PATTI E RICATTI - IL CAPITALISMO STRACCIONE ALL’ITALIANA È STATO SCONFITTO DALLA STORIA E DAL MERCATO - I PATTI DI SINDACATO STANNO MORENDO, MA NON TUTTI MOLLANO

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Vittorio Malagutti per "l'Espresso"

La Pirelli? «È del mercato», annunciava festante a metà maggio Marco Tronchetti Provera, socio di comando, nonché presidente, dell'azienda del cinturato. «Abbiamo lavorato per avere investitori esteri di lungo termine oggi presenti con il 70 per cento del flottante», raccontava con orgoglio Tronchetti agli azionisti riuniti per l'annuale assemblea di bilancio. Belle parole. Grande entusiasmo. Giustificato solo in parte, però, dalla realtà dei fatti.

Perché mentre magnificava le virtù del mercato dei capitali, il gran capo della Pirelli dava gli ultimi ritocchi a una complicata operazione. Obiettivo finale: difendere e rafforzare la sua presa sul gruppo, correndo sul filo del conflitto d'interessi, tra offerte pubbliche d'acquisto, alchimie finanziarie e l'immancabile patto di sindacato, sottoscritto, questa volta, con le banche creditrici (Intesa e Unicredit) e il fondo di private equity Clessidra.

La fine della storia è ancora da scrivere, dato che, in vista del traguardo, la Consob ha chiesto di rivedere al rialzo il prezzo offerto per l'Opa su Camfin, la holding quotata di Tronchetti. La vicenda è poi approdata in tribunale, ma poco importa come andrà a finire. Il caso Pirelli dimostra che i vecchi schemi del capitalismo di relazione all'italiana sono duri a morire.

Con buona pace dei numerosi cantori del nuovo che avanza. Il nuovo sarebbe poi il mercato, quello vero, che spezza i vincoli imposti da un manipolo di oligarchi.
Da giugno le cronache finanziarie raccontano quella che viene descritta come la svolta epocale di Mediobanca. E cioè: vendita delle partecipazioni un tempo considerate strategiche, tipo Rcs - Corriere della Sera e perfino di una parte (il 3 per cento) della quota del 13 per cento controllata in Generali, asse portante di quello che un tempo veniva definito il salotto buono della finanza italiana. E allora «liberi tutti», si è letto sui giornali. Fine del sistema dei patti, quella complicata rete di accordi con cui i capitalisti nostrani si sostengono a vicenda.

Anche Mario Greco, da poco più di un anno al timone delle Generali, ha rotto con le consolidate tradizioni del gruppo del Leone, annunciando l'uscita «quanto prima» da tutti gli accordi di sistema. Perfino Carlo Pesenti si è deciso al grande passo. «In questo momento i patti non hanno più ragion d'essere», ha scandito l'erede della famiglia che controlla Italcementi ed è stata per oltre mezzo secolo una delle protagoniste del salotto allestito da Enrico Cuccia.

Solo che quando si è trattato di passare dalle parole ai fatti, anche l'innovatore Pesenti ha lasciato a metà la svolta annunciata, liberando solo una parte delle azioni vincolate all'accordo che governa Mediobanca. Guarda caso, dopo l'uscita dei francesi di Groupama con il loro 4,93 per cento e delle Generali al 2 per cento, le azioni dei Pesenti ancora legate al patto (cioè l'1,6 per cento) sono proprio quelle che servono per superare la soglia fatidica del 30 per cento con cui scatta il rinnovo automatico dell'intesa tra i soci della banca che fu di Cuccia.

L'operazione sembra studiata a tavolino per salvare gli equilibri di sistema. E adesso, in teoria, toccherebbe al finanziere francese Vincent Bolloré raccogliere nuove adesioni per rimpiazzare l'uscita di Groupama.

Intanto però gli annunci di questi mesi avranno presto un altro banco di prova. Sotto il peso delle perdite e dei contrasti tra i soci si sta sfaldando il patto Rcs. Dopo l'aumento di capitale dell'estate scorsa che ha rafforzato la posizione della Fiat, ora al 20 per cento del capitale, il gruppo che controlla il "Corriere della Sera" è alla ricerca di nuovi equilibri.

Pare difficile che qualcuno degli altri maggiori azionisti, a cominciare da Mediobanca al 15 per cento e Intesa con il 5,85, accetti di fare da portatore d'acqua alla coppia John Elkann-Sergio Marchionne, che sempre di più appaiono come i dominus della situazione.Tanto che da più parti si ipotizza una fusione tra il grande quotidiano milanese e "La Stampa" di Torino, il giornale di casa della Fiat.

Si cerca quindi un'intesa alternativa, con i grandi soci fin qui estranei agli accordi di comando, come Diego Della Valle e la new entry Urbano Cairo, pronti a inserirsi nei giochi. La vicenda Rcs racconta in modo esemplare il caso di un patto che si è esaurito causa crisi, particolarmente acuta in tutto il settore dell'editoria.

Con i bilanci in rosso e una montagna di debiti da pagare, il prezzo del biglietto per sedersi al tavolo di quelli che contano è diventato troppo costoso. E allora tanto vale cambiare aria e concentrarsi sui problemi di casa propria. Azionisti come Generali, Pesenti e Merloni, tutti membri del patto Rcs, hanno fatto un passo indietro, scegliendo di non aderire all'aumento di capitale del gruppo editoriale. Un copione simile è andato in scena nei giorni scorsi anche su Telecom Italia.

Dopo aver perso soldi a palate, Banca Intesa, Generali e Mediobanca hanno pensato bene di chiudere l'avventura di Telco, la holding a cui fa capo l'ultimo grande operatore telefonico che batte bandiera italiana.

Fine dell'operazione di sistema, allora, con la spagnola Telefonica destinata salvo sorprese a prendere il controllo del concorrente (in Sudamerica) italiano. A conti fatti è andata un po' meglio ai Benetton, che si erano chiamati fuori dalla partita delle tlc vendendo già nel 2009 la loro quota in Telco. Giusto il mese scorso, però, la famiglia di Ponzano ha confermato la propria adesione al patto Mediobanca.

Del resto, l'istituto guidato da Nagel rende il favore in Sintonia. Quest'ultima è la holding dei Benetton che possiede Atlantia (Autostrade) e Aeroporti di Roma (Fiumicino) ed è governata da un accordo tra soci a cui partecipano, oltre ai Benetton, anche gli americani di Goldman Sachs, il fondo sovrano di Singapore, Gic e, appunto, Mediobanca. Anche qui, però, gli equilibri potrebbero presto cambiare.

Nagel, infatti, ha inserito tra le quote in vendita anche la partecipazione in Sintonia. Il fatto è che quando il motore dell'economia batte in testa, la fine del gran ballo dei patti di sindacato diventa una scelta obbligata più che un omaggio alle regole del mercato. In altre parole, i campioni della finanza nostrana cambiano idea non per scelta ma per forza. Capita anche che qualcuno dei tradizionali protagonisti del salotto buono sia costretto ad alzare bandiera bianca.

Salvatore Ligresti, già soprannominato mister 5 per cento per la sua abitudine a ritagliarsi una quota nei patti più diversi, è stato travolto dai guai causati da una gestione più attenta agli interessi della famiglia (la sua) che agli azionisti. La crisi è stata gestita tutta all'interno del sistema, con i due più importanti creditori di don Salvatore, cioè Mediobanca e Unicredit, che hanno pilotato la discesa in campo del cavaliere bianco Unipol. La Fonsai è passata dai Ligresti alla compagnia delle coop, che ora dovrà giocare anche la complessa partita dei patti di sindacato.

Carlo Cimbri, amministratore delegato del gruppo assicurativo, ha già dato l'addio a Mediobanca, così come richiesto dell'Antitrust, mentre su Rcs rimane in attesa degli eventi dopo aver sottoscritto l'aumento di capitale di giugno.

Resta Pirelli, dove Unipol ha ereditato una quota del 4,5 per cento. Il 2,6 per cento è stato svincolato a giugno. Il residuo 1,9 per cento del capitale serve a tenere in piedi il patto di sindacato che governa il gruppo della Bicocca. Del resto, se davvero appartenesse al mercato come dice Tronchetti, difficilmente la Pirelli sarebbe ancora presente tra i soci di comando di Rcs e Mediobanca.

Quei patti servono solo a consolidare il potere e le relazioni personali dello stesso Tronchetti. Per non parlare della partecipazione alla cordata per salvare Alitalia allestita su richiesta di Silvio Berlusconi. Che c'entrano gli pneumatici con una compagnia? Gli amici di Tronchetti presenti nel patto, a cominciare da Intesa, Benetton e Ligresti, erano a loro volta coinvolti nel salvataggio. E cinque anni fa diedero via libera senza fiatare a quell'avventura ad alto rischio. Visti i risultati, rinunciare sarebbe stato meglio per tutti, a cominciare dai piccoli azionisti di Pirelli.

 

ALBERTO NAGEL E SALVATORE LIGRESTITRONCHETTI PROVERA jpegmario greco generali LA SEDE DI MEDIOBANCA Sede del Corriere della Sera in via SolferinoJOHN ELKANN E GIANNI AGNELLI Andrea Agnelli e John Elkann VINCENT BOLLORE DIEGO DELLA VALLE CON SCARPE TODS