facile ieri neppure il vertice al partito sulle liberalizzazioni, però la partita del lavoro è, afferma il vice segretario Letta, quella che veramente «preoccupa».
2- LA MEDIAZIONE DEL PROFESSORE "L'AGENDA DEVE RESTARE QUESTA MA NON DIVIDO PARTITI E SINDACATI" - I TIMORI DI PASSERA SULLA CASSA INTEGRAZIONE
Roberto Mania per "la Repubblica"
«I temi sui quali il governo insisterà sono quelli che il ministro Fornero ha comunicato». Parla da Bruxelles il presidente del Consiglio, Mario Monti, e sceglie non a caso le parole per ridefinire i confini del negoziato con le parti sociali sulla riforma del mercato del lavoro. Parla dei temi, il premier, e non delle proposte del ministro, quelle che stavano rischiando di mandare la trattativa al tappeto al primo round.
E così compie una doppia operazione: non sconfessa Fornero, anzi la protegge dalle possibili invasioni di campo di altri colleghi (Corrado Passera, in particolare, titolare dello Sviluppo) e, dall'altra parte, viene incontro alla richiesta dei sindacati, della Confindustria e pure del Pd di ripartire da un'agenda condivisa e non dal documento-Fornero, che in molti, peraltro, le avevano sconsigliato di presentare. Punto e a capo. Monti non vuole rotture.
Ora ci vorrà qualche giorno di decantazione prima che le diplomazie si rimettano in moto. La Fornero non ritirerà di certo il suo documento, ma appare improbabile che lo invii (come aveva promesso) alle parti sociali. Ieri ha dedicato quasi l'intera giornata a fare diverse marce indietro (dalla rivoluzione per la cassa integrazione all'ipotesi del contratto unico) e, nello stesso tempo, a venire incontro all'impostazione di Cgil, Cisl e Uil (soprattutto sulla valorizzazione dell'apprendistato).
Tutti segnali di distensione. Gli stessi che in questi due ultimi giorni si è preoccupato di lanciare ai leader sindacali e ai vertici confindustriali il ministro Passera. Perché è lui che in questa fase di tensione con la Fornero è diventato il primo interlocutore sia di Susanna Camusso, segretario della Cgil, sia di Emma Marcegaglia, presidente degli industriali. Passera è il vero ministro "politico" del governo Monti.
Conosce bene le dinamiche sindacali, dopo aver gestito, a cavallo tra gli anni Novanta e il Duemila, il processo di ristrutturazione delle Poste; e da banchiere ha visto da vicino debolezze e virtù dell'apparato industriale italiano.
Nelle stanze del suo dicastero si stanno scaricando i primi effetti della recessione: ci sono più di duecento tavoli di crisi aperti per circa 300 mila posti di lavoro a rischio. L'altro ieri - subito dopo l'annuncio della Fornero a Palazzo Chigi di voler superare l'istituto della cassa integrazione straordinaria - i negoziatori al ministero dello Sviluppo hanno cominciato a fare melina non sapendo più se avrebbero avuto ancora a disposizione lo strumento principe per affrontare le crisi aziendali strutturali, non dovute cioè al calo contingente della domanda.
Al tavolo di Passera è passata la Fiat di Termini Imerese, c'è la Fincantieri, la Antonio Merloni, la Bat di Lecce e tantissime altre. La cassa straordinaria è indispensabile ai tavoli delle crisi industriali. E ora, Passera e Fornero cominciano a fare fatica a nascondere i reciproci dissapori.
«Posso assicurare che tutti i ministri giocano con grande spirito di squadra: è la nostra regola del gioco», ha detto l'ex banchiere ai giornalisti di prima mattina. Ma qualche ora dopo è arrivata al frecciatina dell'economista piemontese: «Il ministro Passera mi nasconde delle cose che mi riguardano... adesso lo sgrideremo», ha risposto a una senatrice che le chiedeva notizie di un tavolo su mass media e donne aperto al dicastero dello Sviluppo mentre è la Fornero la titolare delle pari opportunità .
«Passera sta nel mondo reale, la Fornero è rimasta ancora nelle aule universitarie», diceva ieri sera un industriale uscendo da Viale dell'Astronomia dopo aver partecipato alla riunione del Direttivo della Confindustria.
Ed è proprio in Confindustria che si sta elaborando una sorta di svolta sull'articolo 18: gli industriali (anche i più riottosi come l'ex presidente Antonio D'Amato che sull'articolo 18 andò, alleato con Berlusconi, allo scontro con la Cgil di Sergio Cofferati) si preparano a chiedere non più la riforma della norma dello Statuto che, in caso di licenziamento senza giusta causa, prevede il reintegro nel posto di lavoro; bensì una definizione certa dei tempi entro il quale il giudice deve decidere.
Attualmente una causa per licenziamento ingiustificato dura intorno ai sei anni, al termine dei quali l'imprenditore, se colpevole,è obbligato a reintegrare il dipendente. Questo genera incertezza tanto più che nella stragrande maggioranza dei casi alla fine imprenditore e lavoratore si accordano su una transazione economica.
Sull'accelerazione dei tempi dei processi è favorevole il governo ma pure i sindacati. Si vedrà se sarà questa la via d'uscita per disinnescare la bomba a orologeria dell'articolo 18. Intanto l'incontro tra sindacati e Confindustria per definire proposte comuni è slittato alla prossima settimana. Tempi più lunghi del previsto.
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