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PER HAMAS ACCETTARE IL PIANO DI PACE DI TRUMP È UN DISASTRO, MA RIFIUTARE È PEGGIO – L’AMBASCIATORE STEFANINI: “IL PIANO DISARMA IL MOVIMENTO DI RESISTENZA ISLAMICO E NE ESCLUDE LA PARTECIPAZIONE ‘IN QUALSIASI FORMA’ ALLA FUTURA AMMINISTRAZIONE DI GAZA, MA OFFRE AMNISTIA O ESILIO IN SICUREZZA AI MILITANTI E LO SCAMBIO DEGLI OSTAGGI RIMASTI CON IL RILASCIO DI 250 DETENUTI PALESTINESI CONDANNATI ALL’ERGASTOLO E DI 1700 ARRESTATI DOPO IL 7 OTTOBRE. ACCETTANDO, HAMAS RICONOSCEREBBE LA SCONFITTA MILITARE MA SALVEREBBE, OLTRE CHE VITE DI MILITANTI, LA FACCIA POLITICA NELL’OPINIONE PUBBLICA PALESTINESE” – IL DAGOREPORT: NETANYAHU PREGA CHE HAMAS RIFIUTI…

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Estratto dell’articolo di Stefano Stefanini per “La Stampa”

 

donald trump benjamin netanyahu foto lapresse.

Tutti, o quasi, d’accordo sul piano Trump per Gaza e la Palestina. Tutti quindi in attesa della risposta di Hamas. Il Movimento di Resistenza Islamico ha cominciato questa guerra con la strage del 7 ottobre. Due anni dopo può porvi termine. Ma, con l’accettazione di Hamas, il piano Trump può solo partire. Poi un percorso a ostacoli. […]

 

Se Hamas non ci sta, una volta eliminatane la minaccia con le armi anziché col disarmo (il «finish the job» di Netanyahu), il piano va avanti lo stesso. Sulla pelle e la fame degli abitanti di Gaza, ma Hamas non se ne è mai fatto cruccio.

 

MILIZIANI DI HAMAS A GAZA

Gaza è stato lo scudo umano gettato in pasto alla brutale risposta israeliana, abbattutasi e che si abbatte sproporzionatamente sulla popolazione civile.

 

È la tragedia umanitaria in corso nella Striscia, più che i «tre o quattro giorni» dati da Trump, che rende urgente la risposta di Hamas. Il Movimento fa capire che «accettare è un disastro ma rifiutare pure».

 

Forse peggio: il piano lo disarma e ne esclude la partecipazione «in qualsiasi forma» alla futura amministrazione di Gaza, ma offre amnistia o esilio in sicurezza ai militanti e, soprattutto, lo scambio dei cinquanta circa ostaggi rimasti, dei quali si ritiene siano ancora in vita meno della metà, con il rilascio dalle carceri israeliane di 250 detenuti palestinesi condannati all’ergastolo e di 1700 arrestati a Gaza dopo il 7 ottobre.

 

STEFANO STEFANINI

Accettando, Hamas riconoscerebbe la sconfitta militare ma salverebbe, oltre che vite di militanti, la faccia politica nell’opinione pubblica palestinese con i rientri a casa in duemila famiglie.

 

Nell’ottica contrattualistica di Trump questa è «un’offerta che non si può rifiutare» specie se l’alternativa è l’annientamento militare ad opera dell’Idf e a spese della popolazione di Gaza City. I negoziatori turchi, qatarini ed egiziani vi stanno facendo leva nei colloqui con Hamas.

 

Che, tramite loro, chiede qualcosa di più sulle condizioni del disarmo, dell’esilio e del ritiro delle truppe israeliane. Così si negozia, ma Hamas deve stare attento a non allungare i tempi di Trump e, ancor di più, a non portare acqua al mulino di chi vuole continuare la guerra, e basta.

 

BENJAMIN NETANYAHU COSTRETTO A SCUSARSI CON IL QATAR AL TELEFONO DA DONALD TRUMP

Benazel Smotrich, il ministro israeliano delle Finanze, schieratosi subito contro il piano e contro Netanyahu per averlo accettato, ha già detto «speriamo in una risposta negativa di Hamas».

 

È la dinamica della vicenda israelo-palestinese dagli accordi di Oslo ai nostri giorni. Due campi si oppongono alla pace: gli estremisti ultranazionalisti israeliani, vedi assassino di Yitzhak Rabin per mano di Yigal Amir, e il jihadismo terrorista di Hamas, vedi 7 ottobre. Vogliono la stessa cosa: un solo Stato dal fiume al mare. Solo con bandiere diverse.

 

I due fronti pongono una serie di potenziali ostacoli sulla via del piano Trump. Entrambi non chiedono di meglio che un incidente che faccia deragliare la fragile trattativa. Questa prima fase è particolarmente vulnerabile.

 

MILIAZIANI DI HAMAS A GAZA

Hamas deve deporre le armi, Israele mettere fine alla guerra, gli aiuti umanitari – affidati alle Nazioni Unite e alla Mezzaluna Rossa, punto importante (il numero 8) del piano, niente più dilettanti della Gaza Humanitarian Foundation – entrare massicciamente nella Striscia.

 

In attesa delle nuove strutture di graduale autogoverno e stabilizzazione internazionale, Gaza sarà in interregno, senza ben definita autorità responsabile. In questo contesto, la forzatura navale da parte della ben intenzionata ma politicamente sprovveduta Flotilla Sumud, per consegnare aiuti umanitari simbolici in un porto che non esiste, è un assist a chi – Hamas o Smotrich – vuol far fallire sul nascere il piano di pace. [...]

 

l equipaggio della nave alma - flotilla global sumud

Se il piano pone fine alla guerra e apre la Striscia agli aiuti umanitari Trump potrà già vantare un grosso successo. Forse da premio Nobel… Ma ci sono altri 12 punti da percorrere. Il nodo centrale è il vuoto di potere, e di infrastrutture basilari, in una Gaza tutta da ricostruire.

 

Il piano lo scioglie con una forma mista di autoamministrazione palestinese, tutela araba e supervisione internazionale. Protettorato? Non c’è nulla da scandalizzarsi: è la forma di autogoverno prevista dal diritto internazionale per accompagnare nazioni o territori verso la statualità e l’indipendenza.

 

benjamin netanyahu donald trump

Il coinvolgimento dei Paesi arabi esclude di classificarlo come ritorno del colonialismo. Farlo funzionare sarà un’acrobazia politica; la sicurezza il problema principale. La Forza di Stabilizzazione Internazionale – Usa-arabo-europea? – è un’idea audace e un oggetto misterioso. Primo, va coordinata con il graduale ritiro dell’Idf. Poi dovrà fare da sola.

 

I precedenti non sono incoraggianti. O rischiosi – Iraq, Afghanistan, ma anche Beirut 1983 – o inefficienti – Unifil. Ci vogliono direzione politica univoca, catena di comando militare efficace e rapida, regole d’ingaggio robuste.

 

Difficile realizzarle in un’eterogenea coalizione ad hoc. Giorgia Meloni ha indicato che l’Italia «è pronta» a contribuire. Sicuramente lo è quanto a capacità ed esperienza – nell’addestramento di forze locali i nostri Carabinieri sono sempre in grande richiesta – ma dovrà blindarsi su ombrello politico, procedure decisionali e regole d’ingaggio. Siamo ancora lontani ma bisogna pensarci per tempo.

 

PROTESTE CONTRO HAMAS A GAZA

La gestione ad interim della Striscia sarà la prova del fuoco del piano Trump. Se/quando la supererà, arriverà così al penultimo punto (19) che prevede «l’autodeterminazione e la statualità» palestinese. Con cui si riaffaccia lo Stato palestinese. Sul quale sono naufragati tanti altri piani per il Medio Oriente e innumerevoli negoziati.

 

Ma, chissà, se il piano Trump giunge fino a quel traguardo, avrà la forza inerziale per dar finalmente vita ai due Stati. Lunga la via. Per ora, aspettiamo Hamas. Sperando, noi, che la risposta deluda Smotrich.

manifestazione per la liberazione degli ostaggi a tel aviv 2manifestazione per la liberazione degli ostaggi a tel aviv 8