IRAQ FUNESTA - COME SE NON BASTASSE L’OFFENSIVA DELL’ISIS, LA POLITICA IRACHENA SI SPACCA: IL PREMIER SCIITA AL MALIKI GRIDA AL “GOLPE” E NON VUOLE CEDERE LA POLTRONA AD AL ABADI, DESIGNATO DAL NEOPRESIDENTE FUAD MASUM

Vai all'articolo precedente Vai all'articolo precedente
guarda la fotogallery

L. Cr. per il “Corriere della Sera

 

Al MalikiAl Maliki

E’ crisi politica aperta nell’Iraq lacerato dalla guerra interna contro le milizie estremiste del «Califfato». Ieri all’alba le strade del centro di Bagdad hanno visto la comparsa minacciosa delle brigate dei battaglioni scelti in assetto da combattimento fedelissimi del controverso premier sciita Nouri al Maliki.

 

Una sfida frontale contro l’autorità del neopresidente Fuad Masum, che poche ore dopo ha comunque reso nota la sua scelta su chi dovrebbe essere il nuovo leader alla guida del Paese: si tratta di Haider al Abadi, ingegnere sciita 62enne definito «un pragmatico» che ha già lavorato nei governi di Maliki. Al Abadi ha ora 30 giorni per cercare di formare il suo governo.

 

AL ABADIAL ABADI

Ma intanto ha già ricevuto l’incoraggiamento di Obama: «L’Iraq ha compiuto un passo in avanti promettente ha commentato il presidente parlando da Martha’s Vineyard - l’unica soluzione è un governo inclusivo». Obama ha ribadito che «gli sforzi per aiutare la popolazione continuano» e ringraziato i partner europei.

 

La gravità del momento non è però dovuta tanto alla resistenza di Maliki, che assieme ai suoi «fedelissimi» si dice pronto a combattere con tutte le sue forze contro quello che definisce un «colpo di Stato» e rivendica il suo diritto ad un terzo mandato per «ripristinare la legittimità della costituzione».

fuad hassanfuad hassan

 

Alla base delle preoccupazioni di tanti iracheni e di larga parte della comunità internazionale sta piuttosto l’offensiva militare lanciata dagli estremisti dell’auto proclamato «Califfato», che dai primi di giugno hanno preso Mosul e ora minacciano Bagdad e la stabilità dell’intero Medio Oriente.

 

Per comprendere la questione occorre ricordare le tappe principali della storia irachena recente. Maliki venne eletto premier nel 2006 (tre anni dopo l’invasione americana) con il pieno sostegno di Washington nella speranza che riuscisse a ritrovare l’unità nazionale, allora gravemente minacciata dalla guerra civile tra sciiti e sunniti. In un primo tempo sembrò una scelta felice. Maliki, pur se tra molte difficoltà, fu in grado di garantire il ritiro militare americano nel 2011.

 

BARACK OBAMABARACK OBAMA

Tuttavia, da allora la sua politica accentratrice (si è anche accaparrato i ministeri dell’Interno, della Difesa e dell’Intelligence) ha progressivamente ostracizzato le minoranze sunnite e curde dalla gestione degli affari dello Stato. Ormai da tempo i commentatori accusano Maliki di essere al cuore del problema. «Maliki non può guidare la guerra contro i fanatici del Califfato per il fatto che è stato lui indirettamente a facilitarli», è l’adagio più diffuso.

 

JOHN KERRYJOHN KERRY

Le grandi tribù sunnite (che pure nel 2007 avevano cooperato con gli Usa contro la guerriglia qaedista) negli ultimi mesi si sono dimostrate persino pronte all’alleanza con le brigate estremiste siriane e i volontari jihadisti arrivati dall’estero pur di defenestrare Maliki. Per conseguenza, da almeno due anni anche Washington non nasconde più la speranza che Maliki si dimetta per facilitare la ripresa del dialogo interno.

 

L’occasione di un avvicendamento democratico sembrò perduta però alle elezioni dello scorso aprile, quando Maliki si assicurò un terzo dei 328 seggi del parlamento e a suo dire la certezza di poter ottenere un terzo mandato. Ma gli avvenimenti degli ultimi giorni lo hanno sempre più indebolito. Anche nel campo sciita la maggioranza pare ormai sostenere il nuovo aspirante premier al Abadi.

IRAQ - JIHADISTI DELL' ISISIRAQ - JIHADISTI DELL' ISIS

 

IRAQ - JIHADISTI DELL' ISISIRAQ - JIHADISTI DELL' ISIS

Ieri John Kerry ha plaudito alla scelta di Masum. «E’ un passo volto ad imporre calma e stabilità in Iraq», ha dichiarato il Segretario di Stato Usa. Dal Pentagono inviano intanto armi ai curdi. Lo scenario militare resta incerto e la soluzione rapida della crisi politica a Bagdad è ritenuta fondamentale per battere il Califfato.