DAGOREPORT – AVVISATE IL GOVERNO MELONI: I GRANDI FONDI INTERNAZIONALI SONO SULLA SOGLIA PER USCIRE…
Francesco Bechis per www.formiche.net
Geopolitica e finanza sono parte di uno stesso intreccio, e le crisi globali come quella innescata dal Covid-19 lo dimostrano puntualmente. Carlo Pelanda, economista e analista geopolitico, ne è convinto: ora che l’Italia è gravemente esposta sui mercati internazionali e lo spread è alle stelle la prudenza è d’obbligo. Prima di saltare l’asticella dei rapporti atlantici con un balzo verso la Cina, “dovrebbe confrontarsi con Washington: senza gli Stati Uniti l’economia italiana è finita”.
Professore, a cosa si riferisce?
L’emergenza sanitaria sta dimostrando che in Italia la lobby pro-Cina è sempre più forte. Per il momento prevale quella filoatlantica. Roma dovrebbe confrontarsi con Washington per capire fin dove può spingersi, perché fra Stati Uniti e Cina è in corso una guerra, non solo economica.
Qual è la linea rossa?
Bisogna stare molto attenti. L’Italia ha bisogno dei turisti cinesi, che in media quando arrivano lasciano 2300 euro a testa, ma deve anche evitare strappi. Non si possono chiudere le porte alla Cina ma neanche spalancare. Se la Cina blocca le importazioni dall’Italia abbiamo un piccolo danno, se lo fanno gli Stati Uniti siamo finiti
Anche sui mercati ci possono essere ripercussioni?
L’Italia senza l’ombrello americano è economicamente morta. Un anno fa è stato commesso l’errore di portare la relazione con la Cina oltre la soglia politica. Washington è intervenuta, e Roma ha tirato il freno. Rimane, come ho detto, una forte pressione di una lobby filocinese, con alcuni esponenti del mondo politico a libro paga di Pechino, e oltre Tevere una continua attività diplomatica del Vaticano, che ha bisogno di trovare un accordo per la Chiesa cattolica in Cina.
Come si spiega l’esposizione delle aziende italiane quotate andata in scena a Piazza Affari giovedì scorso?
Non credo sia in corso un complotto contro l’Italia, né che la temporanea fragilità del Sistema Paese sui mercati finanziari apri a una svendita immediata dei nostri asset. Vedo piuttosto, da parte di Stati europei e soprattutto della Francia, un tentativo di mettere all’angolo l’Italia in alcuni settori strategici come Aerospazio e Difesa, ma è un movimento avviato da tempo e non legato al coronavirus.
La turbolenza dei mercati è destinata a durare?
Sì, gli attori di mercato fiutano il rischio e reagiscono di conseguenza: fuggono, shortano o speculano. L’Italia paga una debolezza al pari degli altri Stati europei: la Bce è un’istituzione incompleta, perché non ha la garanzia di ultima istanza, è l’unica al mondo a non funzionare come prestatore di ultima istanza. Ora i grandi speculatori hanno iniziato a bussare, per vedere fin dove la Bce può spingersi.
Goldman Sachs per l’Italia ha una previsione particolarmente nera: -3,4 punti percentuali di Pil in un anno.
Hanno ragione, forse sono un po’ ottimisti. Tutti i grandi istituti formulano sempre tre scenari, e questo mi sembra a metà fra quello intermedio e quello peggiore. Se contiamo che il 13% del Pil e il 12% dell’occupazione italiana derivano dal turismo ci rendiamo conto della gravità del momento. Un crollo fra il 3 e il 4% del Pil non è il worst scenario.
Il decreto “Cura Italia” basta a tamponare?
Cose da ridere, secondo le nostre stime per uscire dal guado servono 220 miliardi di euro. Se immetti liquidità le aziende resistono anche sei mesi, con 25 miliardi neanche per sogno. La Germania ha annunciato crediti per 550 miliardi per le imprese sotto il ferro della crisi, di cui 100 a debito. E il governo tedesco si è detto disposto a nazionalizzare le grandi aziende in difficoltà, come Lufthansa e Volkswagen. C’è chi dice che questo primo stanziamento è una prima leva per arrivare a 300 miliardi di euro, non è chiaro come. La prudenza italiana è dettata dal fatto di non avere alle spalle un prestatore di ultima istanza europeo per il suo debito. Se alza la posta, il mercato la fa saltare.
Si discute di un possibile ruolo di Cdp a sostegno delle imprese in crisi, e delle aziende quotate esposte. Lei è d’accordo?
Io sono un liberista. Ma di fronte a una crisi del genere ripongo in bacheca la statuetta della dea libertà e dico: usiamo tutti gli strumenti che possiamo adoperare. Se servono, ben vengano anche le nazionalizzazioni, si penserà in un secondo momento come fare un passo indietro.
Cdp ha i requisiti per operare come fondo sovrano?
Cdp purtroppo non ha la struttura e la mission della sua equivalente tedesca, la Kwf, ma ha il vantaggio di poter spendere soldi al di fuori del perimetro di bilancio dello Stato. Da sola però non ha il capitale per svolgere questo compito. Dovrebbe essere affiancata da un nuovo fondo sovrano italiano, che raccoglie il risparmio con la garanzia di capitale e interviene in periodi d’emergenza, ovviamente offrendo remunerazioni ai risparmiatori. Con una macchina di questo tipo potremmo davvero sventare gli scenari peggiori.
luigi di maio domenico arcuri fabrizio palermo
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