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Anna Zafesova per La Stampa
Un giorno dell’autunno 1999 un banchiere russo, Serghey Pugaciov, porta Vladimir Putin – appena scelto da familiari e famigli di Boris Eltsin per succedere al decrepito presidente – a Novo-Ogariovo, per mostrargli la dacia in cui avrebbe vissuto come capo di Stato.
«Era estasiato», racconta Pugaciov – che dopo essere fuggito a Londra dalla magistratura russa è diventato molto loquace – alla rivista Slon: «Rimase incantato dalla piscina di 50 metri. Non so se prima gli piacesse nuotare, non aveva mai avuto una piscina. Forse nuotava nella sua vasca da bagno».?
Un disprezzo feroce verso l’ex ufficiale del Kgb tornato dalla Ddr con una lavatrice usata, una Volga, uno stipendio da fame e una manciata di amici che giravano per Novo-Ogariovo «con gli occhi squadrati». Oggi si dice che è durante le lunghe nuotate in quella piscina che il presidente russo prende le decisioni cruciali, e i media gli attribuiscono nuove residenze sempre più sfarzose. Ed è qui che gli Stati Uniti vorrebbero colpirlo.
Obama e Putin si telefonano e si complimentano per l’accordo con l’Iran. Ma l’Ucraina resta terreno di guerra non solo fredda, e il sottosegretario di Stato americano Victoria Nuland ha appena dichiarato da Kiev che Washington è pronta «ad aumentare la pressione» sul Cremlino. Il «Times» di Londra, in un’inchiesta dettagliata, rivela la direzione dell’attacco: gli amici di Putin, quelli che giravano per la sua dacia «con gli occhi squadrati» e che oggi sono tra gli uomini più ricchi di Russia.
Il patrimonio e il business dei putiniani sono il bersaglio numero uno dell’intelligence americana, con un team di specialisti in finanza, affiancati dalla Cia e dall’Nsa: «Ha completamento oscurato tutti gli altri dossier», dice una fonte di Washington al «Times». Analisti che seguivano l’Iran sono stati dirottati su Mosca, per superare «una conoscenza molto limitata» delle vicende russe.?
Per anni, infatti, la Casa Bianca non aveva ascoltato le denunce degli oppositori russi, come il rapporto di Boris Nemzov che attribuiva a Putin un patrimonio personale di 40 miliardi di dollari, o Alexey Navalny, che ha documentato la corruzione della «Cremlin Corp».
La prima lista di sanzioni Usa sembrava copiata dal blog di Navalny. Oggi contiene 28 società e più di 130 politici, alti funzionari e imprenditori, che non possono entrare negli Usa e si sono visti congelare i beni esteri. La stretta finale, rivela un funzionario americano al «Times», potrebbe essere contro le grandi corporation statali. Non più crediti di 30 giorni, bensì solo di 7, tagliandole così fuori dai finanziamenti occidentali.??
Il ragionamento si basa sulla commistione tra relazioni e affari. Rosneft, la major petrolifera russa, è guidata da Igor Sechin, la banca Rossia da Yuri Kovalchuk, considerato “il cassiere del Cremlino”, le ferrovie da Vladimir Yakunin, tutti amici di Putin da quando era a capo delle relazioni esterne del comune di Pietroburgo. Con i fratelli Rotenberg faceva judo: oggi sono fornitori di appalti miliardari per le Olimpiadi e i gasdotti di Gazprom.
Ghennady Timchenko è diventato uno dei maggiori trader di petrolio al mondo. E il meccanismo dei loro miliardi resta quello del “Lago”, cooperativa di dacie che avevano fondato quando erano poveri: appalti e licenze distribuiti oculatamente. Gli oligarchi della prima ora – quasi tutti figli di un’intellighenzia più o meno anti-comunista, matematici, registi, diplomatici – avevano finanziato Eltsin, in cambio di privilegi economici.?
Gli oligarchi di Putin – molti dei quali ex agenti del Kgb, militari, ex funzionari sovietici - sono stati creati da lui, e guidano la top ten degli appalti statali, in una fitta rete di favori reciproci e parentele. Quanto di questa ricchezza appartenga direttamente a Putin è ignoto e irrilevante. Non ha bisogno di soldi, è mantenuto dallo Stato. Ma lo Stato sono lui e i suoi amici.
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