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SUL CASO SALVINI-MACRON GIORGIA MELONI NON PUO’ RESTARE IN SILENZIO - ERIC JOZSEF, CORRISPONDENTE DA ROMA PER LIBÉRATION – “LA PREMIER ITALIANA È CHIAMATA A UNA SCELTA TRA LO SCONFESSARE IL POPULISMO DEL SUO VICEPREMIER E TACERE, MACCHIANDO COSI IL PAZIENTE LAVORO DIPLOMATICO SVOLTO PER ACCREDITARSI COME UNA RESPONSABILE SERIA E AUTOREVOLE PRESSO I PARTNER EUROPEI – PER L’ELISEO E’ INSOSTENIBILE CHE MELONI NON ABBIA PRESO SUBITO LE DISTANZE DA SALVINI PERCHÉ L'USCITA DEL LEADER LEGHISTA S'INSERISCE IN UN MOMENTO DELICATO PER LE SORTI DELL'UCRAINA” (SENZA CONSIDERARE CHE SALVINI È STATO A LUNGO ALLEATO DI PUTIN). E IL COLLE...

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Eric Jozsef per “La Stampa” - Estratti

 

macron meloni

La riconciliazione con Emmanuele Macron è durata meno di tre mesi. La convocazione al Quai d'Orsay dell'ambasciatrice italiana per protestare contro le dichiarazioni offensive del vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini ha riaperto le crepe che, il 3 giugno scorso, la visita del presidente francese a Roma per un faccia a faccia con Giorgia Meloni era parso chiudere.

 

Tra Parigi e Roma è tornato il tempo della provocazione e della diffidenza. Eppure, per la leader di Fratelli d'Italia, un partito ancora spesso definito Oltralpe come di "estrema destra", l'estate sembrava indicare una sorta di normalizzazione e di accreditamento politico.

 

Non solo il settimanale ultraconservatore Le Figaro Magazine aveva dedicato la copertina di giugno a Giorgia Meloni titolando elogiativamente «Le ragioni di un successo». 

 

(...)

foto di gruppo vertice alla casa bianca con zelensky e i leader europei foto lapresse

E la settimana scorsa perfino Le Monde notava come, per quanto difficile da digerire per i francesi, in materia di finanza pubblica «l'Italia di Giorgia Meloni è ormai credibile quanto la Francia, se non di più».

 

La presenza del capo del governo italiano accanto a Volodymyr Zelensky e ai Volenterosi il 18 agosto, all'incontro con Donald Trump alla Casa Bianca, sembrava confermare che nel gioco dell'equilibrismo tra Stati Uniti e Europa Giorgia Meloni non avrebbe alla fine mai rotto con i partner del Vecchio continente. Un'ulteriore rassicurazione per gli interlocutori europei che negli ultimi tre anni hanno scoperto la pragmatica concretezza di una leader che nel passato era stata, alla rinfusa, nemica giurata delle sanzioni contro Mosca dopo l'invasione della Crimea, sostenitrice dell'uscita dell'Italia della moneta unica e fustigatrice di quell'Unione europea a cui, alla vigilia delle vittoriose elezioni politiche del 2022, prometteva la fine della «pacchia». 

 

Il fatto di non aver preso subito le distanze dal suo vice e leader della Lega Matteo Salvini, che già nel marzo scorso aveva dato del «matto» a Emmanuel Macron e che questa volta lo ha prosaicamente invitato ad «attaccarsi al tram» in virtù della sua presunta smania di mandare truppe in Ucraina, è considerato a Parigi un punto insostenibile. Tanto nella forma quanto nella sostanza.

 

emmanuel macron donald trump giorgia meloni foto lapresse

Perché l'uscita di Matteo Salvini s'inserisce in un momento in cui la partita per le sorti dell'Ucraina e quella per le garanzie di sicurezza da fornire a Kiyv diventano delicate e determinanti. 

 

Nel comunicato rilasciato dall'Eliseo per spiegare il richiamo dell'ambasciatore italiano, la presidenza francese ha non a caso ricordato che i recenti rapporti bilaterali «hanno messo in evidenza convergenze forti tra le due capitali, in particolare per quanto riguarda il sostegno incrollabile all'Ucraina».

 

In sostanza, Parigi manda alla presidente Meloni un messaggio chiaro, possono essere approcci diversi nel sostegno a Kyiv ma non ci può essere ambiguità.

 

E ancora meno possono essere tollerati attacchi al presidente francese sulla questione ucraina da parte del numero due del governo Matteo Salvini, un politico che è stato a lungo alleato di Vladimir Putin e che continua a riprendere e diffondere parte della narrativa del Cremlino. 

macron salvini immagine creata con l'IA

 

Da questo punto di vista, la tensione diplomatica agostana con la Francia è per Giorgia Meloni molto diversa dalle precedenti schermaglie tra Roma e Parigi.

 

Sia rispetto a quando, nell'ottobre 2022, il ministro francese Laurence Boone irritava il governo Meloni annunciando di voler «vigilare sul rispetto dei diritti e della libertà» in Italia, sia rispetto allo scontro del maggio 2023 nel quale il ministro dell'Interno francese Darmanin accusava la Penisola di essere «incapace di sistemare la questione migratoria»:

 

in entrambi i casi l'intera maggioranza italiana si compattò per rigettare le accuse Parigi. 

 

Questa volta Giorgia Meloni è chiamata a scegliere. Scegliere tra sconfessare il populismo del suo vicepremier e tacere, macchiando cosi il paziente lavoro diplomatico svolto per accreditarsi come una responsabile seria e autorevole presso i partner europei. «Si esce dall'ambiguità solo a proprio danno», scriveva nel 1600 il Cardinal di Retz, illustre politico e letterato francese nato in una famiglia di origine italiana. Oggi sarà difficile per Giorgia Meloni sfuggire. 

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