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Alessandro Barbera per “la Stampa”
Il primo novembre si avvicina, e ormai tutti si chiedono cosa farà Mario Draghi dopo aver varcato per l' ultima volta il grande ingresso di vetro della Banca centrale europea. Donald Trump, in guerra con il suo governatore Jerome Powell, lo vedrebbe bene alla Federal Reserve. A Washington c'è chi lo immagina già alla guida del Fondo monetario internazionale.
Nelle capitali europee il suo nome finora è rimasto sottotraccia, se non altro per non destabilizzare l'istituzione più delicata dell'Unione. Ora però il tempo sta scadendo: ai primi di luglio si insedia il nuovo Parlamento di Strasburgo e lo stallo sulle nomine nei posti chiave di Bruxelles e Francoforte inizia a diventare imbarazzante. Ecco perché a Palazzo Chigi è iniziata a circolare una soluzione alla quale molti hanno pensato ma che nessuno ha finora avanzato: proporre Mario Draghi come nuovo presidente della Commissione europea.
L'ipotesi - alla quale Giuseppe Conte non sarebbe contrario - parte da una consapevolezza maturata in questi giorni nei colloqui fra Roma e Bruxelles: nelle attuali condizioni l' Italia può aspirare al massimo al portafoglio della Concorrenza.
Una poltrona importante, ma nulla rispetto alle due che Roma sta per lasciare: Bce e Parlamento. Non solo: i candidati usciti dalla mediazione politica per il posto di commissario - Giancarlo Giorgetti in primis - non hanno le competenze necessarie a ricoprire un incarico così delicato sul piano tecnico.
Giorgetti è considerato spendibile per la casella del Commercio o quella dell' Agricoltura, troppo poco per uno dei tre grandi Paesi fondatori dell' Unione. Di qui l' idea di mettere sul tavolo il nome di Draghi, le cui doti di mediazione sono apprezzate da anni nelle riunioni del Consiglio europeo.
L'attivismo recente dello stesso Draghi presso i leader europei avrebbe fatto il resto: il presidente della Bce si è speso molto per evitare strappi da e nei confronti dell' Italia, e insistendo nel mantenere una politica monetaria accomodante. In questo l'ex Ciampi boy si conferma un funzionario di prim'ordine: dopo aver ricevuto valanghe di critiche da parte leghista, ora è riuscito a conquistare consenso anche fra di loro. Non solo quello di Giorgetti, uno dei pochi del governo giallo-verde con cui ha sporadici contatti, ma persino del leader dell'ala radicale Claudio Borghi.
GIANCARLO GIORGETTI E CLAUDIO BORGHI
«Tutto si può dire di Draghi, ma il suo lavoro lo sa fare bene», raccontava qualche giorno fa a un amico. Chi ha seguito da vicino la trattativa racconta che se l' Italia riuscirà a evitare le conseguenze peggiori della procedura di infrazione sul debito, sarà accaduto anche grazie alla sua mediazione con le cancellerie.
La domanda è: Draghi è in grado di spuntarla sugli altri candidati? Riuscirebbe ad avere l'appoggio necessario delle grandi famiglie della politica europea, ora allargata ai Verdi? E soprattutto: riuscirebbe ad avere di nuovo il pieno sostegno di Berlino dopo anni di politica monetaria lontana dalla tradizione tedesca? La forza della sua candidatura è anche questa: una volta uscita di scena l' ipotesi Angela Merkel, nessuno dei candidati in pista ha l'autorevolezza necessaria per essere la guida certa di un Continente accerchiato dalla fine del multilateralismo e dai populismi.
mario draghi carlo azeglio ciampi
La Cancelliera ha declinato l'offerta di Emmanuel Macron perché sinceramente pronta alla pensione, e per il probabile esito delle sue dimissioni a Berlino, ovvero le elezioni anticipate. Nei ragionamenti fatti a Palazzo Chigi c' è anche la consapevolezza che un'eventuale nomina di Draghi renderebbe meno complicata la scelta di un successore nordico alla guida della Bce. «Se il suo nome si impone, nessuno potrà dire di no», spiega una fonte governativa che chiede di non essere citata. Restano solo da capire le intenzioni dell' interessato.
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