1. PD, PARTITO DIVISO. C’È CHI VORREBBE CHE IL GOVERNO NASCESSE (I BERSANIANI) MA MAGARI PER DURARE POCHI MESI (I GIOVANI TURCHI ED I RENZIANI); C’È CHI VORREBBE CHE SE NE VARASSE UNO “DEL PRESIDENTE” (I VELTRONIANI, I DALEMIANI E GRAN PARTE DI QUELLA CHE FU LA MAGGIORANZA CHE ELESSE BERSANI),E C’È CHI DIREBBE SÌ A QUALUNQUE IPOTESI CHE TENGA RENZI LONTANO (MA FINO A QUANDO?) DAL QUARTIER GENERALE... 2. UNA PENTOLA A PRESSIONE CHE POTREBBE SALTARE COL NAUFRAGIO DI CULATELLO. A QUEL PUNTO, IL PD AL BIVIO: SEGUIRE NAPOLITANO NEL TENTATIVO DI DARE COMUNQUE UN GOVERNO AL PAESE O STARE SULLA LINEA DI BERSANI (DOPO DI ME, SOLO IL VOTO)

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CORI
jena@lastampa.it - Bersani alla direzione Pd: «Uno di voi mi tradirà». E gli altri in coro: «Io».
2. LA SOLITUDINE DEL SEGRETARIO
Federico Geremicca per La Stampa

Venerdì 22 marzo magari era tardi, Bersani ebbe l'incarico al calar del sole e forse qualcuno non ebbe tempo o era impegnato in riunioni chissà dove. Ma poi vennero il sabato e la domenica: e tutto, però, continuò a tacere. Silenziosa Rosy Bindi, silenzioso Massimo D'Alema, zitti altri leader del peso di Walter Veltroni e Franco Marini. A volte, la solitudine di un leader la si può far trasparire anche così: evitando qualunque commento, e perfino un semplice augurio - un in bocca al lupo - al segretario che parte in guerra per la sua missione impossibile.

Anche la Direzione di ieri - che pareva esser diventata la sede madre di ogni decisione, il luogo in cui il Pd avrebbe dovuto dire «o Bersani o morte», ha trasmesso la stessa sensazione: un solo intervento, meno di un'ora in tutto (comprese introduzione e replica), assenze numerose e alcune eccellenti, Renzi (a fare il sindaco), D'Alema (a Parigi per impegni), Veltroni (ancora con qualche problema di salute) e si potrebbe continuare. Qualcuno si attendeva battaglia intorno alla domanda delle domande: ma se Bersani fallisse, che si fa? La battaglia non c'è stata: tutto rinviato alla prima occasione utile...

Non è un mistero, infatti, la circostanza che nel Pd le acque siano agitate e molti non abbiano condiviso granché la linea proposta da Bersani subito dopo il voto: e cioè, un governo per il cambiamento, che vuol dire mai più con Berlusconi, a meno che nella partita non ci siano anche i voti di Beppe Grillo.

E ancor di meno hanno condiviso l'approdo che il segretario vorrebbe per tale linea: se io fallisco si torna al voto. Qualcuno (D'Alema) non ha condiviso per ragioni politiche, considerando un errore dire pregiudizialmente no ad un confronto con il Pdl. Altri non hanno condiviso - ma hanno taciuto - per ragioni che vedono sommate perplessità politiche e delusioni e rancori difficili da digerire.

Non c'è da scandalizzarsene, visto che la strategia che ha portato Bersani fino all'incarico di formare un governo, ha lasciato morti e feriti nel quartier generale del Pd. C'erano state - all'inizio - «rinunce elettorali» (Veltroni, D'Alema, Turco...) faticose da metabolizzare; poi la vicenda dei nuovi presidenti di Camera e Senato (con la grande delusione subita da Dario Franceschini e Anna Finocchiaro), infine l'elezione dei nuovi capigruppo, con la scelta a sorpresa di Zanda e Speranza , che ha infoltito la schiera di chi oggi ce l'ha con Bersani.

Ma poiché - come Enrico Letta ha annotato aprendo la Direzione - «il tentativo di Bersani senza unità del Pd è impossibile», nemmeno ieri malesseri e dissensi sono venuti allo scoperto. E in fondo, solo di questo si tratta: di farli emergere. Perché che esistano, Bersani lo sa: meglio ancora, lo considera scontato. Del resto, far «girare la ruota» - come il segretario ripete - è operazione spesso dolorosa. E talvolta perfino rischiosa.

E così, il Pd osserva Bersani alle prese con la sua missione impossibile e lo fa con una passione e una partecipazione impalpabili. Cosa spera la maggioranza del partito? Difficile dirlo, in considerazione delle tante partite aperte tra i democratici (dal Quirinale fino alla possibilità di elezioni a giugno).

E in fondo, la forza del segretario oggi sta soprattutto qui: nelle debolezze e nelle divisioni di chi - più o meno scopertamente - lo avversa. C'è chi vorrebbe che il governo nascesse (i bersaniani) ma magari per durare pochi mesi (è quel che sperano i «giovani turchi» ed i renziani); c'è chi vorrebbe che il governo non nascesse affatto e se ne varasse uno «del Presidente» (i veltroniani, i dalemiani e gran parte di quella che fu la maggioranza che elesse Bersani e lo ha poi sostenuto alle primarie), e c'è - infine - chi direbbe sì a qualunque ipotesi che tenga Renzi lontano (ma fino a quando?) dal quartier generale...

Una pentola a pressione, insomma, nella quale alle delusioni da «ruota che gira» si vanno sommando preoccupazioni politiche e timori personali. Ma è già noto a tutti il passaggio nel quale il coperchio della pentola potrebbe saltare: l'eventuale naufragio del tentativo Bersani. A quel punto, il Pd si ritroverà di fronte a un bivio micidiale: seguire Napolitano nel probabile tentativo di dare comunque un governo al Paese o stare sulla linea del segretario (dopo di me, solo il voto). Difficile dire come finirà: ma secondo alcuni, in nome della chiarezza,sarebbe già molto farlo cominciare...

 

bersaniBERSANI luigi PIERLUIGI BERSANI IN PREGHIERA PIETRO GRASSO TRA BERSANI ED ENRICO LETTAROSI BINDI PIER LUIGI BERSANI Walter VeltroniFRANCO MARINI Massimo Dalema grillo