DAGOREPORT - 'STO DOCUMENTO, LO VOI O NON LO VOI? GROSSA INCAZZATURA A PALAZZO CHIGI VERSO IL…
Carlo Bonini e Marco Mensurati per "la Repubblica"
Si aggrava di ora in ora la posizione di Costa Crociere nell'inchiesta sul naufragio di venerdì 13 gennaio, e al suo fianco, sul banco degli accusati si comincia a intravedere il profilo della Capitaneria di porto che avrebbe tollerato nel tempo la prassi degli inchini. A precipitare la situazione della compagnia di navigazione è arrivato ieri, pubblicato in esclusiva da Repubblica.it, il testo delle intercettazioni ambientali registrate dai carabinieri della Compagnia di Orbetello nelle ore immediatamente successive alla tragedia.
Il Comandante Francesco Schettino è in caserma sconsolato, sta aspettando che qualcuno gli porti abiti puliti e buone notizie dal mare. Ma non arriva niente. Le ore passano lente, riempite solo dalle parole scambiate con il suo avvocato, Bruno Leporatti, il suo Comandante in seconda Ciro Ambrosio, il suo ufficiale di coperta Silvia Coronika, e qualche altro amico che lo raggiunge al telefono per sapere cosa è successo.
"IL MANAGER HA INSISTITO"
Ma quella stanza è piena di cimici. Lo fanno spesso i carabinieri per "rubare" la confessione dei sospettati quando, ancora a caldo, sono poco lucidi e molto inclini a parlare con maggior sincerità .
«Appena la nave ha cominciato a inclinarsi - confida ad esempio Schettino a un amico - ho preso e sono sceso», confermando così di aver abbandonato la nave prima che le operazioni di salvataggio fossero concluse. Ma non è questo l'aspetto più interessante di quelle conversazioni. Parlando al telefono con tale "Albert", infatti, Schettino rivela che quell'inchino non era stato il frutto di una sua scelta, ma dell'imposizione di un misterioso "manager", che aveva insistito moltissimo.
Le parole di Schettino (pronunciate in dialetto ma "tradotte" da un carabiniere) non lasciano molti dubbi: «Fabrizio - dice il comandante - qualcun altro al posto mio non sarebbe stato così benevolo da passare lì sotto, perché mi hanno rotto il cazzo: passa, passa di là , passa di à , la secca c'era ma non era segnalata dagli strumenti che avevo e ci sono passato (...) Fabrizio, per dar retta al manager, passa da lì passa da lì...». Chi è il manager? Tutto lascerebbe pensare che si tratti di un manager della compagnia Costa.
Che del resto, come lo stesso Schettino ha ammesso a verbale davanti al gip, incoraggiava gli inchini «perché ci fanno pubblicità ». L'alternativa è che Schettino si riferisca al maitre di bordo e confonda le parole.
L'INCHIESTA SU COSTA
Se dovesse essere confermata la prima ipotesi, però, la posizione della Compagnia potrebbe aggravarsi moltissimo già nelle prossime ore. Domani, in procura a Grosseto, è previsto un vertice tra il capo dei pm, Francesco Verusio e il procuratore generale della Toscana, Beniamino Deidda che lunedì sera aveva platealmente accusato la compagnia di «violazioni gravi» delle leggi sulla sicurezza nei posti di lavoro.
Dopo l'incontro, la procura, che ieri ha sequestrato un computer di bordo, deciderà quindi se, quando e come (da indagati o da testimoni) ascoltare gli uomini di Costa, a partire da quel Roberto Ferrarini, responsabile dell'unità di crisi dell'azienda, con cui, a suo dire, Schettino condivise ogni decisione dal momento dell'urto contro lo scoglio in poi.
"LE FALLE DELLA NAVE"
Il centro esatto della questione è ormai stabilmente occupato dal tema dell'efficienza dei sistemi di sicurezza a bordo. Oltre alle parole di Schettino, dunque, agli uomini della Compagnia di navigazione potrebbe essere contestato anche il verbale del safety officer della nave, Martino Pellegrini. Il suo racconto, affidato al comandante Gregorio De Falco, comincia dall'esclamazione urlata dal comandante Schettino non appena urtato lo scoglio: «Cazzo non l'avevo visto».
Dopodiché Pellegrini racconta però di tutti i tentativi fatti, invano, da Schettino per azionare i sistemi di bilanciamento della nave: «Il comandante disse: "Bilanciamo la nave" (...) a bordo sono presenti numerosi sistemi di bilanciamento», ma questi non funzionavano. Allora Schettino chiamò Ferrarini: «Al termine della chiamata si lasciò andare ad esclamazioni il cui senso esprimeva preoccupazione per aver fatto finire la nave sugli scogli e per la conseguenza sul suo lavoro».
"NIENTE GIUBBOTTI, BOTTE DAI PASSEGGERI"
In quei minuti quello che va in scena sulla Concordia è lo spettacolo di un ponte comando in preda al caos e al panico. E su questo punto le diverse testimonianze dei presenti offrono un quadro definitivo. Ciro Ambrosio, primo ufficiale in coperta dice: «Ci furono scene di panico: alcuni passeggeri malmenarono i componenti dell'equipaggio che impedivano l'accesso alle lance di salvataggio, altri non rispettavano la consegna di recarsi alle master station ».
Già , le consegne. Ma quali consegne? Sappiamo ormai che tra l'impatto (21.42) e l'ordine di evacuazione (22.48), passò più di un'ora. Dunque è ragionevole pensare che i passeggeri siano stati assaliti da uno stato di ansia crescente, frutto di un'attesa inconcludente. Di cui infatti dà conto Guido Auriemma membro dell'equipaggio: «Vidi il commissario di bordo, Manrico Giampetroni (l'ufficiale che al momento dell'impatto è in plancia comando che distrae Schettino con domande come: "Quella che isola è? L'Isola del Giglio?") che invitava i membri dell'equipaggio a non indossare i giubbotti di salvataggio per non allarmare i passeggeri».
GENTE CHE NON RIEMERGEVA
In questa bolgia infernale, i 4.200 passeggeri della Concordia comprendono di essere abbandonati al loro destino. Ciascuno decide di pensare per sé. La nave sbanda e si piega verso l'acqua. Il mare, nero, è a una temperatura di sei gradi che non consente di sopravvivere per più di 15 minuti. Hugo Di Piazza, terzo ufficiale di macchina, ha impresso nella memoria quello che probabilmente non riuscirà mai più a cancellare: «Ho visto gente saltare in acqua dal lato di dritta e non riemergere più. Abbiamo fatto il giro della nave da sinistra a dritta e non siamo riusciti a salvare più di due persone».
"MI SONO FIDATO DI PALOMBO"
Ma non è tutto. Nelle intercettazioni del Comandante c'è anche il testo di una telefonata che finisce per chiamare in causa la responsabilità diretta di uno dei personaggi più enigmatici di questa vicenda, il comandante in quiescenza della Costa Crociere, Mario Terenzio Palombo, già autore di un volumetto celebrativo del rito degli inchini.
L'interlocutore di Schettino, stavolta, è tale Pietro, una persona con cui il comandante è evidentemente in confidenza che telefona a metà pomeriggio di sabato 14: «Pie' che ti devo dire, mi ha rotto il cazzo (in questo caso il riferimento sembra essere proprio al maitre, ndr ): andiamo a salutare il Giglio, andiamo a salutare il Giglio ... Stava uno scoglio lì sporgente e non l'abbiamo visto e ci siamo andati su. (...) Mi sono fidato della carta nautica e del Palombo, che mi ha chiamato».
"I QUATTRO INCHINI E LA CAPITANERIA"
Palombo potrebbe essere risentito nei prossimi giorni dalla procura. Su questa circostanza, come su un'altra, anch'essa molto importante. Nel suo primo interrogatorio, infatti, l'ex comandante ha dichiarato che gli inchini sono una prassi tollerata, anzi, peggio, concordata dalla capitaneria di porto.
"«A quanto mi risulta - ha detto - dal 2007 al 2011 i saluti ravvicinati ad andatura ridotta (velocità cinque nodi circa) al Giglio concordati con la Capitaneria di Porto e la società armatrice sono stati quattro e sempre durante l'estate, uno con la costa Pacifica e tre con la Concordia. Preciso che, per quanto mi consta, nessun altro saluto è mai stato posto in essere senza l'osservanza delle buone regole dell'arte marinara». Per quanto riguarda l'osservanza della legge, invece, è tutta un'altra storia.
FRANCESCO SCHETTINO CAPITANO DELLA CONCORDIA NAVE CONCORDIANAVE CONCORDIANAVE CONCORDIANAVE CONCORDIAil direttore generale costa crociere gianni onoratoil presidente costa crociere pier luigi foschiSCHETTINONAVE CONCORDIANAVE CONCORDIA
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