DAGOREPORT - ED ORA, CHE È STATO “ASSOLTO PERCHÉ IL FATTO NON SUSSISTE”, CHE SUCCEDE? SALVINI…
Carlo Verdelli per “la Repubblica”
Mentre grandina sulle giunte variamente rosse di Roma e Sicilia, nella Milano del lungo addio di Giuliano Pisapia è tornata la pace. Durerà, se durerà, lo spazio di un’estate. Comunque, dopo una settimana di fuoco non solo meteorologico, l’emergenza sembra rientrata.
giuliano pisapia francesco rutelli francesco micheli foto riccardo schito
L’uomo forte della giunta, la signora Ada Lucia De Cesaris, che si era dimessa con grande sconquasso per una questione ai più indecifrabile come l’area cani di un quartiere periferico, è stata prestamente sostituita sia come vicesindaco (con la conciliante e beneamata Francesca Balzani,valente velista e accorto assessore al Bilancio) sia come responsabile dell’Urbanistica (con il professor Alessandro Balducci, prorettore del Politecnico e già collaboratore della giunta Moratti).
E poi è stata frenata la foga intempestiva di iscritti alla primarie: già tre candidati ufficiali del Pd, più altri cinque o sei cognomi di peso che hanno dichiarato di “non escluderlo”, che è molto diverso dal dire “no grazie”; più una carta segreta, forse segreta anche all’interessato, che però potrebbe far saltare il banco dei tanti, troppi, volonterosi pretendenti.
Comunque, essendo che le famose e per qualcuno famigerate primarie non si terranno prima del gennaio 2016 e calcolando che le elezioni saranno il maggio successivo, cioè tra 10 mesi, nei vari palazzi dell’arcobaleno meneghino (Pd, Sel, movimenti civici) si è deciso di fischiare la fine della ricreazione: basta coi rodei, niente fiere della vanità, non facciamoci confondere con il pasticciaccio di Roma, noi che non abbiamo preso neanche un avviso di garanzia. Silenzio e buone vacanze a tutti.
Resta il fatto che se Pisapia, a fine marzo, aveva deciso di annunciare che non si sarebbe ricandidato proprio per ricompattare una maggioranza che sentiva tentata dai personalismi, e poi perché, via dalla scena lui, il timore di perdere le elezioni avrebbe, sempre secondo i suoi calcoli, rinsaldato il fronte, ecco, a guardare la scena oggi, l’auspicio sembra rimasto tale. A Milano è in corso, ancorché momentaneamente in pausa, una battaglia di posizione che prescinde da chi sarà l’avversario del centrodestra. Sarà una volata lunga e tutta interna allo schieramento di chi deve difendere il bastione conquistato nel 2011, volata dove non mancheranno sorprese, gomiti alti e sgambetti. Qualcosa s’è già intravisto.
«Renzi non può perdere Milano, e lo sa benissimo visto come si sono messe le cose nel Nord dopo le ultime Regionali. E siccome, pur non venendo dalle sue stesse esperienze, mi affascina la sua vena di divertente follia, credo che si inventerà qualcosa per scongiurare il rischio». Ada Lucia De Cesaris, figlia del democristiano ex presidente delle Ferrovie Benedetto De Cesaris, “Ada” o “vice” nei messaggini che per quattro anni ha ricevuto dal suo sindaco, di cui è stata seconda vela, “spiccia faccende”, spalla infaticabile, aspra ma leale fino all’ultimo secondo («e anche adesso: se mi chiedesse di buttarmi, lo farei, vengo dal centralismo democratico, lui è il mio capo per sempre »), dice che da due giorni sta pensando di tornare al mestiere di prima, avvocato amministrativo.
Dice anche di essere fiera delle sue dimissioni, che ha riportato a casa la sua integrità, che è assolutamente serena, anche se a vederla non lo sembra poi così tanto. La consolano le migliaia di messaggi di solidarietà ricevuti su Facebook e via mail (Cino Zucchi, architetto: «Non posso pensare alla mia città senza di te»), trova divertente il “bella ciao” con cui la Lega l’ha salutata in consiglio comunale, un po’ meno il fatto che il suo capo Giuliano non l’abbia trattenuta. «Per lui tutti devono andare d’accordo. La mia uscita, visto che risulto un po’ ingombrante, gli toglie conflitti ».
Perdoni, ma dimettersi per una delibera da 20 mila euro su un’area cani nel parco Trapezio del quartiere Santa Giulia sembra obiettivamente un colpo di testa o di caldo. «Santa Giulia, che la destra aveva ridotto a una landa abbandonata e pure sotto sequestro, è stata la prima inaugurazione della giunta Pisapia. E’ un pezzo di città rinata. Per noi, per me, ha un valore simbolico e di principio. E su tutto si tratta, tranne che sui principi. La verità è che mi hanno fatto un’imboscata e la mia maggioranza mi ha votato contro. Quando Pisapia ha annunciato il passo indietro, o a lato, gliel’avevo detto: stai abbandonando la città, e anche me. Ho passato sei mesi sulla graticola. Se restavo, mi sfracellavano».
E ora che è fuori, rientrerà in partita? Sbuffa . «Renzi non può perdere Milano. Se avrà la genialità di andare oltre le ruggini personali, ha l’uomo giusto a cui rivolgersi: Ferruccio De Bortoli, qui, vince a mani basse».
La carta coperta, posto che l’ex direttore del Corriere della Sera mostri un’ombra di disponibilità e il premier sia così indulgente e astuto da porgere l’altra guancia dopo le critiche a schiaffo ricevute da quello che dovrebbe rappresentarlo nella sfida locale più importante del 2016, è comunque sotto un discreto mazzetto di carte già girate o lì lì per essere spillate. Per esempio, spilla Ivan Scalfarotto, sottosegretario Pd e attivista per i diritti civili. «Dopo l’uscita di Lupi, sono l’unico milanese al governo», dice.
“Residente” sarebbe più preciso, visto che è nato a Pescara, è stato consigliere comunale a Foggia e coordinatore del Pd pugliese, oltre che manager nella City londinese: milanese acquisito, ecco, niente di male. Spilla e commissiona qualche sondaggio anche Umberto Ambrosoli, figlio di un eroe borghese e milanese come Giorgio Ambrosoli, attualmente capo dell’opposizione in Regione: ha dalla sua riconosciute qualità etiche, culturali, umane ma il neo non trascurabile di aver perso la battaglia contro una Lega, quella di Maroni, che veniva dai tracolli morali del dopo Bossi.
Anche Stefano Boeri, protagonista con Pisapia e Onida delle primarie record (65 mila votanti) del 2010, pur allontanato dall’attuale giunta due anni fa “in modo spiacevole”, ha continuato a vivere il Pd ed è tra quelli che “non lo escludo”. Nel frattempo ha ripreso a pieno ritmo a fare l’architetto, con il suo Bosco verticale, il grattacielo dietro la stazione Garibaldi, ha vinto premi mondiali, ha appena aperto una sede in Cina.
«Sono seriamente combattuto, anche perché ci sarebbe molto da fare. Milano diventerà una città metropolitana, ha bisogno di un sindaco come a Londra, Parigi o Barcellona, una persona che conosca le lingue, che sia ambasciatore internazionale e in più che regga il collasso post Expo, che ci sarà e non sarà facile da dipanare. Non so se le candidature in gioco finora siano le più adatte».
Tra chi è già in gioco, Roberto Caputo, Pd, carriera politica locale, un noir “Obiettivo Expo” non transitato tra i bestseller; Emanuele Fiano, ancora Pd ma con incarichi nazionali, unico superstite di una famiglia azzerata dal nazismo, 52 anni, già presidente della comunità ebraica di Milano, ex veltroniano passato con Franceschini e quindi con Renzi, solido e ragionevole, inizio di campagna pre-elettorale puntato sulla sicurezza, in modo da togliere una freccia dall’arco della destra (un sondaggio prematurissimo lo darebbe vincente contro Salvini, peccato che Salvini non commetterà l’errore di correre da sindaco).
Ultimo ma non ultimo, Piefrancesco Majorino, assessore alle politiche sociali, uno che si è iscritto agli allora giovani del Pci quando aveva 14 anni e che adesso, a 42, dovesse mai vincere (ed è uno che, per l’eccellenza raggiunta da Milano nell’assistenza agli ultimi, qualche carta ce l’ha), diventerebbe il più giovane sindaco della capitale del Nord, secondo solo a Tognoli che ci riuscì a 38 anni. Di lui si è parlato, l’ha scritto Roberto Rho su Repubblica, come la possibile ala sinistra di un ticket con Giuseppe Sala, il manager avvezzo al mondo e attuale sindaco di Expo. Majorino non lo esclude a priori, ma mette una condizione: «Sala mi deve prima battere alle primarie. Poi, perché no, parliamone».
Ma le primarie sono proprio una delle cose che non commuovono Sala, e neanche Renzi . Inoltre ci sarebbe il problema dei biglietti venduti: molta sinistra rimprovera al commissario straordinario una gestione non trasparente delle cifre. «Non c’è nessun mistero. Puntiamo a 20 milioni di ingressi, poi ci sono tante variabili, magari arriviamo a 18, dov’è il dramma? ».
Nessun dramma. Si candida? «Vorrei continuare a fare qualcosa di utile al Paese, darò anche la mia disponibilità direttamente al premier. Certo, la Milano che verrà sarà più larga, ci saranno problemi urgenti di servizi e mobilità da affrontare. Io me la sentirei, ho l’esperienza per questi processi. Ma è la vicenda delle consultazioni preventive nella coalizione che fatico a capire, così come il comitato degli 11 saggi, rispettabilissimi, da Gad Lerner a don Rigoldi, che deve stabilire le regole per candidarsi. Mi chiedo: dobbiamo vincere o essere i più bravi nelle regole? Certo, un ticket con Majorino mi interesserebbe, mi garantirebbe dove sono più debole e viceversa…». Ma è un po’ combattuto.
GIULIANO PISAPIA E MARCO DORIA
«Spaventato, direi. E poi queste liti nel centro sinistra: è musica che la gente non vuole più sentire. Servono, fatti, piani, progetti realizzabili, visioni ed esecuzione».
Il più tranquillo in questo maremoto annunciato è proprio Giuliano Pisapia, l’uomo che l’ha sollevato. «Pentito? Ma no. Abbiamo soltanto superato un momento difficile. Certo, certe candidature avrei preferito che arrivassero un po’ dopo. Come mai mi sarei aspettato la decisione di Ada, il mio vice, tra le persone più capaci in assoluto che conosca. Carattere dirompente ma ampiamente compensato da una dedizione al lavoro unica, nelle zone, nelle assemblee più dure, anche la sera tardi. Lei candidato sindaco dopo di me? Sarebbe stato giusto per la continuità».
Sarebbe stato. Paura di perdere a maggio 2016? «Vista da oggi, la destra mi sembra messa peggio di noi. Con Passera in campo si andrà al ballottaggio. Molto dipende dal senso di unità che riusciremo a dare, ci siamo anche sentiti con Renzi sul tema. Ne riparleremo ». Quanto a unità, non parrebbe che la partenza sia così incoraggiante. «Beh, sicuramente ci vuole un nome che unisca, rispettabile e rispettato». Dopo i ripetuti scontri con il premier, l’idea di Ferruccio de Bortoli la ritiene praticabile? «Il presidente del Consiglio non può né vuole perdere Milano». Il dodicesimo sindaco della città, sorridendo, si sistema il ciuffo.
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